Lo stralcio, voluto dal presidente Renzi, dell’emendamento governativo che consente l’intercettazione sulla rete e l’accesso ai contenuti privati degli utenti per tutti i reati ‘commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche” (e non solo quelli di matrice terroristica), ha soltanto rimandato il problema, che sarà comunque da affrontare a breve, quando andrà in discussione il provvedimento sulle intercettazioni.
L’”incidente” non è stato però casuale. È il frutto di una carenza di presidio sui temi, fondamentali, della rete e del digitale, all’interno del Parlamento e, sembra, anche a livello governativo.
Nel Parlamento la mancata istituzione di una Commissione permanente sull’Agenda Digitale, richiesta da centinaia di deputati, impedisce che sulle norme che toccano la regolamentazione digitale possa esprimersi con un parere chi può farlo con competenza e con una visione organica. Una lentezza e una resistenza al cambiamento sempre più intollerabile.
Allo stesso tempo, nel caso in particolare, poiché l’emendamento è di provenienza governativa, la stessa carenza sembra presente a quel livello, nonostante anche qui non manchino responsabilità assegnate e persone competenti e in grado, se sistematicamente coinvolte nelle iniziative su quest’ambito, di poterle definire in modo “informato”.
A meno che le varie dichiarazioni di appoggio all’emendamento (o di “non critica”) da parte di esponenti della maggioranza non siano un segnale che esiste una linea di pensiero diversa da quella espressa dall’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione Tecnologica e anche dalla Presidente Boldrini, promotrice della Commissione per i diritti di Internet, e che quindi l’emendamento non sia stato una “svista”.
E questo è un dubbio che è bene fugare al più presto correggendo l’emendamento secondo le proposte avanzate dall’Intergruppo, con la prima firma di Quintarelli.