il progetto

La biblioteca del futuro: dare valore al tempo oltre che allo spazio



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Le biblioteche, luoghi di conservazione della conoscenza, stanno subendo una trasformazione radicale grazie all’era digitale. L’artista scozzese Katie Paterson, attraverso il progetto Future Library, ci offre una visione del futuro delle biblioteche, in cui il tempo diventa una dimensione fondamentale, accanto allo spazio fisico

Pubblicato il 24 gen 2024

Gianna Angelini

Direttrice scientifica di AANT



future library

Le biblioteche sono luoghi speciali, che, sin dalla loro origine, seppur variegata, hanno avuto a che fare con la cura dell’anima, oltre che con la conservazione del sapere. ψυχῆς ἰατρείον (psychés iatreíon), letteralmente «dispensario, ospedale dell’anima» è la traduzione in greco di Diodoro di Sicilia (I secolo a.C.) dei geroglifici che troviamo a Tebe, sul frontone della porta d’entrata della biblioteca di Ramsès II (XIII secolo a,C.).

In quanto luoghi di raccoglimento, ma anche di stimolazione del pensiero, ritengo che esse siano uno dei luoghi ideali per lo sviluppo della creatività, la quale si nutre in modo particolare del contesto all’interno della quale si sviluppa. E questo soprattutto oggi. Sebbene i tempi rendono necessario un loro ripensamento e un diverso modo di viverle.

Pensatoi prima dell’avvento della cultura digitale

In passato, si delineava una separazione netta tra il creatore e l’archivio di conoscenze che lo supportava nel suo processo creativo. È noto che qualsiasi innovazione, anche la più originale, attinge a una base di conoscenze preesistenti che il creativo non può trascurare.

All’interno di biblioteche e luoghi di riflessione, gli strumenti della conoscenza assumevano la forma di risorse consultabili, come libri, disegni, schizzi, prototipi e oggetti rari e preziosi. Questi supporti possedevano una vita materiale propria e occupavano uno spazio specifico all’interno dell’ambiente fisico, che doveva essere quanto più accogliente possibile. Il processo di raccogliere oggetti, creare collezioni, acquisire informazioni, elaborare idee e creare avveniva in completo isolamento dal mondo esterno, all’interno delle mura della biblioteca o del luogo di riflessione. L’artista o pensatore si ritirava dal mondo esterno, lasciandolo fuori dalla biblioteca o dal luogo di riflessione, per immergersi intimamente nei propri pensieri.

Pensatoi dopo l’avvento della cultura digitale

Attualmente, i depositi di conoscenza si presentano in forma ibrida, incorporando sia elementi analogici che digitali. La presenza dell’archivio digitale frantuma la solidità dei tradizionali mezzi di conservazione della memoria. L’oggetto designato per conservare la conoscenza non è più visibile e, in effetti, non esiste finché non viene attivato dalla nostra consultazione. Di conseguenza, la netta distinzione tra il soggetto creativo e pensante e l’oggetto depositario della memoria si dissolve.

L’elenco di file di testo, immagini e video archiviati digitalmente attende che qualcuno dia loro vita. Siamo noi che, mentre li cerchiamo e li selezioniamo, li apriamo davanti ai nostri occhi e diamo loro forma. La forma che assumono coincide con il momento in cui decidiamo di dar loro vita. A differenza del supporto fisico, che è presente indipendentemente dall’uso che ne faremo, un file archiviato digitalmente prende vita solo quando viene consultato.

Con l’avvento del digitale, non solo si perde la distinzione tra soggetto e oggetto del pensiero, ma l’oggetto stesso perde il suo status per diventare un evento ancorato più al tempo che allo spazio. La raccolta delle nostre memorie diventa flessibile e non lineare, priva di un ordine nella sua evocazione. Ancorata alle nostre pulsioni e alle esigenze del momento, la rievocazione diventa imprevedibile. Le informazioni conservate nei supporti si trasformano in tracce da seguire e individuare.

Tale cambiamento tocca inevitabilmente la progettazione dello spazio, che deve contenere la potenzialità della generazione di una esperienza che ha anche a che fare con la flessibilità del tempo, reso evento. Una ibridazione anche spaziale, tutta da ripensare.

Il progetto Future Library*

Nel 2014, un’artista scozzese, Katie Paterson, interviene in questo potenziale dibattito con una provocazione artistica: dando vita alla Future Library (Framtidsbiblioteket in norvegese). Grazie alla collaborazione con la più grande biblioteca pubblica norvegese, Biblo Tøyen o la Deichman Bjørvika, che nel 2021 si è aggiudicata il premio come miglior nuova biblioteca pubblica del mondo, è stata piantata una intera foresta di 1000 abeti vicino ad Oslo che fornirà carta per la pubblicazione dei libri della Biblioteca del futuro nel 2114

Ogni ottobre, un autore viene chiamato a partecipare al progetto. La selezione cade su un individuo che si è distinto per eccellenza letteraria e la capacità di catturare l’immaginazione delle generazioni presenti e future. L’incarico consiste nel redigere un libro e accettare la pubblicazione futura, vincolato da un impegno di riservatezza che impedisce la divulgazione della trama e del contenuto, rivelando solo il titolo. La consegna dell’opera avviene nella primavera dell’anno successivo, in una cerimonia pubblica tenuta nella foresta Nordmarka. I manoscritti sono conservati in scatole ermetiche nella “Silent Room“, una struttura situata all’interno della biblioteca di Deichmanske. Questa “stanza silenziosa” è costruita utilizzando legno proveniente dagli alberi abbattuti per fare spazio al progetto. Il primo testo depositato è stato scritto da Margaret Atwood. 

I lettori della biblioteca del futuro non esistono ancora, nasceranno fra molti anni, così come molti degli scrittori che popoleranno l’archivio. La stanza che accoglie i libri che verranno pubblicati tutti insieme nel 2114, dorme e accoglie segreti.

Può essere quindi, questo spazio, preso a modello per l’idea del nuovo pensatoio? Simbolicamente penso di sì. Perché il progetto ci mostra come il ruolo dell’archivio possa essere ancora quello di creare contenuto, ma non in termini di memoria, bensì come fabulazione e processo narrativo imprevedibile, come attesa di un evento. Quindi esso ci invita non a domandarci se fra 100 anni esisteranno ancora i libri, o parleremo ancora la nostra lingua, né tanto meno se esisteremo ancora come esseri umani, ci invita a domandarci piuttosto se saremo in grado di farci curare dal segreto di un silenzio propulsore di storie impensabili.

E accettare che la creatività sia sempre più ancorata alla speranza depositata nella fiducia verso un passato indefinito.

Per approfondimenti:

Byung-Chul Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi, 2022

Peng Shepherd, The Future Library, 2021

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