LO SCENARIO

Intelligenza artificiale, perché l’Italia deve proseguire la strategia nazionale

La consultazione lanciata dal Mise si concentra sullo sviluppo sostenibile del Paese e mette al centro un progresso tecnologico al servizio dell’uomo. Ma la sfida passa attraverso una molteplicità di piani. Un’analisi degli impatti dei sistemi di AI sul futuro dell’economia

Pubblicato il 13 Set 2019

Domenico Bevere

Economic Analyst Osservatorio per la protezione dell'economia CSSII Centro Universitario di Studi Strategici Internazionali e Imprenditoriali

intelligenza artificiale e lavoro – transumano

Finisce oggi la consultazione del ministero dello Sviluppo economico ha lanciato una consultazione pubblica sulla Strategia Nazionale per l’Intelligenza Artificiale, elaborata attraverso il supporto del gruppo dei 30 esperti incaricati di redigere il Piano.

Il documento è strategico e ci auguriamo che il nuovo Governo continui in questa direzione, come lascerebbe del resto presagire il discorso del premier Conte alla Camera (dove evidenzia il ruolo dell’intelligenza artificiale per il futuro).

Le linee guida AI dell’Italia in sintesi

Il documento si compone di una fase introduttiva in cui vengono individuati gli obiettivi e la visione strategica italiana, seguita da nove capitoli ognuno dei quali corrisponde agli obiettivi che la strategia si prefigge di raggiungere:

  1. Incrementare gli investimenti pubblici e privati nell’AI e nelle tecnologie correlate;
  2. Potenziare l’ecosistema della ricerca e dell’innovazione nel campo dell’AI;
  3. Sostenere l’adozione delle tecnologie digitali basate sull’AI;
  4. Rafforzare l’offerta educativa a ogni livello per portare l’AI al servizio della forza lavoro;
  5. Sfruttare il potenziale dell’economia dei dati, vero e proprio carburante per l’AI;
  6. Consolidare il quadro normativo ed etico che regola lo sviluppo dell’AI;
  7. Promuovere la consapevolezza e la fiducia nell’AI tra i cittadini;
  8. Rilanciare la PA e rendere più efficiente le politiche pubbliche;
  9. Favorire la cooperazione europea ed internazionale per un’AI responsabile e inclusiva.

Dall’analisi del documento emerge la volontà di contribuire a una visione di lungo periodo per uno sviluppo sostenibile del nostro Paese, in grado di porre al centro l’uomo e il progresso tecnologico al suo servizio.

L’intelligenza artificiale, considerata dal World Economic Forum 2019 come la quarta rivoluzione industriale, rappresenta una sfida per la ricerca scientifica, per le politiche economiche, per le politiche sociali, per i Dipartimenti di Difesa e Sicurezza di ogni Paese, nonché per i rischi a essa collegata.

AI, come cambiano i processi industriali

Il cambio di prospettiva avviato dall’AI è permeata nel tessuto industriale divenendo, in molti casi, la componente fondamentale del vantaggio competitivo delle aziende, a maggior ragione in quei settori soggetti a repentini e forti mutamenti. La trasformazione digitale in atto si tramuta nella necessità di un riassetto organizzativo e produttivo capace di integrare in maniera rapida e continua le nuove tecnologie a supporto dell’innovazione dei processi che sorreggono l’industria.

In questo contesto, la produzione massiva dei dati, unita a sistemi intelligenti di elaborazione e analisi, può essere utilizzata in maniera proficua nelle fasi della produzione, assemblaggio e distribuzione, ossia lungo tutta la catena del valore. Per tale motivo il mercato dei dati è stato paragonato dall’Economist a quello del petrolio, definendolo l’oro nero del XXI secolo capace di influenzare, attraverso il suo controllo, gli equilibri di potenza economico-politici su scala globale.

Perché ciò accada sarà necessario la presenza di due condizioni: le nuove tecnologie devono essere in grado di trasformare celermente le fonti di produzione della ricchezza (dal vento al vapore, dal petrolio al nucleare e così via) e, dall’altra, solo alcuni paesi devono essere in grado di sfruttare questa transizione e devono riuscirci con un vantaggio tale da lasciare indietro tutti gli altri (Gilli, 2019).

AI e mercato del lavoro: le due teorie a confronto

Al riguardo, aleggia un po’ di scetticismo. Vi sono da un lato economisti ed esperti del settore i quali già da tempo si interrogano su quali strumenti attivare per impedire che l’evoluzione della società verso un’economia a sempre minore intensità del lavoro – evoluzione amplificata dall’utilizzo di AI – non si traduca in un impoverimento della popolazione, e dall’altro studiosi e accademici che affermano come le macchine e i sistemi esperti continueranno a essere al fianco dell’uomo in modalità di ausilio, aprendo nuove frontiere.

La struttura delle catene del valore, secondo Richard Baldwin (professore di economia internazionale presso il Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra), ricevono da queste tecnologie due differenti canali di influenza sulla divisione ottimale del lavoro. In particolare, vi sono alcune che facilitano il coordinamento e la comunicazione tra i diversi anelli della catena del valore e, quindi, permettono una successiva e ulteriore parcellizzazione delle fasi produttive per ogni tipologia di occupazione e delle occupazioni per ogni stadio di lavorazione che si traduce a sua volta in un aumento della lunghezza delle catene.

È il caso dell’AI e dell’IoT, con la prima che potrebbe aiutare ad automatizzare varie fasi della supply chain, come ad esempio la manutenzione predittiva attraverso cui vengono identificati i pattern di dati allo scopo di anticipare il futuro, i forecast e la pianificazione della produzione. L’IoT potrebbe comportare benefici sulla gestione logistica, si pensi all’utilizzo di blockchain per tracciare spedizioni globali con etichette a prova di manomissione così da ridurre drasticamente i tempi necessari all’invio di documenti cartacei.

Ve ne sono altre, invece, che rendono più agevole per il singolo lavoratore svolgere mansioni che prima richiedevano un team di lavoratori specializzati, con la conseguenza di una riduzione della lunghezza della catena e dei benefici della specializzazione.

AI, investimenti in Italia e nel mondo

In Italia il mercato dell’Intelligenza Artificiale è ancora alle fasi primordiali, con una spesa di appena 85 milioni di euro nel 2018 e con il 12% delle imprese che ha portato a termine almeno un progetto di AI (Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano).

Una visione ancora confusa delle opportunità dell’intelligenza artificiale se rapportate ai 30 miliardi di dollari di capitale di rischio stanziati dal governo cinese su tecnologie AI entro il 2030. La sola città di Pechino, ad esempio, ha annunciato che impiegherà 5 miliardi di dollari sullo sviluppo di tecnologie e attività di apprendimento automatico. L’AI negli Stati Uniti risulta, a differenza, trainata dal settore privato, ed in particolare dai colossi Google, Amazon, Facebook, IBM e Microsoft, con una spesa combinata in R&D pari a 54 miliardi di dollari.

Dal punto di vista accademico, invece, lo studio Forbes Platform 2018 evidenzia come l’Italia si trovi tra le cinque nazioni leader in AI, non per quantità di prodotti scientifici quanto per qualità, con la Cina che ha superati gli Stati Uniti in ogni indice di valutazione in AI.

L’Europa, a causa della frammentazione di Stati, evidenzia la mancanza di una strategia comune e di centri aggreganti in grado di consolidare la ricerca industriale, a cui si aggiunge una sostanziosa perdita di talenti che emigrano verso paesi con più alta opportunità di carriera e stipendio. Piccoli spiragli sono dati dalle iniziative ELLIS (European Laboratory for Learning and Intelligence Systems) di origine anglo-franco-tedesca e CLAIRE (Confederation of Laboratories for Artificial Intelligence Research in Europe).

AI, come proteggere gli investimenti

L’impatto dell’intelligenza artificiale sulle catene del valore non sarà travolgente e dipenderà in parte dalla rilevanza delle diverse nuove tecnologie nei diversi settori industriali e nei diversi modelli di business.

Una volta sviluppato un adeguato know how in AI, difficile sarà proteggere la conoscenza acquisita attraverso un sistema di investment and technology screening così da evitare comportamenti predatori tali da permettere l’erosione del vantaggio competitivo.

Non è esclusa la possibilità che dette tecnologie permettano di esercitare un controllo, in capo alle aziende, ancor più serrato del proprio vantaggio, non dovendo affidare in outsourcing operazioni aziendali. A tal fine il decreto Golden Power punta in questa direzione anche se questa misura da sola non può essere sufficiente a tranquillizzare gli alleati, in primis gli Stati Uniti, poiché basata su una scelta di utilizzo completamente discrezionale da parte del governo italiano.

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