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Israele-Hamas: cosa impariamo sulla “tangibilità” della cyber-war



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Il conflitto tra Israele e Hamas offre uno scenario in cui la tecnologia diventa un’arma a doppio taglio. Questo nuovo fronte di conflitto, invisibile ma pervasivo, solleva questioni etiche e coinvolge infrastrutture fisiche, grandi aziende tecnologiche e implica una riflessione approfondita sulle norme internazionali

Pubblicato il 8 apr 2024

Alessandro Passamonti

Analista Area Digitale&ICT di AWARE Think Thank



russia guerra

La dinamica tra Israele e Hamas nel contesto della guerra cibernetica sottolinea l’incrocio critico tra tecnologia, guerra e politica nel XXI secolo. Questo caso studio, come vedremo, evidenzia come la guerra cibernetica non sia limitata a un confronto diretto tra attori statali, ma si estenda a influenzare la vita quotidiana dei civili, la resilienza delle infrastrutture critiche e il diritto internazionale umanitario.

La guerra cibernetica: un nuovo fronte di conflitto

La guerra cibernetica rappresenta uno dei paradigmi più sfidanti e complessi dell’era moderna, delineando un nuovo fronte dove la sovranità degli Stati e la sicurezza globale sono continuamente messe alla prova. Nell’evolversi delle strategie di difesa e offesa, il cyberspazio è diventato un dominio cruciale dove gli attori statali e non statali si confrontano, spesso al di fuori dei tradizionali canoni del conflitto armato. Questa dimensione del conflitto si caratterizza per la sua invisibilità e pervasività, con attacchi che possono originare da qualsiasi parte del globo e avere impatti devastanti su infrastrutture critiche, economie nazionali e la vita quotidiana dei cittadini.

Nel contesto della guerra cibernetica, le operazioni offensive si manifestano attraverso un’ampia gamma di azioni, dall’hacking per l’acquisizione di dati sensibili fino al sabotaggio di sistemi vitali, passando per campagne di disinformazione mirate a influenzare l’opinione pubblica e le decisioni politiche. La capacità di condurre tali operazioni in maniera subdola e spesso anonima aggiunge un ulteriore strato di complessità alla già ardua sfida dell’attribuzione e della risposta.

Come difendere il dominio cibernetico

La difesa nel dominio cibernetico richiede un approccio multidimensionale che va oltre la semplice protezione tecnica delle infrastrutture. Comprende la resilienza dei sistemi, la formazione di una cultura della sicurezza tra gli utenti, la cooperazione internazionale per lo scambio di informazioni e strategie, nonché lo sviluppo di capacità di deterrenza credibili. Gli stati e le organizzazioni internazionali si trovano quindi a dover navigare in un equilibrio delicato tra la necessità di salvaguardare la sicurezza nazionale e il rispetto delle norme internazionali e dei diritti umani.

Guerra cibernetica e sovranità statale: il caso Israele-Hamas

In questo contesto dinamico, alcuni conflitti attuali emergono come casi di studio significativi per comprendere le nuove dinamiche della guerra cibernetica. Da una parte, abbiamo situazioni di tensione prolungata, dove la componente cibernetica si intreccia con dispute territoriali e rivalità geopolitiche. Dall’altra, assistiamo a episodi di aggressione cibernetica che, pur non sfociando in un conflitto armato aperto, hanno implicazioni profonde per la sicurezza internazionale e la stabilità regionale.

La complessità e l’interconnessione delle sfide presentate dalla cyber warfare non solo richiedono risposte innovative e adattive da parte dei governi e delle organizzazioni internazionali, ma sollecitano anche una riflessione più ampia sui valori e sulle norme da promuovere nell’era digitale. In questo contesto, il caso studio che segue esplora specifiche incidenze della guerra cibernetica, analizzando come specifiche operazioni cibernetiche abbiano influito sulle dinamiche geopolitiche, sull’economia e sui diritti umani, offrendo così spunti concreti per comprendere e navigare le complesse acque della sicurezza cibernetica nel XXI secolo.

La tecnologia come arma: l’offensiva cibernetica di Israele

Israele è terra di tecnologia. Il mercato ICT in Israele si trova in una fase di notevole crescita, stimata a raggiungere i 52,45 miliardi di dollari nel 2024 e prevedendo un incremento fino a 61,90 miliardi entro il 2029, con un tasso di crescita annuo composto del 3,37%.[1] Questa espansione è sostenuta dalla crescente enfasi sulle tecnologie digitali come la cybersecurity, l’intelligenza artificiale, la robotica e l’IT sanitario, che guidano significativamente l’evoluzione del mercato. Il settore IT e delle telecomunicazioni emerge come catalizzatore principale di questa crescita, incentivato da iniziative governative volte a promuovere la trasformazione digitale.

Dall’altra parte del muro, la situazione è ben diversa. Nonostante l’alta alfabetizzazione tecnologica della popolazione palestinese, evidenziata da un’ampia diffusione di internet e smartphone, che arriva rispettivamente all’80% e all’86% della popolazione[2], e una notevole crescita dell’occupazione nel settore ICT, questo contesto non si traduce in un pieno beneficio dello spillover dal settore ICT israeliano, altamente avanzato e produttivo. La prossimità geografica con un settore che ha generato circa 60 miliardi di dollari nel 2020[3] dovrebbe teoricamente offrire vantaggi economici significativi a quello palestinese, che invece contribuisce solo per 493 milioni di dollari all’economia[4]; tuttavia, nonostante una parte considerevole dei contratti di outsourcing palestinesi provenga dalla domanda israeliana, l’ecosistema palestinese non riesce a sfruttare appieno questa opportunità per un impatto economico più ampio.

L’assenza di contagio tecnologico tra le due popolazioni in un territorio ridotto (grande quanto l’Emilia-Romagna) può essere spiegata solo indossando le lenti politico-securitarie.

Gli Accordi di Oslo del 1995

Dopo la guerra del 1967, il controllo delle telecomunicazioni nei territori occupati è passato a Israele e poi alla compagnia statale Bezeq. Con gli Accordi di Oslo del 1995, l’Autorità Palestinese ha ottenuto un controllo parziale sulle infrastrutture ICT in Cisgiordania e Gaza, con il diritto di sviluppare reti indipendenti[5]. Nonostante la creazione di un comitato congiunto per affrontare le questioni delle TIC, questo si è rivelato inefficace, spesso visto come uno strumento israeliano per limitare lo sviluppo tecnologico palestinese[6]. Israele ha mantenuto un controllo significativo, limitando l’accesso e lo sviluppo delle telecomunicazioni palestinesi.

Il primo operatore mobile palestinese, Jawwal, ha ottenuto da Israele la licenza per operare nel 1998 in Cisgiordania e Gaza. Nonostante ciò, i palestinesi hanno affrontato ritardi significativi nell’accesso alle tecnologie mobili avanzate, come il 3G, disponibile solo dal 2018 (esclusivamente in Cisgiordania: a Gaza si è fermi a connettività 2G), e sono ancora esclusi dal 4G, ampiamente accessibile in Israele. Queste restrizioni hanno ostacolato la crescita economica palestinese e la competitività nel settore delle telecomunicazioni.

Il controllo di Israele con la politica del “doppio uso”

L’importazione di apparecchiature di telecomunicazione per i fornitori palestinesi è soggetta a restrizioni severe. Nonostante gli Accordi di Oslo prevedessero la libertà palestinese nell’importazione di tali attrezzature e nello sviluppo di standard propri per una rete indipendente[7], nella pratica gli importatori palestinesi devono ottenere l’approvazione del COGAT, un’unità del Ministero israeliano che gestisce gli affari civili nei territori occupati, e conformarsi agli standard israeliani e alla politica del “doppio uso”. Quest’ultima, introdotta nel 2007[8], impone limitazioni su una vasta gamma di prodotti che potrebbero avere applicazioni militari, influenzando sia le componenti hardware che materiali base come cemento e legno, specialmente per quanto riguarda le forniture a Gaza[9].

In sintesi, nonostante gli Accordi di Oslo prevedessero una gestione palestinese parziale delle infrastrutture ICT, Israele ha continuato a esercitare un controllo dominante, limitando lo sviluppo economico e tecnologico palestinese e violando i diritti digitali della popolazione. Questo ha creato un ambiente in cui le telecomunicazioni israeliane prosperano a scapito dei loro concorrenti palestinesi, accentuando le disuguaglianze economiche e tecnologiche nella regione.

Gli attacchi del 7 ottobre e l’operazione Sword of Iron

Il 7 ottobre 2023, militanti di Hamas sfondano il muro di confine tra la Striscia di Gaza e il sud di Israele, dando inizio ad attacchi nella regione. Israele reagisce annunciando l’operazione Sword of Iron, iniziando a bombardare la Striscia di Gaza. La declinazione cibernetica di quanto segue gli eventi del 7 ottobre evidenzia la connotazione delle forze in gioco.

Come documentato da un report di Google[10], l’assenza di un aumento delle operazioni cyber contro obiettivi israeliani prima dell’attacco dimostra che le operazioni militari di Hamas non prevedessero una componente cibernetica offensiva e neppure di sostegno alle proprie azioni cinetiche. Piuttosto, a partire dal 7 ottobre, la maggior parte degli attacchi cyber filo-Hamas (non necessariamente e, con ogni probabilità solo in modo residuale, effettivamente lanciati dalla Striscia di Gaza) sono consistiti in operazioni di DDoS da parte di hacktivisti, indipendenti e state-sponsored (Killnet, Anonymous Sudan, AnonGhost e Storm-1133 tra i gruppi che hanno rivendicato attacchi), contro siti governativi, grandi aziende israeliane e agenzie di stampa nazionali[11]; alla lista degli obiettivi degli attacchi cyber si sono poi aggiunti anche attori non direttamente coinvolti nel conflitto ma ritenuti complici, come dimostrano i ripetuti tentativi di DDoS a siti di istituzioni occidentali, avvenuti sempre e tempestivamente a valle di loro dichiarazioni di solidarietà ad Israele. Solo in un secondo momento, sono emerse testimonianze di attività di hack-and-leak.[12] [13]  e di attacchi ad infrastrutture israeliane[14] da parte di gruppi organizzati filo-Teheran[15] [16], frutti probabilmente non di un piano premeditato ma della volontà di approfittare della situazione tempestosa.

Infrastrutture fisiche e guerra cibernetica: il ruolo delle telecomunicazioni

La risposta al 7 ottobre di Israele si è distinta per letalità e organizzazione. Il 9 ottobre, due giorni dopo l’attacco a sorpresa di Hamas, il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant annuncia il blocco delle forniture di cibo, acqua, carburante ed elettricità[17]. A questo annuncio segue l’inedita mossa, annunciata e realizzata il 27 ottobre, di tagliare completamente le telecomunicazioni e la connettività Internet a Gaza, ripristinate solo il 29 ottobre. Alle interruzioni pilotate si aggiungono anche bombardamenti mirati a infrastrutture strategiche sul campo, come la distruzione di due delle tre principali linee di comunicazione mobile di proprietà delle compagnie telefoniche JAWWAL e PalTec[18].

Nell’ambito dei conflitti internazionali, la linea tra assistenza umanitaria e intervento politico è sottile e spesso controversa. Questo confine già precario si complica ulteriormente quando gli attori non sono Stati sovrani, ma aziende private del calibro delle big tech.

Il coinvolgimento delle Big Tech nel conflitto: il caso Starlink

L’autorizzazione da parte di Israele[19] all’uso dei servizi Starlink di Elon Musk nel territorio nazionale e in specifiche aree della Striscia di Gaza rappresenta un esempio emblematico di come l’innovazione tecnologica possa trasformarsi in un veicolo di influenze politiche e ideologiche. In un contesto già profondamente segnato da divisioni e tensioni, l’ingresso di giganti tecnologici in giochi di potere tradizionalmente riservati agli stati solleva interrogativi inediti e spesso divisivi. L’azione di facilitare l’accesso a internet in zone di conflitto, pur rivestendo dell’abito dell’umanitarismo, può favorire una parte rispetto all’altra, incidendo così sulla delicata bilancia geopolitica della regione. In questo caso, il servizio sara’ disponibile solo dopo che attori qualificati abbiano passato delle piu’ o meno trasparenti e senz’altro approfondite verifiche da parte dell’apparato securitario israeliano; il primo beneficiario di internet satellitare, come annunciato da Israele,  sara’ un ospedale da campo di proprietà degli UAE a Rafah, nel Sud di Gaza.
Queste e le altre numerose testimonianze di interruzioni di telecomunicazioni[20] evidenziano, in combinazione con le esplicite dichiarazioni del Governo di aver tra i propri piani quello di disabilitare le comunicazioni cellulari e i servizi Internet a Gaza[21], la strategia israeliana di demolire – letteralmente – ogni possibilità di risposta di Hamas basata su apparati tecnologici connessi tra di loro e con l’esterno.

Senza elettricità, niente carica per le torri di telecomunicazione. Senza carburante, niente diesel per alimentare i generatori sostitutivi. Senza energia e senza possibilità di comunicare, buio e caos. Sia per Hamas, sia per le ambulanze.

La guerra totale nel cyberspazio

L’evoluzione del conflitto nella regione ha visto una nuova dimensione nell’uso del cyberspazio, dove le operazioni cibernetiche e le interruzioni delle telecomunicazioni diventano strumenti significativi di strategia militare e politica. Questo caso studio evidenzia come la guerra cibernetica si estenda a influenzare la vita quotidiana dei civili, la resilienza delle infrastrutture critiche e il diritto internazionale umanitario. L’interruzione delle telecomunicazioni e l’uso strategico della tecnologia da parte di Israele illustrano un approccio di guerra totale nel cyberspazio, mirato a soffocare le capacità di Hamas e influenzare l’esito del conflitto. Allo stesso tempo, la risposta relativamente contenuta nel dominio cibernetico da parte di Hamas e i suoi sostenitori riflette le asimmetrie tecnologiche e le sfide nell’impiego di strategie cibernetiche efficaci in contesti di alta tensione.

Nell’ambito della guerra cibernetica, il confine tra il mondo virtuale e quello fisico si sta facendo sempre più indistinto. Questo conflitto evidenzia l’importanza critica delle infrastrutture fisiche per la sfera cibernetica; l’attacco a torri di telecomunicazione e antenne a Gaza illustra come azioni tradizionalmente associate al contesto bellico possano rivestire un ruolo cruciale anche nel dominio cibernetico. Se oggi sono le infrastrutture di comunicazione a Gaza a essere prese di mira, domani potrebbero essere i data center delle principali aziende tecnologiche — su cui fanno affidamento molti Stati — a diventare obiettivi strategici in un conflitto.

Sviluppo tecnologico, politica e sicurezza nazionale

Questo caso studio rivela inoltre come lo sviluppo tecnologico sia profondamente influenzato da considerazioni di politica e sicurezza nazionale, più che da dinamiche puramente economiche.

Sottoporre l’innovazione tecnologica alle regole del mercato e considerarla come una leva fondamentale per la crescita economica riflette una visione strategica, fondamenta delle politiche capitalistiche del Novecento e motore delle società occidentali del nuovo millennio. Le politiche occidentali del secolo scorso hanno quindi intenzionalmente promosso un ambiente in cui lo sviluppo tecnologico è incentivato attraverso investimenti, regolamentazioni favorevoli, e un sistema di mercato che premia l’innovazione. Questo ha non solo accelerato il ritmo dell’innovazione tecnologica ma ha anche garantito che tale progresso si traducesse in crescita economica tangibile, creando un circolo virtuoso di sviluppo e prosperità.
Oggi, questa scelta politica ha implicazioni profonde: posiziona la tecnologia al centro delle strategie economiche nazionali e internazionali, elevando le grandi aziende tech ad attori attivi nei contesti di guerra, tradizionalmente ruolo prerogativa degli Stati. In questo contesto, la tecnologia diventa non solo un campo di competizione globale ma anche un terreno su cui si riflettono le priorità, i valori e le aspirazioni delle società che la promuovono. L’esempio di Starlink evidenzia perfettamente come, a seconda della discrezione di un’azienda privata, il potere della tecnologia possa essere utilizzato sia come strumento di empowerment sia come mezzo di controllo. Questa dicotomia enfatizza il ruolo cruciale della tecnologia e dell’accesso all’informazione in contesti di conflitto, dove le capacità di comunicare possono essere tanto strumenti di resistenza quanto di oppressione. Il coinvolgimento di una potenza tecnologica come quella di Musk in una regione segnata da decenni di conflitto mette in luce il potenziale impatto ambivalente delle grandi aziende tecnologiche: da un lato, portatori di innovazione e supporto, dall’altro, possibili strumenti di influenza politica e partigianeria. In questo scenario, l’assistenza tecnologica diventa un campo minato etico e politico, dove ogni gesto di supporto può essere interpretato come una presa di posizione nel conflitto, sollevando interrogativi sulla neutralità e sull’equità dell’intervento esterno.

Conclusioni

La situazione tra Israele e Hamas enfatizza l’importanza di considerare gli aspetti fisici della guerra nel cyberspazio e la necessità per gli Stati di navigare con cautela tra le esigenze di sicurezza, i diritti umani e le norme internazionali. È una chiara rappresentazione di come, oggi piu’ di ieri, la tecnologia e la politica siano intrecciate in modo inestricabile, con implicazioni profonde per la sicurezza globale, la sovranità degli stati e la vita quotidiana dei civili.

Note


[1] https://www.mordorintelligence.com/industry-reports/israel-ict-market

[2] https://portlandtrust.org/wp-content/uploads/2022/05/Palestinian-Tech-Ecosystem.pdf?ref=theouut.com

[3] https://documents1.worldbank.org/curated/en/472671640152521943/pdf/Palestinian-Digital-Economy-Assessment.pdf

[4] Id.

[5] https://www.peaceagreements.org/viewmasterdocument/985 Accordi di Oslo, Allegato III

[6] https://7amleh.org/wp-content/uploads/2019/01/Report_7amleh_English_final.pdf

[7] paragrafo D(2) dell’articolo 36 dell’Allegato III

[8] https://gisha.org/UserFiles/File/LegalDocuments/procedures/merchandise/170_2_EN.pdf

[9] https://features.gisha.org/red-lines-gray-lists/

[10] https://services.google.com/fh/files/misc/tool-of-first-resort-israel-hamas-war-cyber.pdf

[11] https://blog.checkpoint.com/security/the-iron-swords-war-cyber-perspectives-from-the-first-10-days-of-the-war-in-israel/

[12] https://blog.checkpoint.com/security/evolving-cyber-dynamics-amidst-the-israel-hamas-conflict/

[13] https://therecord.media/hacktivists-take-sides-israel-palestinian

[14] https://therecord.media/charming-kitten-targeted-israel-cyberattacks

[15] https://therecord.media/hamas-cooperates-with-hackers-to-stay-online

[16] https://therecord.media/iran-linked-hackers-target-israel-education-tech-sectors

[17] https://www.aljazeera.com/news/2023/10/9/israel-announces-total-blockade-on-gaza

[18] https://www.ochaopt.org/content/hostilities-gaza-strip-and-israel-flash-update-4

[19] https://www.gov.il/en/departments/news/15022024

[20] https://www.accessnow.org/publication/palestine-unplugged/

[21] https://www.gov.il/en/departments/news/17102023 vedasi punto 19 del comunicato.

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