transizione verde e digitale

Investimenti green e digitali, come definirli e valutarli: sfide e prospettive

Che vuol dire effettuare un investimento sostenibile dal punto di vista ambientale, climatico e sociale? Attualmente non esiste un sistema comune di classificazione a livello Ue o mondiale che dia una definizione di attività economica ecosostenibile. Diventa perciò strategico dotarsi di una cassetta degli attrezzi

Pubblicato il 31 Lug 2020

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

green

Digitale e green sono ritenuti, sempre più, i pilastri fondamentali per migliorare competitività e ripresa, e al tempo stesso per preparare la costruzione di una società maggiormente resiliente.

Anche dalle istituzioni europee arrivano segnali forti sulla transizione verde e digitale e il Recovery Plan europeo da 750 miliardi di euro dovrebbe rilanciare il progetto europeo per un’economia avanzata, verde e circolare.

Per intercettare queste risorse, occorrerà indicare e raggiungere obiettivi chiari. All’Italia dovrebbero toccare circa 80 miliardi di sussidi e 120 miliardi di prestiti. Occorrerà avere una visione di come utilizzarli per riformare il Paese, anche perché ci saranno controlli legati alla distribuzione di denaro.

La Commissione vorrà delle garanzie che il Recovery Fund sia usato per iniziative in linea con le priorità e gli obiettivi dell’Ue. Il che, per l’Italia, significa rendere più efficiente l’economia nazionale attraverso un piano di riforme e di investimenti in chiave green e digitale.

Occorrerà, perciò, che sia le imprese sia le PA, facciano un salto di qualità, le prime in termini di investimenti sostenibili e le seconde in semplificazione ed efficacia dell’azione amministrativa. Ma cosa vuol dire un investimento sostenibile? Quali passaggi può fare un Ente locale per valutare un progetto digitale e migliorare l’offerta di servizi online ai propri cittadini?

Più attenzione agli investimenti responsabili

Della necessità di una svolta ambientale ne sono consapevoli le imprese, l’unico vero motore in grado di generare ricchezza e creare valore, sempre più attente e sensibili alla sostenibilità, che stanno adottando nuove strategie, dando priorità alle esigenze dei clienti. «Chi riuscirà a costruire una strategia industriale sostenibile – ha dichiarato l’ad di ENI[1] – non solo dal punto di vista economico e finanziario, ma anche ambientale, riducendo drasticamente le proprie emissioni e quelle dei propri prodotti, garantirà il successo a lungo termine del proprio business». La reputazione dell’azienda avrà un peso sempre maggiore nelle scelte dei consumatori, che si orienteranno verso quelle imprese che sapranno sviluppare un proprio bilancio di sostenibilità in maniera chiara e trasparente, dimostrando sensibilità al bene comune, attenzione all’interesse generale e attitudine alla coesione sociale.

È quanto evidenziato dall’ultima edizione dell’Integrated Governance Index (IGI), realizzata da EticaNews attraverso un questionario inviato a un campione di 270 aziende italiane quotate e non. Investimento responsabile e attività ESG (Environmental, Social, Governance) sono ormai il mantra degli investitori istituzionali di tutto il mondo. Insomma chi oggi non si cura di aspetti come il benessere dei propri dipendenti, l’impatto ambientale delle proprie attività, la corretta remunerazione dei propri manager, rischia nel breve termine di vedersi votare contro in assemblea. Ma nel lungo periodo il rischio può essere ancora maggiore, perdendo l’impresa la propria capacità di attrarre investitori e, quindi, di finanziarie la propria attività e la propria crescita. Soprattutto quando ci si trova difronte a colossi del risparmio come Blackrock[2] o come il fondo sovrano norvegese, che ha hanno scelto decisi la strada ESG.

Il Regolamento europeo sugli investimenti sostenibili

Ma cosa vuol dire effettuare un investimento sostenibile dal punto di vista ambientale, climatico e sociale? La risposta va rintracciata nel Regolamento che il Parlamento europeo, lo scorso 15 aprile, ha deciso di confermare e che istituisce un sistema di classificazione comune per incoraggiare gli investimenti privati nella crescita sostenibile. La cosiddetta tassonomia, il cui profilo è stato delineato nel report pubblicato insieme a quello relativo ai green bond, realizzato dallo stesso gruppo di lavoro, e che sarà utilizzato come base per la definizione di uno standard UE in materia. La norma, approvata senza votazione perché in seconda lettura e già concordata con i Governi UE, entrerà in vigore dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La tassonomia consentirà agli investitori di reindirizzare gli investimenti verso tecnologie e imprese più sostenibili e sarà determinante per rendere l’UE climaticamente neutra entro il 2050 e raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030 dall’accordo di Parigi. Attualmente non esiste un sistema comune di classificazione a livello dell’UE o mondiale che dia una definizione di attività economica ecosostenibile.

Il regolamento proposto intende affrontare due sfide: quella di ridurre la frammentazione derivante da iniziative basate sul mercato e da prassi nazionali; quella di ridurre il green washing, ossia la pratica di commercializzare prodotti finanziari come “verdi” o “sostenibili”, quando in realtà non soddisfano gli standard ambientali di base. Il futuro quadro si baserà su sei obiettivi ambientali[3] dell’UE. Per essere considerate ecosostenibili, le attività economiche dovranno soddisfare i seguenti requisiti:

  • contribuire in modo sostanziale al raggiungimento di almeno uno dei sei obiettivi ambientali;
  • non arrecare un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali;
  • essere svolte nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia sul piano sociale;
  • essere conformi ai “criteri di vaglio tecnico”.

“Tutti i prodotti finanziari che si dichiarano sostenibili dovranno dimostrarlo secondo criteri rigorosi e ambiziosi dell’UE. La legislazione prevede anche un chiaro mandato alla Commissione per iniziare a definire le attività dannose per l’ambiente. La graduale eliminazione di tali attività e investimenti è importante per raggiungere la neutralità climatica, tanto quanto il sostegno alle attività decarbonizzate”, ha dichiarato il relatore della commissione affari economici Bas Eickhout.

Digitalizzazione dei processi e dei documenti, tutti i vantaggi

Al tema degli investimenti sostenibili, si aggiunge anche quello delle metodologie di valutazione delle politiche e dei processi di innovazione quando si parla di digitale. Una volta che il piano di riforme e di investimenti sarà ultimato, occorrerà che il Governo, le amministrazioni centrali, le autorità amministrative indipendenti e le Regioni, si dotino di strutture e di strumentazione di valutazione in grado di misurare l’efficacia delle misure adottate, imparando a focalizzare le risorse sulla valutazione successiva più che su quella preventiva. Diventa perciò strategico dotarsi di una cassetta degli attrezzi, che supporti sia le aziende sia le PA desiderose di esplorare il potenziale dell’utilizzo della sostenibilità e della digitalizzazione come motori di innovazione e profitto.

Ogni amministrazione comunale è in grado di quantificare il costo di un proprio servizio, come il rilascio di un certificato, soprattutto se avviene seguendo procedure “analogiche”, con emissione del certificato cartaceo rilasciato allo sportello dal funzionario di turno. Ma la stessa amministrazione, con molta probabilità, non saprà calcolare il valore dello stesso servizio nel caso l’iter fosse completamente digitale e gestito tramite app dal telefonino. Troppi i fattori da considerare (gestori di data center, fornitori di servizi cloud, fornitori di servizi internet, sviluppatori digitali), quasi impossibile stimare i vantaggi finali per i cittadini, sebbene siano ben evidenti a tutti in termini di qualità di vita.

Anche procedere alla digitalizzazione dei documenti, per esempio, significa poter sfruttare una serie di vantaggi, che vanno da quelli economici a tutti i benefici dal punto di vista della razionalizzazione e ottimizzazione dei processi. Dal primo punto di vista, è indubbio che dover gestire numerosi faldoni comporta lo spreco di un grande quantitativo di carta e inchiostro, così come la necessità di avere ampi spazi per costruire gli archivi fisici. A ciò si aggiunga il tempo speso dalle persone per predisporre tali archivi, per cercare quello di cui hanno bisogno e poi per rimetterlo a posto (con tutti i rischi relativi alla possibilità di compiere errori durante queste operazioni). Con file digitali archiviati in modo sicuro, dopo un efficace operazione di indicizzazione, tutti questi problemi sono superati. Avere a disposizione documenti informatici, facilmente gestibili e consultabili da qualsiasi device, permette una maggiore condivisione delle informazioni e quindi più collaborazione tra i lavoratori (anche occupati in sedi diverse e lontane tra loro), oltre al fatto di avere un maggior controllo sul funzionamento dell’organizzazione nel suo complesso.

Come è stato possibile calcolare i vantaggi della fatturazione elettronica o dell’uso della PEC sul fronte dei risparmi economici, di riduzione dell’inquinamento, di spazi d’archiviazione fisici e di tempi di attesa, altrettanto dovrà essere fatto per altri progetti. Sarebbe interessante, ad esempio, poter calcolare i vantaggi ottenibili dallo sviluppo dell’identità digitale (SPID). Le richieste di identità digitale per accedere ai servizi pubblici sono molto cresciute negli ultimi mesi, un dato molto positivo; viceversa restano indietro i servizi online offerti da Comuni e amministrazioni centrali. Sarà necessario perciò imparare a valutare il ritorno economico e sociale (Social Return On Investiment) di un progetto di digitalizzazione, per evidenziarne i vantaggi, perché i cittadini sembrano gradire internet per interagire con la PA e sicuramente tale gradimento aumenterebbe se ci fosse un’adeguata offerta di servizi pubblici digitali.

Come misurare i percorsi di digitalizzazione: due casi empirici

In occasione di FORUM PA 2020 è stata presentata una ricerca elaborata da Adobe in collaborazione con FPA, “PA e cittadino: quali strumenti per migliorare la digital experience dell’utenza?”, con l’obiettivo di analizzare lo stato di avanzamento delle principali PA italiane nel loro percorso di costruzione di strumenti e servizi digitali sempre più orientati ai bisogni e alle aspettative degli utenti. Ciò che contraddistingue il nostro Paese, da quanto emerge, è una forte dicotomia tra disponibilità dei servizi digitali offerti dalle amministrazioni pubbliche e il loro effettivo utilizzo da parte di cittadini e imprese. Un tema noto da tempo. Secondo l’indice DESI[4], infatti, guardando alla dimensione dei servizi pubblici digitali, l’Italia registra risultati in linea con la media UE in termini di offerta di servizi, raggiungendo buone prestazioni in materia di e-Gov e open data, ma continua ad attestarsi agli ultimi posti per livello di interazione online tra PA e utenti (soltanto il 32% degli utenti italiani online usufruisce concretamente dei servizi, rispetto alla media UE del 67%). Numeri che non dipendono solo dalla scarsa alfabetizzazione digitale degli italiani, ma anche da altri fattori, come la qualità dei servizi e portali stessi, che non hanno ancora raggiunto livelli accettabili di usabilità e accessibilità e la scarsa consapevolezza dei vantaggi degli strumenti online dovuta a una comunicazione inefficace.

Per misurare i risultati raggiunti dagli Enti locali nel loro percorso di innovazione e digitalizzazione, molto interessante è anche l’Indagine sulla maturità digitale dei Comuni che FPA ha realizzato in esclusiva per Dedagroup Public Services, attraverso l’approfondita analisi qualitativa di un campione di 109 Comuni capoluogo, aggiornata a maggio 2020. L’indagine ha preso in esame tre dimensioni per valutare la maturità digitale delle nostre città:

– la disponibilità dei servizi online erogati dai Comuni capoluogo sui propri portali;

l’integrazione dei sistemi comunali con le principali piattaforme abilitanti (SPID, PagoPA, CIE e ANPR);

l’apertura dell’amministrazione comunale in termini di dati aperti rilasciati e il livello di comunicazione con la propria comunità di riferimento attraverso l’attivazione dei principali canali social.

L’indagine, presentata in occasione di FORUM PA 2020, ha evidenziato un elemento centrale: la digitalizzazione oggi non è più un’esclusiva delle grandi città e delle regioni del Nord, ma coinvolge anche i centri più piccoli e le città del centro-sud. Inoltre, sembra che più della dimensione demografica e della collocazione geografica, i fattori di successo dipendano dalla capacità degli enti locali di:

  • utilizzare al meglio Linee guida, toolkit e strumenti di supporto realizzati a livello centrale;
  • fare rete con altre amministrazioni sul territorio;
  • utilizzare le risorse finanziare oggi disponibili per la digitalizzazione;
  • integrarsi con le grandi infrastrutture immateriali nazionali;
  • sfruttare le opportunità offerte sul fronte del paradigma Cloud PA.

A tal proposito, in rete è disponibile una breve guida per tutti gli enti che desiderano prepararsi a utilizzare l’app IO come canale di erogazione dei propri servizi. Un kit molto utile, che va dagli aspetti tecnici, a quelli legali, fino a un piano di comunicazione – ancora in elaborazione – da volgere ai cittadini del proprio territorio.

Come portare i servizi su IO

Fonte: https://io.italia.it/

Digitalizzazione e Performance, un binomio per creare valore pubblico

In prospettiva futura, sarebbe interessante poter estendere l’indagine sulla maturità digitale dei Comuni a una quarta e una quinta dimensione, inerente il livello di sviluppo delle competenze digitali dei dipendenti (digital human capital) e il livello di maturità del ciclo della performance raggiunto dall’amministrazione stessa (performance digital index), inerente il rispetto delle indicazioni normative e delle linee guida messe a disposizione dalla Commissione per la performance della Funzione pubblica. Il nuovo paradigma della valutazione, infatti, con il concetto di valore pubblico come stella polare, sul fronte dei servizi digitali si dovrebbe tradurre in chiare roadmap di digitalizzazione, da fissare in ottica di filiere, orizzontali e verticali, quindi con il coinvolgimento di tutti gli attori dei processi di trasformazione digitale da innescare (Governo, Ministeri, Agid, Regioni e Comuni). Ciò significa inserire nei Piani delle Performance (PEG o PDO) di Regioni e Comuni specifici obiettivi programmatici di digitalizzazione. Tali obiettivi andrebbero assegnati ai dirigenti e ai responsabili per la transizione digitale, affinché la dirigenza pubblica sia pienamente coinvolta nel conseguimento di obiettivi di digitalizzazione, legando l’erogazione delle indennità di risultato al loro effettivo conseguimento. A questo punto, l’introduzione di indicatori per migliorare i servizi digitali verrebbe a collegarsi strettamente al ciclo di gestione della performance, creando le basi per il calcolo di un indicatore composito di prosperità digitale. Istituzionalizzare obiettivi di digitalizzazione, insieme a un nuovo paradigma valutativo, significa perciò iniziare a chiedersi come valutare in termini economici la diffusione di progetti tecnologicamente avanzati.

Conclusioni

La valutazione dei servizi digitali non entra nel calcolo del PIL, perciò se volessimo guardare ai soli indicatori economici, gli investimenti sulla digitalizzazione quasi certamente non si farebbero; eppure affinché l’economia digitale possa sviluppare appieno le proprie potenzialità, occorre potenziare le PA sia in termini di competenze sia in termini di ampliamento dell’offerta di servizi digitali. Solo così si riuscirà ad accumulare capitale innovativo che servirà al sistema Paese di domani. Per questo è importate rafforzare la capacità di analisi e valutazione d’impatto delle politiche e degli investimenti, sia in termini di strutture che di metodologie e strumentazioni, anche al fine di sviluppare capacity building istituzionale sul lato dell’offerta, per rendere i decisori sempre più consapevoli nelle scelte di allocazione delle risorse.

Come sostenuto da Luigi Corvo, economista sociale, le condizioni di contesto ci sarebbero tutte, mancano quelle di intenzionalità dei decisori e il coraggio a intraprendere questa strada per davvero, senza relegarla al livello di nicchia interessante, ma considerandola come un nuovo modello di ispirazione per le politiche economiche. Considerazioni che hanno spinto lo stesso economista a formulare due proposte: la prima è “l’introduzione di un credito di imposta a favore di chi dimostra impatti positivi rispetto alla sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Accanto a questo strumento di riduzione dei costi per chi genera e dimostri impatti positivi, servirebbe uno strumento di aumento dei ricavi, un outcome fund dove confluiscano le risorse europee non impiegate, che vada a remunerare gli impatti sociali positivi. Sarebbe un booster importante per far partire davvero il ciclo dell’impatto.”

Pensando al modo in cui riformare le PA per migliorarne il livello di digitalizzazione, due domande nascono spontanee: in che modo il salto nel web può migliorare il rapporto dei cittadini con la burocrazia? Cosa si può fare per migliorare il livello di penetrazione dei servizi pubblici? Dalla qualità delle risposte che il Governo e gli Enti locali sapranno dare, dipenderà anche la qualità del Piano nazionale di riforme che a breve dovrà essere presentato alla Commissione europea.

_______________________________________________________________________________________

  1. Cfr. Capozzi A., Descalzi: sostenibilità garantisce successo al business, cammino irreversibile, su IlSole24Ore del 9 luglio 2020.
  2. Cfr. D’Angerio V., Clima, BlackRock compila la lista nera delle società e boccia 244 colossi, su IlSole24Ore del 9 luglio 2020 (https://www.ilsole24ore.com/art/clima-blackrock-compila-lista-nera-bocciati-244-colossi-ADjW39d)
  3. Tali obiettivi sono: la mitigazione dei cambiamenti climatici; l’adattamento ai cambiamenti climatici; l’uso sostenibile e la protezione delle risorse idriche e marine; la transizione verso un’economia circolare, inclusa la prevenzione dei rifiuti e l’aumento dell’assorbimento di materie prime secondarie; la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
  4. I dati DESI 2020 sono disponibili al seguente link: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/desi

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