I meme politici aiutano a rafforzare l’immagine del politico o invece sono uno strumento di satira e critica ideologica? Per quanto banale possa sembrare la risposta: dipende dall’audience (e non solo).
Il caso “Io sono Giorgia”
In queste ultime settimane sta circolando in rete un video musicale prodotto da Mem & J, un duo di youtuber che nel loro canale – così descritto “Musica tamarra, trash e fatta da gente che non sa cantare” – si dilettano a trasformare spezzoni televisivi in tormentoni dance: da Wanna Marchi a Pamela Prati fino ad una versione trash di Gioca Jouer (chiamata, appunto, Gioca Trashè). Questo duo di creativi è diventato improvvisamente celebre in rete grazie ad un video pubblicato lo scorso 2 novembre dal titolo “Io sono Giorgia”, in cui prendono un pezzo del discorso tenuto da Giorgia Meloni durante la manifestazione promossa dalla Lega il 19 ottobre 2019 a piazza San Giovanni a Roma, e lo trasformano in un brano di musica dance molto orecchiabile che ormai sta circolando in rete da poco più di una settimana con diversi hashtag (#iosonogiorgia, #iosonogiorgiacontest, #genitore1genitore2).
Il video – grazie al contributo di Tommaso Zorzi volto dei reality Riccanza e Pechino Express – è diventato meme in quanto nelle più classiche strategie dello User Generated Content, gli utenti se ne sono appropriati – in particolare la comunità LGBT che pure veniva pesantemente criticata dalle parole originali della Meloni – e ne sono uscite diverse versioni: dalle ragazze di Non è la Rai che ballano il ritmo martellante del pezzo, ai Teletubbies che si muovono aggiungendo al tutto un’aria surreale, fino ad arrivare a citazioni cinematografico-televisive che vedono coreografie sulla base del brano di Mem & J fatte dai ragazzi di Friends, da Vince Vega e Mia Wallace – la celebre coppia di ballerini in Pulp Fiction – fino all’immancabile scena della scalinata del Joker di Joaquin Phoenix.
Il dibattito sui reali effetti del meme
Oltre alla componente web-folkloristica di tutta la vicenda, in rete è cominciato a innescarsi il dibattito sui reali effetti che il meme possa avere sui suoi – più o meno – ignari estimatori e condivisori: la sua diffusione aiuta a rendere simpatica l’immagine di Giorgia Meloni o piuttosto la ridicolizza com’era nelle intenzioni del brano?
Per rispondere a questa domanda ci dobbiamo rifare ad un dibattito classico delle scienze della comunicazione: l’efficacia della propaganda. Alle sue origini – intorno agli anni ’20 e ’30 del secolo scorso – l’idea chiave della comunicazione è che essa avesse un effetto molto potente su chi la subisse. La teoria dominante – in realtà una non-teoria in quanto più che altro frutto del buonsenso dei comunicatori dell’epoca – prendeva il nome di teoria ipodermica, ovvero la comunicazione agiva come una specie di ago che inoculava le opinioni direttamente nella testa delle persone. Il riferimento era la – presunta – efficacia della propaganda sia delle dittature – naziste, fasciste, comuniste – sia dei paesi democratici. Quando cominciarono a svilupparsi le prime ricerche sull’effettiva efficacia persuasoria dei media ci si rese conto che per tutta una serie di processi psicologici e sociali – esposizione selettiva, abilità critica, contatti interpersonali – era più facile che la propaganda fallisse piuttosto che raggiungesse i suoi obiettivi. Come avrà modo di sottolineare il sociologo Joseph Klapper nel tirare le fila alla miriade di ricerche di questo periodo storico, la comunicazione persuasoria agisce rafforzando le idee che le persone hanno invece che convertendo. Cosa possiamo desumere da tutto ciò nel caso del meme “Io sono Giorgia”? Che il meme ha effetti distinti a seconda del tipo di audience che intercetta.
Se qualcuno si riconosce nelle parole di Giorgia Meloni, allora il motivetto martellante “Io sono Giorgia” suona come un modo per rafforzare le proprie idee sulla correttezza dei valori dio-patria-famiglia, a cui la Meloni nel dire “sono una donna, sono una mamma, sono cristiana” fa ovviamente riferimento. C’è da dire però che se questi si fossero presi la briga di ascoltare tutto il brano originale, si sarebbero resi conto che con un opportuno gioco di remix e montaggio Mem & J fanno dire alla Meloni “Noi non siamo persone, siamo LGBT: io non credo in uno stato che mette il desiderio di Giorgia di fronte al diritto di un omosessuale. Uno stato giusto si occupa del più debole”.
Invece per coloro che non si riconoscono nelle parole della leader di Fratelli d’Italia, il brano suona palesemente come una satira del discorso politico a cui si ispira, tanto più che a renderlo virale è stata proprio la comunità LGBT.
Inoltre per coloro che apprezzano la cultura dancefloor del brano, tutta la componente politica viene presumibilmente disinnescata lasciando solo l’apprezzamento per il 4/4 martellante di genitore 1/genitore 2.
Il meme e lo Zeitgeist
Un discorso diverso va fatto per chi non ha le idee chiare sui valori espressi dal discorso della Meloni. In questo caso è possibile rappresentare le reazioni degli indecisi come delle strategie di auto-collocamento lungo un continuum che si muove tra due scenari polarizzati: da un lato chi è incuriosito dal conoscere il discorso completo e si scopre sostenitore della Meloni, dall’altro chi nell’apprendere il discorso nel suo complesso scopre che la visione del mondo della Meloni non lo rappresenta.
In questi scenari – però – entra un elemento sostanzialmente nuovo: è lo spirito dei tempi, lo Zeitgeist volendo usare un’espressione culturale ottocentesca. Detto molto schematicamente: in un mondo in cui assistiamo a gravi gesti di strisciante razzismo quotidiano, in cui un parlamento si trova diviso nel riconoscere l’importanza di una commissione contro l’odio, in cui una senatrice a vita sopravvissuta alla Shoah si trova costretta ad avere una scorta armata per via delle minacce subite in rete, allora sentire un motivetto dance che banalizza un tema importante come il rispetto dei diritti altrui, tutto sommato può sembrare una posizione piuttosto plausibile.
Pertanto non chiediamoci qual è l’effetto del meme sulle prossime elezioni politiche, ma che tipo di atmosfera culturale stiamo respirando per considerare un brano musicale satirico come un attacco alla concezione inclusiva di democrazia.