Competenze digitali: come recuperare i ritardi nel 2016

Nonostante dei segnali positivi, i dati Istat ed Eurostat mostrano un’Italia digitale ancora in grave ritardo, con un nodo centrale rappresentato dalle basse competenze digitali. Una carenza diffusa che può essere affrontata solo con una strategia organica nazionale, di cui si vedono i primi elementi, e riconoscendone la priorità politica. Ma molto resta da fare: ecco perché

Pubblicato il 30 Dic 2015

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I recenti dati della rilevazione Istat su “Cittadini, Imprese e ICT” e quelli Eurostat, correlati, della Digital Agenda Scoreboard, evidenziano e confermano in modo credo chiaro come il tema della carenza di competenze digitali per il nostro Paese sia non solo uno dei nodi centrali per la crescita e lo sviluppo socio-economico, ma anche una carenza diffusa, “di sistema”

Le considerazioni che spingono ad affermarlo sono di diverso tipo, ma convergenti:

  • la maggioranza (56.3%) di chi non ha una connessione Internet da casa afferma che il principale motivo del non utilizzo sono le basse competenze digitali;
  • solo il 29,5% di chi utilizza Internet regolarmente ha competenze superiori a quelle di base, e addirittura il 2,5% non ne ha per nulla;
  • la differenza di genere nell’utilizzo di Internet è in Italia tra le più elevate (8,5% tra gli utenti regolari di Internet, rispetto ad un 2,8% della Francia) e la forbice non si è ridotta nell’ultimo anno. Differenza che si evidenzia e aumenta negli utilizzi economici (online banking, e-commerce) e si riduce negli utilizzi relazionali (social network);
  • nelle imprese, la maggioranza degli utenti dichiara di avere competenze di base (36,6%) o basse (31,4%);
  • nell’ambito della popolazione “occupabile” (occupati e disoccupati) il 17% non ha mai utilizzato Internet (15% degli attuali occupati e 22% degli attuali disoccupati), contro il 4% di Germania e Francia;
  • altro dato preoccupante sul fronte dell’organizzazione del lavoro è la bassissima percentuale (14,1%) degli occupati che utilizzano la rete in “modalità nomade”, fuori dalla sede di ufficio. Ultima in Europa, l’Italia deve confrontarsi con percentuali più che doppie da parte di Francia (42,3%) e Germania (39,1%);
  • nel confronto con i maggiori paesi europei (Germania, Francia, UK) le percentuali di chi non utilizza Internet in Italia sono elevatissime per tutte le fasce d’età, a parte quella da 16 a 24 anni dove la differenza è più contenuta. Ad esempio, nella fascia da 35 a 44 anni il rapporto è tra il 15,4% dell’Italia e l’1% della Germania, e nella fascia 65-74 il rapporto è tra il 70,7% italiano e il 38% tedesco;
  • il livello di istruzione è un fattore di penalizzazione maggiore per il nostro Paese, dove solo il 42,3% di chi ha al massimo una licenza di scuola secondaria inferiore utilizza internet regolarmente, contro, ad esempio, il 60,5% della Francia.

Insomma: la carenza di competenze digitali è avvertita come un problema e questa carenza è molto pronunciata in tutti gli strati della popolazione, a differenza degli altri paesi europei. E trascina in basso le percentuali di penetrazione dell’utilizzo della rete nelle imprese, nell’organizzazione del lavoro, nelle attività economiche, nelle attività quotidiane.

Da questi dati, evidenti, troppo evidenti, è necessario partire.

I fattori di ritardo

Dall’analisi di quelli che la Commissione Europea ha identificato come fattori di svantaggio (l’età superiore ai 65 anni, la posizione di “ritirato dal lavoro”, il basso livello di istruzione) si evidenzia inoltre come in Italia la carenza di competenze digitali non sia correlabile soltanto a questi fattori.

È certamente vero che la percentuale di chi utilizza internet regolarmente è molto bassa tra gli over 65 (22,4%), i “ritirati dal lavoro” (31,9%), coloro che hanno al massimo la licenza della scuola dell’obbligo (42,3%), ma lo è anche, nei confronti europei, per chi non ha nessun fattore di svantaggio. In più, siamo in presenza di un ritardo generalizzato e diffuso che non tocca soltanto chi è “escluso”, chi non utilizza la rete, ma tutti, con scarse, e poco significative, distinzioni.

Solo così si spiega, ad esempio, la distanza che separa nell’e-commerce gli utenti italiani di internet della fascia di età 34-44 (41%) dalla media dei coetanei europei (68%), come anche nei servizi bancari (49,6% contro 63%).

Nulla, nell’articolazione della popolazione, dei livelli di istruzione, della situazione occupazionale, può spiegare il ritardo legandolo ad un fenomeno o a una caratteristica specifica. Dall’analisi che ho cercato di realizzare poco più di un anno fa (e credo ancora attuale), emerge che l’analfabetismo digitale italiano ha le radici nella disattenzione politica verso la cultura e le competenze, verso la scuola e il valore del sapere, e si alimenta di più fattori di ostacolo, dalla presenza di interessi economici contrari al blocco esercitato da una classe dirigente (economica, sociale, politica) in prevalenza analfabeta digitale, dalla disabitudine generalizzata nel nostro Paese alla gestione del cambiamento e alla progettazione di medio-lungo termine, necessaria per uno sviluppo sul fronte delle competenze, alla prevalenza della cultura umanistica su quella scientifica e tecnologica, considerata ancora accessoria e per specialisti, alle caratteristiche del mercato del lavoro e alla prevalenza di micro e piccole imprese, dove senza un ecosistema di accompagnamento è difficile produrre cambiamenti culturali diffusi.

Per affrontare la situazione italiana ancora oggi occorre concepire una strategia che tenga conto di tutti questi elementi.

Trend

Naturalmente il trend dei dati è positivo, generalmente, per tutti gli indicatori maggiormente correlati con le competenze digitali e con l’utilizzo della rete. Ma la tendenza è tale che non incide sulla posizione di ritardo dell’Italia rispetto ai maggiori Paesi europei.

E, se supponiamo costante il trend positivo registrato nel 2015, ad esempio, per la riduzione della popolazione che non ha mai utilizzato Internet, l’Italia potrebbe arrivare solo nel 2020 al 10,8% attuale della Francia, e non sarebbe ancora sufficiente per recuperare il ritardo. Dopo cinque anni, un’enormità. Che non possiamo permetterci.

Verso una strategia organica nazionale

Come ho cercato di suggerire recentemente in un articolo su questa testata, è necessaria una strategia organica che metta insieme, coerentemente, azioni sulle infrastrutture di rete, di servizi, azioni di accelerazione (come il switch-over digitale su alcuni servizi), ma anche interventi profondi e di sistema sul fronte della cultura organizzativa, sull’e-leadership di imprenditori e manager, sulle competenze digitali di tutta la popolazione, politici inclusi. Interventi profondi, capillari, che uniscano regia, programmazione degli organi centrali e proattività delle comunità e dei territori.

Nell’ambito delle competenze digitali, la strategia del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) elaborata dal Miur e quella definita dalla Coalizione italiana per le competenze digitali coordinata da AgID sono già degli ottimi esempi.

Ancora, però, non sufficienti per il salto che è necessario per recuperare il ritardo. E questo per alcune ragioni che si possono così sintetizzare:

  • il PNSD opera essenzialmente nell’ambito della Scuola, per cui rimangono fuori le problematiche universitarie e gran parte dei temi correlati alle competenze richieste dal mercato del lavoro;
  • la Coalizione affronta l’intero problema delle competenze digitali, per cui dovrebbe avere una naturale correlazione con il PNSD, che però non è ancora evidente;
  • la Strategia della Coalizione prevede nel 2016 il coordinamento e la sinergia di tutte le iniziative a livello nazionale e territoriale, ma la situazione attuale vede ancora le Regioni, e gli altri importanti attori pubblici su questo fronte, ancora in azione con scarse correlazioni tra loro;
  • nonostante l’attenzione del governo rispetto ai temi del digitale (testimoniata anche da diversi punti della legge delega di riforma della PA), non sembra ci sia ancora la consapevolezza del ritardo enorme e della necessità di una strategia organica con forte commitment governativo.

La Coalizione, che include naturalmente il Miur come uno dei membri principali, può essere il soggetto capace di realizzare una strategia nazionale sulle competenze digitali con interventi allo stesso tempo diversificati (dai programmi Rai ai presìdi territoriali permanenti, a tutto il sistema educativo), coordinati, capillari, con grande protagonismo dei territori e dei diversi attori. La strategia definita per il 2016, e attualmente in consultazione pubblica, identifica linee di azione che dichiaratamente puntano alla sinergia e all’integrazione nell’ambito delle competenze digitali, identificando un quadro complessivo sulle competenze digitali e dei modelli di riferimento come Digcomp ed e-CF 1 delineando azioni di sviluppo delle competenze digitali come elementi centrali del piano di diffusione dei programmi infrastrutturali di crescita digitale (come Spid, PagoPa), puntando all’ottimizzazione e al coordinamento degli interventi della programmazione nazionale e regionale sui fondi europei, costruendo luoghi fisici e in rete per la condivisione, lo scambio e la capitalizzazione delle esperienze.

Ma l’aspetto che più connota questa come iniziativa di sistema è la scelta di dare enfasi alla misurazione dei risultati, non come azione di controllo a valle, ma come spinta culturale a concepire la misurazione come elemento essenziale per il miglioramento. Spinta che ha portato all’identificazione di indicatori per tutti gli 80 progetti presenti a dicembre sulla piattaforma web di condivisione. Ed è su questo percorso che una delle milestone prevista nel 2016 può essere da base per una reale discontinuità: la definizione di obiettivi annuali per i principali indicatori, la definizione conseguente di una roadmap di miglioramento.

È la base per il principio di accountability, è la condizione per confrontarsi realmente con una situazione che si vuole profondamente cambiare, per propagare gli obiettivi nei piani di performance delle pubbliche amministrazioni, disegnando un programma ambizioso chiamato a misurarsi con i fatti, con i dati. E se è necessario che il governo riconosca questa come priorità strategica, è altrettanto necessario che si comprenda che il risultato si ottiene solo con il concorso di tutti, perché si tratta di una delle principali emergenze, una delle salutari ossessioni che dobbiamo avere.

1 Da settembre 2013 il framework e-CF è diventata norma UNI 11506:2013 “Attività professionali non regolamentate – Figure professionali operanti nel settore ICT – Definizione dei requisiti di conoscenza, abilità e competenze”.

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