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Intelligenza artificiale e videogame: come il deep learning cambierà le regole del gioco

L’Intelligenza artificiale viene limitata nei videogame attuali ma verrà sviluppata per esperienze di gioco sempre più personalizzate: genererà scenari imprevedibili e imparerà dai giocatori. Come inciderà sul controllo del gioco e con quali conseguenze?

Pubblicato il 18 Feb 2021

Lorenza Saettone

Filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons

AI videogame

L’Intelligenza Artificiale viene sempre più utilizzata nei videogame.  Ma se questa coinciderà con l’avversario da battere nel gioco, la partita sarà persa in partenza. Il videogame sarà troppo veloce, sovrumano: per noi il divertimento sarà un vecchio ricordo, possibile solo nell’asilo degli umani gamer. Non a caso, per garantire un’esperienza di gioco gradevole, molti sviluppatori hanno limitato le capacità dell’Intelligenza Artificiale incorporata nel videogame.

Rapidità, risorse cognitive illimitate, multi-tasking sono stati ridotti come quando un adulto fa una gara di corsa col figlio di cinque anni.

Su Youtube sono disponibili molti frammenti di videogame in cui l’Intelligenza Artificiale gioca da sola, portando a termine i livelli. Di fronte alla maestria del computer, noi esseri umani non possiamo che ammettere un’inferiorità essenziale: Super Mario avanza e piroetta nel platform, schivando abilmente i piccoli nemici, senza sbagliare un tasto, senza mai distrarsi; i quattro alieni di Elon Musk apprendono come cooperare nel gioco del nascondino e sviluppare strategie utili; il tetris appoggia ogni mattoncino meglio del miglior muratore dell’antica Roma.

Qual è dunque il futuro dell’Intelligenza Artificiale nei videogiochi? Esiste un margine di uso?

Intelligenza Artificiale e videogame: il deep learning porterà alla fine dello spoiler?

Al di là della ricerca universitaria, sembra che l’IA verrà sviluppata per generare un’esperienza di gioco migliore e sempre più personalizzata e non nemici impossibili da battere. Anche il futuro del cinema va in questa direzione: il creativo Pietro Gagliano ha presentato al Festival Internazionale di Venezia 2020 Agence,  film interattivo e dinamico che ha unito VR e Intelligenza Artificiale. In “Agence”, i personaggi sono piccoli alieni che crescono e apprendono direttamente dagli spettatori: non ci sono obiettivi veri e propri, l’utente può interferire nelle attività di questi esseri, punendoli, consolandoli, diventando elemento di caos o di equilibrio nella loro comunità.

L’Intelligenza Artificiale impara dalle proprie esperienze, cambia e si adatta: è possibile offrire alla rete neurale dataset di livelli, ambientazioni, contesti, personaggi, in modo che nel game play ci restituisca mondi sempre diversi ma tutti possibili. L’Intelligenza Artificiale garantirebbe, così, un’esperienza di vita, più che di gioco, realistica, a maggior ragione se usata insieme ai visori di realtà virtuale.  È dietro l’angolo l’uso del deep learning per creare storie che si adattino al modo di giocare del gamer e che generino personaggi in grado di ricordare e comportarsi coerentemente rispetto alla loro memoria di lavoro.

Sarà la vittoria dell’individuo, del prospettivismo e del relativismo più estremi? Un gioco tripla A, cucito addosso alle proprie preferenze con precisione sartoriale fino a poco tempo fa era un lusso a cui solo Richie Rich, il “bambino più ricco del mondo” dei fumetti Harvey, avrebbe potuto ambire, ma che oggi è alla portata di tutti. In questo scenario, il game play generato dall’Intelligenza Artificiale sarà impossibile da rovinare con uno spoiler, proprio perché ognuno avrà un’esperienza unica, modellata su azioni, gusti, tono emotivo individuali. La domanda “l’hai giocato quel videogame?” non avrà più senso, perché “quel videogioco” sarà un unicum non replicabile.

Intelligenza Artificiale e videogame: come gestire l’azione umana non prevedibile?

Il problema maggiore dell’uso dell’IA per la creazione di videogame è l’imprevisto: lo sviluppatore vuole poter controllare il gioco e prevedere il tipo di esperienza dell’utente. Le trame dei videogiochi sono ormai così complesse che, anche senza l’uso del deep learning, ciascuno può già affermare di aver giocato ad una storia differente: ma l’uso delle reti neurali e degli algoritmi di auto-apprendimento inserirebbero nel gioco la non anticipabilità tipica dell’azione umana, quella che rende la sociologia una disciplina incapace di scovare leggi universali. Non è possibile trovare “corsi e ricorsi” generali nel comportamento umano e quindi nella storia, utili a fare previsioni deterministiche.

I videogame finora fingono di aver incorporato la libertà d’azione. Sembra un po’ quell’incoerenza nel sistema hegeliano per la quale l’uomo è libero di non potersi comportare diversamente da come la Ragione ha prescritto. In pratica, conoscendo le risposte statisticamente probabili e le tendenze psicologiche di un essere umano che gioca, è possibile ipotizzare una serie di possibilità entro cui il computer dovrà scegliere quando dovesse verificarsi una delle condizioni anticipate previste.  L’apparente intelligenza artificiale viene inserita in trame come quella di “Detroit: Become human“, ma si tratta solo di una finzione. È la differenza che sussiste tra un miracolo compiuto da un santo e l’illusione riprodotta da qualche prestidigitatore.

Detroit: Become Human |Trailer di lancio | PS4

Detroit: Become Human |Trailer di lancio | PS4

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Il videogioco “Detroit:become human” ha una pletora di bivi e biforcazioni di bivi, tali che le esperienze di gioco vissute dai gamer saranno davvero tutte diverse e coerenti con le decisioni che ciascuno metterà in atto. Tuttavia queste possibilità restano opzioni controllate, inserite e previste dallo sviluppatore: non sono scelte che il computer inventa in autonomia, sulla base dell’esperienza e della conoscenza del giocatore.

Come funzionano i videogiochi e cosa cambierà con il deep learning

Durante la programmazione e lo sviluppo dei videogiochi, a partire dagli studi della psicologia cognitiva vengono estratti gli errori sistematici, i bias tipici dell’essere umano, e inseriti nei codici dei personaggi, che faranno perno proprio sulle umane debolezze specifiche per elaborare le loro strategie. I boss del videogioco “Dark Souls” sono così difficili da battere perché sono programmati per anticipare i nostri errori sistematici .

Gli algoritmi sono procedimenti deterministici e non ambigui: in un numero finito di passi, ci restituiscono l’output, la risposta. In presenza di una certa condizione, l’algoritmo sa con certezza che dovrà seguire quell’effetto, in base alle regole che il programmatore ha incorporato nel software. Il determinismo è anche il limite dei programmi: poiché la realtà spesso non è così netta, spesso gli algoritmi si bloccano con input incompleti o non incorporati nel codice. In queste situazioni ambigue, ad esempio un’immagine parziale, i software non sanno rispondere, dando messaggio di errore. Il reCAPTCHA sfrutta l’apporto umano per risolvere quelle ambiguità che i computer non sanno interpretare in automatismo: distinguendo le immagini sfocate o le lettere parziali in un testo, l’umano dimostra di non essere un bot e allo stesso tempo fornisce al motore di ricerca un aiuto con degli input a cui finora solo l’uomo sapeva dare una risposta.

Nel Machine Learning invece la rete neurale risponde anche in mancanza di input completi; riesce ad applicare il ragionamento induttivo e a generalizzare sulla base dell’esperienza. Quindi gli ambienti che una rete neurale addestrata può restituire sono davvero creativi e inaspettati. Non è semplicemente una generazione procedurale come quella applicata in videogame come “No Man’s Sky” o “Elite“, in cui l’algoritmo è programmato per generare “infiniti” mondi da esplorare, ma sempre da “aggregati” prevedibili.

L’applicazione del deep learning nei videogame è ancora in un’età iniziale di sviluppo, come sostiene Tim Sweeney, CEO di Epic Games,una delle più importanti case di produzione. Per adesso, i videogiochi vengono usati al massimo come training set per la rete neurale. Essendo ambienti complessi, realistici e dotati di sistemi di ricompensa, vengono frequentemente somministrati all’IA per apprendere e adattarsi.

Il futuro, tuttavia, sarà quello di offrire esperienze di gioco dinamiche, emozionanti e personalizzate. Il machine learning potrà generare personaggi NPC-Non Player Characters in grado di rispondere all’unicità del giocatore, intavolando interazioni non pre-programmate, capaci di vincere il Turing Test. Inoltre la sfida sarà quella di creare universi, open world senza confini, velocizzando, al tempo stesso, anche lo sviluppo videogame da lanciare sul mercato. L’IA potrebbe inoltre essere sfruttata come valido e veloce debbugger: attraverso la somministrazione del videogame alla rete neurale, sarà possibile scoprire velocemente le falle nel codice.

IA e videogame: il paradiso del narcisismo o l’occasione per evolvere?

Il problema maggiore che ostacola l’uso del deep learning è che l’Intelligenza Artificiale potrebbe trasformare il videogame in una sfida impossibile o poco emozionante. Durante il processo di brainstorming umano vengono prodotte valanghe di idee ma di tutta la massa, forse solo una o due hanno valore: il computer potrebbe inventare infinite storie, ma quante di queste sarebbero autenticamente giocabili ed emozionanti? Per definire il valore di qualcosa c’è, per ora, ancora bisogno dell’uomo, che non potrà intervenire nel caso di un’Intelligenza Artificiale che, “on the fly”, creerà la storia per un gamer.

La libertà è vuota se non si accompagna alla responsabilità: il deep learning, in qualità di storyteller, dovrebbe essere implementato di “buon gusto” e di empatia, caratteristiche umane ancora non spiegabili algoritmicamente, poiché legate al senso del bello e del buono. Ogni sviluppatore umano, invece, si pone sempre nei panni di chi giocherà il videogame, anticipando, nei dettagli, l’esperienza del target: la casualità tende a rappresentare un importante impedimento all’uso del maching learning nella game industry.

Nel racconto fantascientifico intitolato “The Veldt“, lo scrittore Ray Bradbury ha descritto negli anni ’50 una stanza dei giochi programmata per restituire, sulle pareti, l’ambiente desiderato dalle persone che la abitavano. In pratica, una stanza in cui vivere un’esperienza di realtà virtuale costruita sulle proprie caratteristiche. Ad un certo punto, i genitori, preoccupati per l’alienazione dei figli, esprimevano l’intenzione di mettere fine a quel gioco ma la stanza era diventata così intelligente da sviluppare coscienza di sé e della propria autoconservazione: i genitori alla fine del racconto muoiono proprio nella savana virtuale creata dai desideri dei figli. Non verremo assassinati da un videogame, ma chissà che l’ambiente che genereremo con la nostra cifra personologica non ci sembrerà tanto reale da portare qualcuno a pensare di essere morto nel game play o da non voler più abbandonare “il miglior mondo possibile”. Un open world strutturato sul soggetto, su ciò che gli piace, potrà privare l’individuo della frustrazione che siamo abituati a vivere nel mondo fisico: l’IA ci potrà proteggere dal senso di colpa, dalla vergogna, dal limite, dandoci solo ciò che vogliamo: il paradiso del Narcisismo.

Non solo, se i nemici del videogioco evolveranno imitando i giocatori, le loro strategie, i loro talenti per apprendere e diventare sempre più forti, allora ci troveremo di fronte a delle specie di Majin Bu della serie Dragon Ball, mostro che risucchiava le skills dei combattenti risultando potenzialmente invincibile. Un nemico da sconfiggere con la forza della cooperazione.

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