Sono numerose le questioni calde in questo periodo, che attanagliano l’Italia sul fronte dei massimi sistemi di Governance su internet. Dal ritardo infrastrutturale che l’Italia tuttora sconta, fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sulla privacy (GDPR), passando per il problema della posizione dominante dei grandi operatori over-the-top americani come Google e Facebook, e per i nuovi paradigmi dell’Internet delle cose e dell’Industria 4.0; e poi sicurezza, lavoro, giovani. Come emerso anche nel recente Igf Italia (20-21 novembre), tra gli aspetti su cui l’Italia è tuttora in ritardo rispetto al resto del mondo, vi è anche la modalità stessa di gestione della rete.
Come già accaduto negli anni precedenti, la riunione “multi-stakeholder” dell’IGF Italia, che mette insieme settore privato, società civile, agenzie pubbliche, accademia e tecnici, ha rivolto alla politica e al governo un appello affinché anche in Italia si adottino modelli condivisi di gestione del futuro e delle regole della rete. L’intenzione degli intervenuti è quella di lanciare dal basso un coordinamento che sia rappresentativo di tutti gli attori che influenzano lo sviluppo di Internet, e che possa venire riconosciuto come la “casa” italiana di queste discussioni.
Questo perché è evidente uno scollamento fra gli intenti inerenti il livello di “maturazione digitale” auspicato, e lo stato attuale del paese confrontato al resto d’Europa.
L’indice Desi è chiaro a riguardo. Siamo 25emisi su 28 paesi.
Al giorno d’oggi ognuno di noi contribuisce allo sviluppo del nostro paese, utilizzando strumenti digitali.
Dal politico al libero professionista, dall’impiegato a chi è in cerca di impiego.
Non esiste più turismo, non esiste più cultura, scuola o istruzione se non in chiave digitale.
Non tutti però hanno la stessa dimestichezza con la tecnologia, a causa di una carenza diffusa di cultura digitale. Ma per cultura digitale non intendo solo in chiave tecnica (sotto questo punto di vista la capacità di apprendimento è elevata se ci si applica), quanto sotto il profilo della conoscenza dei propri diritti di cittadino.
La responsabilità, affinché i cittadini possano essere guidati e accompagnati in questa evoluzione, è di chi governa il nostro paese. Per cui molto si potrebbe fare andando ad incidere sulla governance digitale, con un’attenzione alle richieste che arrivano dalla società, ed appunto da un coordinamento multi-stakeholder sulla governance di internet.
Ed è proprio qui, come si suol dire, che casca l’asino.
L’Italia risulta essere indietro dal punto di vista dell’innovazione digitale, in particolare modo a livello delle pubbliche amministrazioni, rispetto al resto d’Europa.
Problemi di governance, mancanza di competenze – tecniche e manageriali -, carenza di indicatori di risultato che permettano di valutare la qualità dei progetti di digitalizzazione, eccesso di spesa indirizzata alla manutenzione dei sistemi esistenti anziché alla loro evoluzione, confusione normativa. Queste sono solo alcune delle problematiche. E non è sufficiente una commissione d’inchiesta per affrontare tali questioni coscientemente. Non è sufficiente neppure un team digitale una tantum. Questi possono essere dei tasselli aggiuntivi, ma non la soluzione.
Il tema del digitale, essendo diffuso e presente in ogni altra questione di Stato (sanità, istruzione, giustizia, ambiente, attività produttive) ha bisogno di funzionari parlamentari specializzati e di una commissione permanente che sostenga le altre 14 commissioni che guardano al digitale solo come ambito collaterale.
Serve in aggiunta un Ministero ad hoc, anche senza portafoglio, che monitori l’impatto del digitale sulla società, e che determini le strategie per gli altri ministeri (che potrebbero non avere competenze interne specifiche) coerentemente con il piano triennale per l’informatica e con il CAD. Servono infine più risorse ad AgID e ad Anac, per monitorare la piena attuazione del piano di digitalizzazione, e per evitare abusi negli appalti inerenti il digitale (la spesa ict in Italia muove 5,5 mld di euro l’anno).
Non possiamo affrontare in maniera emergenziale una questione che è strutturale.
Serve, dunque, uno strumento costante nel tempo, risorse economiche e soprattutto competenze per aggredire la cattiva digitalizzazione.
Rafforzare e stabilizzare la governance della trasformazione digitale. Questo deve essere l’obiettivo da perseguire. Al tempo stesso è opportuno aumentare la capacità del legislatore di eseguire un costante assessment dell’impatto tecnologico sulla normativa, valutando anche l’opportunità di aggiornare la struttura delle commissioni permanenti.