In queste settimane nessuna riflessione può portare buone notizie al turismo, tali e tante sono le incertezze e le limitazioni economiche, fisiche e psicologiche che incombono sul settore. L’unico approccio utile per prefigurare nuovi scenari è provare a pensare diversamente. Pensare al rapporto tra digitale e turismo come sempre più organico, come un’opportunità di “riforma” per un settore che ha bisogno di popolare l’immaginario soprattutto in tempo di pandemia.
Concepire il digitale più come “destinazione” che come strumento può rafforzare la strategia complessiva in cui ascolto e interpretazione dei dati giochino un ruolo centrale per evolvere continuamente l’offerta.
Dalla pandemia una spinta all’innovazione
Del resto, se proprio dobbiamo vedere un lato positivo in questa pandemia, questo è rappresentato dalle spinte obbligate verso attività lavorative e scolastiche on line, all’uso dell’e-commerce, allo sviluppo di relazioni a distanza, che hanno colmato in pochi mesi un gap di alfabetizzazione e di confidenza col digitale che è alla base, soprattutto in Italia, di minore produttività, maggiori costi e impatti negativi sull’ambiente. Questo fattore, pur nella tragicità delle ragioni che l’hanno generato, è stato portatore sano di un cambio di mentalità, di modalità di fruizione, d’acquisto, di scelta, coinvolgimento e passaparola.
Anche nel settore turistico è diventato evidente come si possa spingere la strumentazione digitale molto oltre l’ovvio. Intendo per ‘ovvia’ la disponibilità di piattaforme di presentazione dei territori, di prenotazione e acquisto di un posto in traghetto, un volo, di una camera o altri servizi.
Anche l’uso dei social media è maturato trasformandoli in luoghi d’elezione per community sempre più attive e informate dove molti contenuti sono generati dagli utenti e dove l’ascolto, per chi deve promuovere le destinazioni e i servizi, è fase fondante di qualsiasi strategia di marketing digitale.
Turismo digitale: a che punto siamo
Il digitale consente sempre più la dematerializzazione dei processi e delle esperienze. Ovvia l’abolizione di cataloghi, dépliant, mappe e tutto ciò che è su supporto fisico a beneficio di siti, app, qrcode, modelli 3d. Più attuale la trasformazione di quello che fino a ieri avveniva in presenza, con il turista supportato da un esperto, una guida, un animatore, in un’esperienza accessibile a distanza con o senza il supporto di terzi.
Questo riguarda di certo le visite virtuali di musei, mostre, luoghi chiusi o pericolosi, grotte, giungle e spazi vari. La trasformazione però non dà luogo a un rapporto 1:1. Nella dimensione digitale tutto è diverso per sembrare uguale. La grotta di Postumia in Realtà Virtuale diventa visitabile assieme all’amico che nello stesso istante è a New York o è possibile partecipare a una caccia al tesoro nella Valle dei Re con esploratori dapprincipio sconosciuti che possono diventare ‘complici’ o ‘nemici’ nel corso dell’esperienza.
Non tutto quello che i diversi player stanno realizzando funziona. Spesso perché pensato nella logica del singolo ‘progetto digitale’ fuori da una strategia complessiva di valorizzazione del luogo e dei temi che lo differenziano per soddisfare bisogni reali, altre volte perché sbagliare per correggere il tiro è naturale in uno scenario dove si procede spesso per tentativi e messe e punto.
Nei cittadini sempre più orientati al distanziamento fisico emerge la consapevolezza che se il Turismo è “allontanamento da un luogo abituale per provare esperienze, incontrare persone nuove, imparare, distrarsi e divertirsi”, allora la frequentazione dei mondi digitali è una forma di Turismo. Che avvengano in modalità di gioco, di navigazione web, interazioni sui social, visite virtuali, quelle digitali sono a loro modo esperienze turistiche. Ecco che gli ambienti digitali diventano luoghi del turismo e non solo strumenti che li evocano e rappresentano.
Per l’economia dei territori occorre che siano esperienze “compensative” e non “sostitutive” del reale; un rischio, quest’ultimo, che sta correndo ad esempio il cinema rispetto alla sua fruizione casalinga in alta risoluzione.
Ruolo dell'”ambasciatore” digitale
Le destinazioni devono continuare a essere presenti online per chi è già entrato in relazione fisica con loro e deve rimanere collegato fino a trasformarsi in ambasciatore del tangibile (enogastronomia ad esempio) o dell’intangibile (la lingua, la musica, le tradizioni). Devono poi diventare abitazioni per i sogni e i bisogni degli altri che devono, nella dimensione digitale, convincersi che siano icone.
Però il turista che “viaggia” online percorre vie diverse da quelle tradizionali. Non sono autostrade, voli o treni ma per arrivare da Monaco a Taormina potrebbe, ad esempio, muoversi su rotte segnate dalla storia del fico d’India, dall’uso della terracotta, sulle tracce letterarie di Goethe, nei posti preferiti da Angela Merkel o sulle vie della birra prodotta già dai Greci, per poi risalire al nord attraverso lo Stivale e i suoi invasori.
Questi strumenti ci consentono di mantenere il contatto con chi è già stato in un luogo, chi vi è nato (ovunque sia) e ne diventa ambasciatore, di chi è ispirato a guardare a una destinazione dalla gastronomia, archeologia, passato, radici, musica, narrativa…
Mai come in questo momento storico i mercati si articolano in conversazioni. Nella conversazione si creano i presupposti per l’empatia, emergono bisogni e spesso le soluzioni grazie a cui i vostri interlocutori possono diventare co-designer di servizi.
Purtroppo la rete rimane per molti un canale unidirezionale dove pubblicare informazioni e pubblicizzarsi, non il luogo privilegiato dove porre domande, ascoltare, confrontarsi, scusarsi, empatizzare. Occorre avere consapevolezza che anche quando non si partecipa alle conversazioni la rete giudica, sceglie, diffama, sfotte, loda, che siate luoghi, bagnini, museo o ristoratori. Questa pluralità di interazioni digitali porta al turismo molti dati per impostare una strategia che possa soddisfare clienti molto diversi, assicurando una user experience personalizzata sui propri utenti.
Ufficio olandese del Turismo: un caso di scuola
Uno strumento assai evoluto, ad esempio, è quello dell’Ufficio Olandese del Turismo e Convention che ha definito identikit di clienti – detti personas – grazie a informazioni provenienti dalla navigazione degli utenti e dalla loro esperienza online, gli analytics di siti e profili social, questionari, interviste, feedback. Si tratta di profili fittizi che rappresentano i bisogni, comportamenti, interessi e le aspirazioni di categorie di utenti reali.
Le personas danno identità a un preciso bacino di utenti in modo che le decisioni degli operatori del settore possono essere modellate su caratteristiche reali, rendendo così l’esperienza dei clienti pensata su misura del singolo. Definendo cinque o sei personas (il tradizionalista, il VIP, il modaiolo, il post moderno, etc…), nonostante sembri una restrizione, si inquadra meglio un pubblico che se soddisfatto sarà più proattivo nelle scelte e nella fidelizzazione con le destinazioni e con le persone che vi vivono.