large language models

Intelligenza artificiale, perché gli artisti si sentono defraudati

L’uso delle immagini generate dagli algoritmi dall’AI si diffonde nel mondo dell’arte, ponendo forti limiti alla creatività degli artisti e sollevando questioni di natura etica, copyright e sicurezza. Ne parliamo con gli artisti che criticano la crypto arte ed esperti di diritto d’autore

Pubblicato il 30 Set 2022

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu

AI e copyright digitale: gli artisti si sentono defraudati

L’intelligenza artificiale entra nel mondo dell’arte e divide gli artisti, che si posizionano su opposte barricate: fra chi è a favore e ci guadagna, e chi invece cerca di contrastare l’ascesa degli algoritmi di AI per motivazioni etiche, legate alla sostenibilità del mondo cripto e per questione di copyright digitale.

Il tema si sta scaldando in questi giorni per via della diffusione di immagini “artistiche” create dai nuovi grandi modelli di linguaggio con AI (large language models), che continuano a evolvere.

Le immagini a volte imitano quelli di artisti famosi. E lo fanno utilizzando, come dataset base di partenza, proprio le opere disponibili di questi stessi artisti.

L’artista polacco di fantasy Greg Rutkowski ha protestato, accusando l’AI di concorrenza sleale verso gli artisti, delle cui opere si alimenta , per produrne altre che vanno a incidere sullo stesso mercato.

Abbiamo sondato il terreno degli artisti italiani che avversano gli algoritmi di AI, per capire le ragioni profonde e radicali di chi si sente defraudato da “un nucleo ristretto di soggetti che si appropriano storicamente in modo sistematico di tali beni e saperi che dovrebbero essere condivisi, arrogandosi di una proprietà privata (oggi sotto forma degli algoritmi di AI, ndr) che si basa su un sistema di diritto che non ha alcun fondamento logico, se non quello del potere, della paura, della violenza, dell’oppressione e del dominio”, come afferma in maniera netta sugli Nft Tommaso Tozzi, pioniere della Net Art in Italia, fondatore di Strano Network e docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze.

AI generated art piece takes first at the state fair

AI generated art piece takes first at the state fair

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Come gli algoritmi di AI generano opere d’arte

L’immensa offerta di database di immagini, presenti in Rete con descrizioni testuali, permette a chiunque di diventare un artista della Crypto arte, dando in pasto tali immagini agli algoritmi di text-to-image (come Stable Diffusions uscito ad agosto in open source oppure Dream Studio) per realizzare nuove opere d’arte digitali. I modelli di AI text-to-image sono infatti in grado di generare immagini a partire da un testo.

Basta usare un’opportuna sintassi per creare efficaci prodotti creativi ‘al volo’ attraverso Midjourney via Discord.

Soluzioni suggestive si ottengono mediante le nostre intuizioni grafiche tramite Imagen di Google.

Notissimo Dall-E di Open AI ora arrivato alla seconda versione e disponibile (a un pubblico selezionato, per ora) a 15 dollari al mese.

Meta ha lanciato Make a Scene quest’anno e questa settimana Make A Video, dove l’AI crea un video clip sulla base di qualche riga di testo.

Inoltre Cloud Vision AI è capace di interpretare ogni immagine grafica, sotto il profilo semantico, abbinandola semanticamente a concetti e parole. Quindi, all’artista improvvisato è sufficiente immaginare una frase ad effetto, darla in pasto al text-to-image e il gioco è fatto.

Sono software open-source divertenti, ma i risultati sono a volte spacciati come “arte di alta qualità”, quando invece si limitano a catturare da Internet immagini di altri artisti o utenti, senza chiedere permessi o autorizzazioni. Dunque, pongono problematiche di natura etica, di copyright digitale e sicurezza.

Infatti “è importante segnalare”, commenta Barbara Gualtieri, avvocata, presidente del Movimento Difesa Cittadino di Firenze ed esperta di diritto d’autore nell’era digitale, “che anche una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo, Getty Images, nota per foto nel settore spettacolo, sport, arte, veri capolavori che hanno immortalato momenti topici fra cui Oscar e Olimpiadi, Campionati del Mondo di calcio, ha annunciato che vieterà di caricare o vendere immagini che siano state generate attraverso software di apprendimento automatico“.

Le opere frutto degli algoritmi dell’AI sollevano tre questioni

Le opere d’arte generate dai text-to-image e dagli algoritmi di AI lasciano aperte tre grandi problematiche tuttora prive di soluzione: la proprietà intellettuale, da cui discende il dilemma del compenso (a chi spetta la retribuzione degli artisti); le questioni etiche (dalla sostenibilità ecologica al tema della creatività, fino ai noti problemi legati agli algoritmi AI); la cyber censura.

Il problema del copyright

Il primo grande problema riguarda la proprietà intellettuale. Non è facile attribuirla, ma un fatto è certo. Le immagini sono catturate dalla Rete, attraverso l’alternativa testuale (l’Alt immagine), senza chiedere il consenso a fotografi ed artisti.

“Craig Peters, amministratore delegato di Getty Images”, continua Gualtieri, “ha infatti detto di aver preso questa decisione al fine di tutelare i clienti dell’azienda. Infatti, cominciano ad emergere dubbi nei confronti della proprietà intellettuale delle immagini che vengono prodotte da questi programmi”.

Ma Getty Images non è la prima piattaforma ad aver preso posizione in merito. Infatti, “nelle scorse settimane anche il sito Fur Affinity, che si occupa di produrre fumetti e arte di genere furry (ovvero animali antropomorfi) ha detto di voler tutelare il lavoro degli artisti ‘reali’, quelli in carne ed ossa”, sottolinea Gualtieri. Significa dunque che gli algoritmi AI fanno sentire gli artisti messi sotto pressione, perfino defraudati del loro copyright digitale.

“Anche altre grandi piattaforme simili, come DeviantArt sembra stiano seguendo la strada aperta da Getty Images e Fur Affinity”, mette in guardia Barbara Gualtieri.

In futuro, secondo il MIT Technology Review, il lavoro degli artisti potrebbe seguire il modello Netflix: la remunerazione potrebbe basarsi sul pay-per-play o modelli in abbonamento.

Infatti c’è un problema di introiti. “l’aumento della varietà di nuovi programmi disponibili per la creazione di arte digitale ha suscitato numerose perplessità da parte di coloro che ritenevano che tali strumenti rendessero le cose troppo semplici, con una ripercussione sulle fonti di reddito degli artisti tradizionali”, continua Gualtieri.

Secondo il New York Times, ciò che rende questa generazione di intelligenza artificiale diversa da altri strumenti non è soltanto il fatto che è in grado di produrre bellissime opere d’arte con il minimo sforzo, ma è il modo stesso in cui funziona.

Infatti, “soluzioni come Dall-E 2 di Open AI e Midjourney”, continua Gualtieri, “vengono create estraendo milioni di immagini dal web e insegnando agli algoritmi a riconoscere schemi e relazioni in quelle immagini per generarne di nuove con lo stesso stile. Ciò significa che gli artisti che caricano le loro opere su internet potrebbero involontariamente aiutare a formare i loro concorrenti artificiali”.

“Secondo l’artista Andy Baio, un artista, frustrato dal fatto che un’opera basata sul suo stile sia diventata virale, potrebbe arrivare a sostenere che Open AI si sia appropriata della sua arte senza offrirgli una ricompensa per addestrare il suo motore e realizzare un profitto”.

Il tema etico

Ma non ci sono solo gli aspetti economici, bensì anche profili più strettamente etici da prendere in considerazione. Per esempio, “molti si interrogano sul concetto di ‘arte’ e di ‘artista’ in questo contesto”, afferma Gualtieri: “Molti ritengono che un’opera d’arte prodotta da un’intelligenza artificiale possa essere considerata tale o che vengano parzialmente meno creatività, originalità”.

Infatti agli occhi di numerosi critici appare come arte dozzinale e derivativa. L’unica originalità sembra limitarsi a trovare la frase perfetta con cui l’AI può generare l’opera. Arriva dal Colorado la storia di Jason M. Allen che ha vinto un concorso d’arte con un’opera creata con Midjourney (intelligenza artificiale). “Allen ha dichiarato che serve molta creatività umana per riuscire a trovare una frase perfetta che agevoli l’algoritmo nella realizzazione di un’opera in grado di vincere un premio, ma ha ricevuto pesanti critiche”, aggiunge Barbara Gualtieri.

Inoltre non è solo una questione di creatività digitale. Per esempio, effettuando una ricerca fra art model eseguiti con l’AI, basta cercare il termine “asiatico” per essere travolti da una valanga di pornografia. Ciò solleva un’altra questione etica non indifferente, se l’AI attribuisce esclusivamente contenuti porno alle donne asiatiche o contenuti criminali associati a persone di colore.

La cyber censura

Nell’AI cinese non esiste la piazza Tienanmen, oggi rinominata Tiananmen, dove nel 1989 venne soffocata nel sangue la protesta dei giovani cinesi pro democrazia e libertà.

Tienanmen è una parola proibita sul web dagli albori della rete cinese. Ma ora Pechino ha esteso la cyber censura dal Grande Firewall su internet ai sistemi AI.

Tuttavia non c’è solo il senso della Cina per la censura. Giada Pistilli, esperta di etica presso Hugging Face, startup AI, afferma che sfumano i confini fra censura e moderazione, anche in altre culture e regimi democratici. In Francia il secolarismo impone il divieto dell’uso di simboli religiosi in pubblico e in USA è l’opposto: tutto è permesso.

Dunque, non bisogna usare l’AI cinese perché significa adottare sistemi di intelligenza artificiale pesantemente censurati. Ma, sempre per motivi etici, non è possibile neanche utilizzare modelli di AI che si riferiscono alle donne asiatiche come ad oggetti sessuali o a persone di colore come a membri di gang criminali.

L’urlo degli artisti defraudati dalla Crypto arte

Numerosi artisti si stanno ponendo la domanda se l’arte abbia davvero bisogno degli algoritmi di AI e se questo fenomeno apra nuovi interrogativi che richiedono urgenti risposte.

Abbiamo intervistato Tatiana Bazzichelli, fondatrice e direttrice del Disruption Network Lab, organizzazione no-profit con sede a Berlino che dal 2014 organizza eventi internazionali su arte digitale e diritti umani, già curatrice presso il festival d’arte e cultura digitale transmediale, autrice dei libri “Networking: La rete come arte” e “Whistleblowing for Change“.

Tatiana Bazzichelli: l’arte è business, ma ora siamo oltre

“Se un tempo l‘idea di progettare un contesto condiviso in cui tutti potessero esprimersi era al centro delle utopie di Internet”, commenta Tatiana Bazzichelli, “oggi ci troviamo di fronte a una realtà meno ottimistica”.

“Viviamo in una rete interconnessa di aziende che estraggono informazioni personali guidate da principi di marketing, algoritmi progettati per la raccolta di dati, e tecnologie create per garantire trasparenza e cooperazione, come la blockchain, trasformate in occasioni per accumulare ancora più ricchezze”, mette in guardia Bazzichelli.

“Lo stesso è successo con le pratiche artistiche in rete: dai network condivisi di quasi trenta anni fa, nella metà degli anni 2000 siamo passati al concetto di social networking controllato da aziende con una capitalizzazione di mercato di 500+ miliardi di dollari”, e recentemente abbiamo assistito all’emergere delle opere dell’AI.

“Certamente l’arte è sempre stata un business, e deve comunque trovare modo per inventare nuovi sistemi di esclusività, ma di fatto si tratta di operazioni di mercato che dicono poco della qualità delle opere in sé. ”

Senza dimenticare la sostenibilità digitale. “Parlando del tema del dispendio dell’energia elettrica in rete, consiglio di seguire il lavoro dell’artista spagnola Joana Moll, la vincitrice della menzione onoraria al festival Ars Electronica con il lavoro Inanimate Species, che da tempo si occupa degli effetti della CO2 emessa, in particolare, da grossi motori di ricerca come Google”.

Denis “Jaromil” Roio: l’assalto del mondo dell’arte

“Gli algoritmi all’assalto del mondo dell’arte”, spiega Denis “Jaromil” Roio, ricercatore e fondatore direttore della fondazione Dyne.org, autore del saggio dal titolo “Bitcoin, la fine del tabù della moneta”.

“Il dibattito che suscitano suggerirà una riflessione critica sul mondo dell’arte che funziona come un mercato mercificato per il riciclaggio di denaro”, sottolinea Denis Roio, “o sul potere dell’industria dell’intrattenimento nel sintetizzare le merci digitali abbassando i loro costi marginali di produzione. Credo che ci vorrà molto tempo prima di vedere innovazioni più avanzate della tecnologia crypto venir comprese dal grande pubblico: l’immaginario collettivo sembra essere intorpidito dai road-show dell’industria finanziaria e questi fenomeni (algoritmi AI, NFT eccetera, ndr)” non fanno altro che “trapelare la sua sociopatia nel mondo dell’arte con l’unico merito di aver aperto le porte a pochi artisti e performer prima sconosciuti”.

Tommaso Tozzi: beni comuni catturati per arricchire pochi

Tommaso Tozzi ritiene che questi fenomeni (gli Nft) alimentano il perseverare di quel “territorio” e “contesto, quello dell’economia immateriale e del lavoro cognitivo (già a suo tempo prevista da Marx), che si basa oggi su algoritmi, sistemi di telecomunicazione e tecnologie digitali che sono stat creati – dai loro inventori e da una maggioranza di coloro che ancora continuano a svilupparle per motivi opposti -, per favorire l’esistenza di una forma di merce immateriale duplicabile e condivisibile all’infinito in modo libero”.

“Da una parte abbiamo dunque una maggioranza di umani che crea, lavora e produce cercando di far parte di una rete progressiva di invenzioni e scoperte che sono un bene dell’umanità, in quanto tutti hanno partecipato, chi per un verso e chi per un altro, alla loro creazione e produzione”.

Dall’altro lato vi è una “minoranza” che si appropria, anche attraverso il text-to-image, di “beni e saperi che dovrebbero essere condivisi”, e invece si arroga di “una proprietà privata (oggi sotto forma di Nft)”. Tozzi accusa questa minoranza di “ipocrisia ed egoismo”.

“Se la scienza moderna, come afferma Gaston Bachelard, ha dovuto affermarsi superando gli ostacoli determinati da un’immaginario scientifico precedente fondato su presupposti metafisici (fondamentalmente alimentati dall’impianto aristotelico-tolemaico) a cui oggi non viene dato più alcun valore di fondamento scientifico”, mette in guardia Tommaso Tozzi, “la scienza contemporanea deve riuscire a condannare gli ostacoli che tuttora persistono sul suo cammino sotto forma di ipocrisia, violenza ed egoismo”.

Tozzi auspica che l’umanità impari a “superare questi ostacoli che si frappongono a uno sviluppo pieno non solo del bene comune, ma di ogni
potenzialità della scienza stessa”. Il pioniere della Net Art italiana conclude: “Ci auguriamo dunque che la ricerca scientifica non sia passata da una ricerca della ‘conoscenza di per sé’ a una ricerca della ‘conoscenza di per me’, ma che possa invece instradarsi nella ricerca di una ‘conoscenza di per te’ e ‘di per tutti'”.

Guido Segni: La speculazione fa parte del mercato dell’arte

“Nel mood generale, gli artisti mi sembrano più contenti che defraudati”, afferma controcorrente Guido Segni, fondatore del collettivo Les Liens Invisible e insegnante all’Accademia di Belle Arti di Carrara: “Consente loro di sviluppare progetti di piccole dimensioni che si inseriscono in una dinamica speculativa, tipica del mondo dell’arte, che può aprire le porte a ‘facili guadagni'”.

Tuttavia, alcuni artisti contestano il meccanismo che cattura le loro opere, senza chiedere consensi ed autorizzazioni o offrire ricompense, per farne opere nuove su cui il mercato dell’arte costruisce una dinamica speculativa.

Quello che invece gli algoritmi di AI sconquassano è il concetto di “digitale vissuto nell’arte come dimensione collettiva”, introducendo un cortocircuito, perfino “un’allucinazione collettiva: guadagno facile, in primis, attrazione di nuovi tipi di intermediari. Inoltre, l’aspetto economico-speculativo ha travolto le precedenti utopie sulla rete e creato diffidenza. Ma in realtà le nuove tecnologie sono funzionali al mondo dell’arte“, rimettendo in moto la dinamica speculativa, il motore di questo mercato. “La Crypto arte è una sperimentazione: trasforma forme ed estetiche in contenuti e rende vendibili questi contenuti digitali”, afferma Guido Segni.

“Inoltre, la Net Art, a cavallo degli anni ’90-2000, aveva superato il concetto di galleria, invece gli algoritmi di AI annullano tutte le battaglie dei net artisti anche sui beni comuni eccetera“.

“La mia perplessità è che la Rete diventi una griglia di distribuzione di contenuti, una sorta di Instagram. Non ho dunque nulla contro questi fenomeni in sé, ma sicuramente sono da catalogare come reazionari, rispetto alle istanze introdotte dai net artisti nel ventennio precedenti, per la modalità in cui sono stati introdotti e l’immaginario che hanno contribuito a creare. Secondo me, gli Smart Contract sono un fenomeno molto più interessante e da seguire”.

Agnese Trocchi: L’alternativa delle tecnologie conviviali

“Esistevano altre tecnologie, non diverse dalle prime, ma che semplicemente seguivano altre vie”, afferma Agnese Trocchi, scrittrice e digital communication manager, “tecnologie sviluppate per rinsaldare i rapporti tra le realtà, per farci godere di cose belle, per stare insieme, per creare opere, per lavorare con precisione. Tecnologie conviviali (tali perché rifiutano la routine di obbedienza e comando) immaginate e scritte da persone a cui non importava di diventare ricche, persone a cui non interessava trarre profitto e che non pensavano che la libertà coincidesse con la libertà di comprare e vedere qualunque cosa”,.

La soluzione: più monitoraggio e controlli

Abhishek Gupta, fondatore del Montreal AI Ethics Institute e responsabile esperto dell’AI del Boston Consulting Group (Bcg), intravede anche rischi legati alla sicurezza informatica.

Puntano il dito contro Stable Diffusions e il modello Bloom, perché potrebbero consentire ad attori malevoli di generare contenuti dannosi, servendosi di poche risorse open source. In fondo, questi tool sono come i generatori di deep fake o disinformazione, ma pompati con gli steroidi, elevati all’ennesima potenza. Dunque è l’ora di monitorare questi potenti sistemi di AI, in grado di traumatizzare persone, e di introdurre controlli per evitare gli scenari peggiori.

Di fondo c’è che la tecnologia continua a evolvere, sia in efficacia sia in applicazioni e utilizzi, ma le sue conseguenze sono ancora lasciata senza scrutinio indipendente.

Alcune società, come Open AI usano algoritmi e staff umano per moderare l’utilizzo del prodotto. Ma siamo così, come sui social, ancora al livello dell’auto-regolazione.

I problemi sono numerosi: disinformazione, usi malevoli e dannosi, lesione del copyright, concorrenza sleale al lavoro umano. Si intrecciano temi sociali, etici, di diritto d’autore, giuslavoristici, di privacy.

L’Europa ha solo da poco cominciato ad affrontare tali questioni con bozze di normative sull’intelligenza artificiale e il resto del mondo è anche più indietro.

Nel frattempo la tecnologia non aspetta e diventa sempre più precisa, sempre più utilizzata. Sempre più efficace. Più efficace nello svolgere il suo compito designato. Non lo stesso si più dire in termini di benefici collettivi.

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