reale e virtuale

Internet ai tempi del covid-19: gli effetti della pandemia sulla nostra vita digitale

Non è concepibile una società che vive solo in remoto, ma l’isolamento forzato a cui ci ha costretto la pandemia globale avrà fatto sì che l’online non verrà più percepito come un momento accessorio, ma come un momento sostanziale della vita in quanto persone, cittadini, consumatori, lavoratori

Pubblicato il 30 Mar 2020

Davide Bennato

professore di Sociologia dei media digitali all’Università di Catania

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La condizione di isolamento che stiamo vivendo in questi giorni è senza dubbio qualcosa senza precedenti, almeno nel passato recente. È sicuramente ridondante osservare che la pandemia globale ci sta abituando ad una forma di quotidianità completamente diversa da quella che ha caratterizzato le nostre giornate fino alla metà dello scorso febbraio.

Allo stesso modo è pleonastico dire che questa condizione di confinamento forzato sarebbe stata molto più difficile da sostenere se non ci fosse stato internet a rappresentare una importante componente della nostra vita quotidiana: spesa, informazione, relazioni sociali amicali e lavorative avrebbero avuto un destino profondamente diverso se in questi spazi non si fossero inseriti i servizi digitali a cui ormai siamo abituati ma che in questa condizione hanno assunto un significato completamente diverso.

Il virtuale è reale

Una delle frasi più azzeccate del Manifesto della Comunicazione Non Ostile è “Il virtuale è reale”. Può sembrare un gioco di parole, ma è effettivamente così. Detto in maniera didascalica senza ricorrere ad aforismi, possiamo dire che la nostra vita digitale è altrettanto consistente e altrettanto reale della nostra vita tradizionale.

In realtà non è una novità: i sociologi sono anni che vanno dicendo che il virtuale esiste come aggettivo ma non come condizione esperienziale, ormai la rete con la sua potente offerta di socialità, fa si che ci sia una forte continuità fra la nostra identità online e offline. L’obiezione più classica è che online possiamo controllare meglio la nostra immagine, molto più difficile da fare fuori da internet. In realtà questo è vero fino a un certo punto: possiamo cercare di dare una immagine migliorata di noi, ma siamo sempre noi. È un po’ lo stesso processo che avviene in alcune condizioni sociali – per esempio quando stiamo flirtando – cerchiamo sempre di dare di noi l’immagine migliore che possiamo, ma prima o poi la nostra identità emerge che lo si voglia oppure no. Quindi noi siamo online ciò che siamo offline con gli opportuni distinguo.

Inoltre, internet è uno spazio troppo complesso per poterlo considerare univoco. Agli inizi del 2000, la sociologa bulgara naturalizzata canadese, Maria Bakardjieva, fece notare che la socialità in rete si esprime secondo una sfaccettatura di situazioni che possono essere riassunte dal continuum modo del consumo e modo della comunità.

Internet secondo il modo del consumo è uno strumento in cui accediamo a contenuti e informazioni senza curarci di alcun aspetto sociale e relazionale (per esempio: usare un motore di ricerca per cercare un’informazione). Internet usato secondo il modo della comunità è uno spazio di relazione in cui la componente chiave è la condivisione delle esperienze con gli altri (per esempio: un forum dove discutere delle proprie passioni e dei propri interessi).

Questa distinzione ci è utile per due motivi. In primo luogo, perché ci fa capire che non tutto ciò che esiste in rete deve essere declinato nell’ottica della socialità: internet è fatta anche di luoghi sostanzialmente privi di persone. In secondo luogo, questa distinzione è molto utile a orientarci sul fatto che la rete è diventata una vera e propria infrastruttura per qualunque nostra attività, sia accedere a informazioni (contenuti, servizi) sia accedere alla società (amici, colleghi, contatti generici, istituzioni sociali). Questa osservazione ci permette di fare piazza pulita da tutta una serie di osservazioni – francamente noiose – finto intellettuali del tipo “la rete ci isola o ci unisce?” che in questo periodo di reminiscenze manzoniane ricorda fortemente il dubbio fintamente filosofico di don Abbondio sull’identità di Carneade.

La nostra vita digitale è stata essenzialmente un elemento ulteriore della nostra vita quotidiana: esiste la vita dentro internet che impatta certo sulla vita fuori da internet, ma fino a un certo punto. Però quando la vita fuori da internet non c’è più, quando viene messa tra parentesi per un periodo (speriamo breve), cosa accade alla nostra vita online? Semplice: diventa la nostra vita quotidiana in maniera esclusiva: tutto ciò che è esperienza di quotidianità – lavorare, studiare, comprare, leggere, intrattenersi, incontrarsi – esiste solo in virtù delle possibilità che internet ci mette a disposizione.

Gli effetti contro intuitivi della pandemia

Pertanto, la pandemia ha avuto un fortissimo effetto contro intuitivo: ha dimostrato la profonda quotidianità della vita digitale. Detto altrimenti: la vita digitale non è qualcosa di diverso dalla nostra vita quotidiana, è semplicemente la nostra quotidianità giocata con strumenti e regole diverse. Parafrasando una frase celebre: niente è più reale della nostra vita digitale.

A questo punto la domanda: quali sono stati gli effetti della pandemia sulla nostra vita digitale? Proviamo a delineare uno scenario guardando da specifici punto di vista.

Addio hate speech

Dal punto di vista delle persone abbiamo rivalutato l’importanza di sostenerci a vicenda. In un periodo in cui sembrava che internet fosse territorio degli hater o dei troll, improvvisamente gli atteggiamenti ostili e le reazioni litigiose sono venute meno, o comunque sono meno evidenti. In realtà è sempre stato così, ma la vulgata mediale ha sempre voluto delineare una situazione di panico morale che esiste, certamente, ma forse era stata sovradimensionata.

Nuova socialità online

Se frequentiamo gli spazi social in questo periodo, vediamo che ci sono persone che si danno forza reciprocamente dandosi appuntamento sui balconi e condividendo video di canzoni. Vediamo foto di imprenditori del settore floreale che per evitare di distruggere il proprio raccolto, lo danno in regalo alle persone per dare un po’ di colore alla propria casa. Vediamo bambini che hanno imparato a festeggiare i compleanni usando Skype e Whatsapp, mentre gli adulti usano le dirette Facebook o Instagram per fare degli aperitivi domestici comunque in compagnia degli altri.

Dal punto di vista della casa abbiamo riscoperto l’importanza dello spazio domestico e della vita casalinga. I social sono pieni di persone che non potendo andare al ristorante o in pasticceria hanno ritrovato il piacere di cimentarsi tra i fornelli. D’altronde in un panorama mediale dominato da chef televisivi e foodblogger digitali non poteva essere altrimenti. Per non parlare di coloro che fanno attività fisica: la casa si è trasformata in palestra soprattutto per chi lo fa di professione. Gli sportivi in attesa della conferma delle Olimpiadi di Tokio 2020 stanno condividendo nei social i workout per la continuità degli allenamenti nello spazio domestico. Tecnologie prima destinate ad esperti e appassionati ma che stanno avendo una grande visibilità sono le app che fungono da personal trainer: surrogati della palestra che servono più che altro a ricordare che stare chiusi in casa non è un buon motivo per trascurare la forma fisica.

Condivisione dei sentimenti in digitale

Dal punto di vista dei sentimenti abbiamo capito che c’è un grande bisogno di condividere le nostre emozioni. Ognuno lo fa come può e come sa, in linea con la propria formazione e sensibilità. C’è chi inoltra la catena di Sant’Antonio arrivata via Whatsapp dove c’è un’immagine sacra che invita alla preghiera. C’è chi su Facebook condivide i memi che nel citare film e serie televisive ironizzano sull’isolamento e sulle nuove quotidianità, come l’andare in giro con l’autodichiarazione di necessità di spostamento. C’è chi condivide spezzoni di film, brani musicali da Youtube usando l’hashtag #andratuttobene.

Didattica e cultura digitale

Dal punto di vista della cultura abbiamo ormai la prova che la rete è una fucina culturale, per fruirla e anche per farla. Gli studenti mettono sui social le foto della curiosa situazione di cosa voglia dire frequentare la scuola online, frattanto i loro docenti nei gruppi specializzati si scambiano informazioni ed esperienze su come usare tool per la didattica online come Google Classroom o Zoom mentre imparano a fare videotutorial e inventano modi nuovi di valutazione tramite Kahoot. Contemporaneamente nelle università si pianificano consigli di dipartimento su Microsoft Teams dopo aver organizzato i corsi in modalità di teledidattica. I musei offrono strumenti per fare tour virtuali nelle proprie sale, e le grandi società di streaming facilitano l’accesso alle proprie piattaforme per aiutare con l’intrattenimento le persone costrette all’isolamento. G

li editori di ogni tipo fanno sconti sugli ebook, regalano prodotti editoriali digitali per invogliare all’acquisto, come per esempio diverse case editrici specializzate in fumetti. Nel frattempo, il mondo dell’informazione allenta le maglie dei paywall dando l’accesso alle notizie sul coronavirus in modalità open access.

Smart working

Dal punto di vista del lavoro abbiamo scoperto che un altro modo di lavorare è possibile. Le aziende di servizi e le burocrazie stanno virando verso lo smart working mentre le altre realtà piccole e grandi stanno facendo esperimenti di telelavoro. E se mai ce ne fosse stato bisogno abbiamo scoperto non solo che in alcune situazioni lavorare da casa è molto più produttivo, ma che tutto il tempo dedicato a riunioni, incontri, meeting, forse non ce ne era bisogno.

Conclusioni

Tutto ciò avrà delle conseguenze molto profonde: una volta ritornati alla nostra vita quotidiana, il ruolo di internet sarà stato così importante che molte attività non saranno più le stesse. Una volta apprezzate le opportunità permesse dalla vita digitale, le persone capiranno che esistono un sacco di cose che si possono fare online senza che questo risulti un limite. Perciò aspettiamoci che moltissimi fra chi avrà fatto la spesa online, chi avrà fruito della cultura online, chi avrà partecipato a meeting online, chi avrà seguito seminari e lezioni online non tornerà più indietro.

Finora ci siamo detti che esiste la vita quotidiana e poi anche la vita online. Molti avranno interpretato questo “anche” come qualcosa di accessorio e di circostanziale: l’isolamento forzato a cui ci ha costretto la pandemia globale avrà fatto sì che l’online non verrà più percepito come un momento accessorio, ma come un momento sostanziale della vita in quanto persone, cittadini, consumatori, lavoratori.

Ovviamente non è concepibile una società che vive solo in remoto. Le persone hanno necessità di incontrarsi, le emozioni devono essere condivise dal vivo con un abbraccio o un bacio, i teatri hanno bisogno del pubblico in presenza e le produzioni cinematografiche e televisive necessitano anche di spazi all’aperto. Gli studenti hanno bisogno di altri studenti, gli insegnanti dei propri colleghi e tutti devono incontrarsi faccia a faccia. Se lavorare vuol dire anche produrre, gli operai specializzati devono frequentare le fabbriche e i giganti della logistica e della distribuzione devono movimentare uomini e merci. Aerei e trasporti devono funzionare e il mondo del turismo ha bisogno di flussi di persone che vedono le bellezze artistiche, acquistano i prodotti tipici e mangiano nei ristoranti. Nessuno dice che è facile, né che sia possibile vivere una vita solo in remoto.

Ma la pandemia ci ha costretto a riflettere sulla vita quotidiana all’epoca di internet e forse, smetteremo di chiederci qual è l’effetto di internet sulle persone per chiederci qual è l’effetto delle persone su internet. Magari la risposta sarà più piacevole di quanto saremmo stati disposti ad ammettere.

Bibliografia

Bakardjieva, M. (2005). Internet society: The Internet in everyday life. London: Sage.

Bennato, D. (2011). Sociologia dei media digitali : relazioni sociali e processi comunicativi del web partecipativo. Roma-Bari: Laterza.

Bennato, D. (2013). Istituzioni tecnologiche e partecipative. I social media come istituzioni sociali, in Cacioppo, M., Severino.S., a cura di, La prossimità a distanza. Contributi psicosociali per lo studio degli usi, abusi e dipendenze nel Web 2.0. Milano: Franco Angeli, 70-86.

Eberhard, B., et al. (2017). Smart work: The transformation of the labour market due to the fourth industrial revolution (I4.0). International Journal of Business & Economic Sciences Applied Research, 10(3), 47-66.

Steinert, S. (2020). Corona and value change. The role of social media and emotional contagion. Ethics and Information Technology, 1-10.

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