Tra le abilità umane rilevanti per affrontare le complessità dall’era digitale che stiamo vivendo, la creatività, intesa come la capacità di produrre idee nuove e utili, appare come una delle più strategiche e meritevole di attenzione.
Il modo in cui utilizziamo i dispositivi digitali, creiamo abitudini e dipendenze connesse al loro uso, ha un forte impatto sulle nostre capacità cognitive: si stanno progressivamente alterando i comportamenti mentali degli individui, modificandosi le strutture cognitive coinvolte nell’elaborazione delle informazioni, nel controllo esecutivo e nei processi di ricompensa. Il sovraccarico cognitivo a cui si è esposti favorisce l’adozione di una modalità di apprendimento superficiale, caratterizzata da una rapida scansione delle informazioni e una riduzione della loro elaborazione sistematica.
Se da una parte la trasmissione digitale di dati e la connettività tra persone, idee e processi creativi facilita oggettivamente la collaborazione e la propensione all’interazione, contestualmente aumenta l’abitudine ad attivare comportamenti multitasking, ormai risaputamente collegati ad una minore performance ed una maggiore distraibilità. A questo si aggiunge la diffusa tendenza a generare rapporti di dipendenza dai dispositivi che ci tengono connessi alla rete, che rende ulteriormente complicato il coinvolgimento del sapiens digitale in processi che richiedono elevata concentrazione e dedizione (Kee Loh e Kanai, 2015).
Appare inevitabile che questi cambiamenti stiano influenzando le capacità di pensiero creativo della generazione potenziata digitalmente (Prensky 2010) e l’uso delle tecnologie stia rimodellando i nostri processi creativi ed influenzando la produzione creativa di nuovi prodotti. La grande disponibilità di contenuti e l’accessibilità a software e strumenti che rendono più semplice non solo la produzione ma anche la replicazione di contenuti (dalla condivisione al plagio) rendono necessario formulare riflessioni ad hoc sul tema.
Le tecnologie possono agevolare o complicare la nostra vita onlife (Floridi, 2012), ma la vera differenza la fa quanto esse siano integrate nella cultura più estesa, quanto questa sia pronta ad accogliere in termini di creatività digitale le innovazioni proposte.
Sarebbe auspicabile che aziende, scuole ed organizzazioni riflettessero su queste trasformazioni in atto al fine elaborare strategie per affrontare i cambiamenti della generazione digitale.
Basti pensare che già attualmente la maggior parte dei lavori richiede una buona dose di creatività e sempre più sarà essenziale in futuro, considerando l’elevata probabilità che mestieri più semplici vengano automatizzati. Se vogliamo preservare la nostra posizione sul mercato, dobbiamo ottimizzare proprio quelle competenze umane che con più difficoltà possono essere sostituite e la creatività, più delle altre, ha un peso rilevante.
Come concepiamo la creatività
Come sottolinea Annamaria Testa, la creatività non è un’attività, ma un atteggiamento mentale che permette di porsi in condizione di apertura di fronte ad una situazione nuova, trovando nuove opportunità. Ma, al contrario di quanto si possa pensare, non è mera “espressione”. Si configura come un processo focalizzato e consapevole che produce qualcosa che merita di essere condiviso.
Esistono oltre cinquanta definizioni scientifiche di creatività, ma in letteratura troviamo una costante: ricondurre l’attività creativa alla realizzazione di qualcosa di originale e socialmente riconosciuto come utile (Amabile, 1983), lasciando emergere ora il prodotto dell’attività creativa, ora il processo con cui essa si realizza, ora le doti (innate o acquisite) del suo artefice.
Nell’immaginario collettivo, abbiamo da una parte una dimensione straordinaria, collegata al genio o alla follia e questa facoltà misteriosa viene concepita prevalentemente come innata. All’opposto, una dimensione ordinaria, che concepisce la creatività come un fattore diffuso e distribuito, se pur non equamente, nel mondo sociale, oggi considerata una caratteristica professionale incrementabile, un attributo universale. Se da una parte è preziosa la nuova dimensione ordinaria, descrivendo una qualità profondamente umana da capitalizzare, dall’altra va arginato l’effetto perverso della facilità dell’accesso agli strumenti, grazie al digitale che fa ritenersi scrittori aprendo un blog o grafici imparando ad usare Photoshop.
Per orientarsi bisogna tener presente che esiste una distinzione tra l’opinione degli esperti e quella della persona comune: da una parte un riconoscimento di dominio, inteso come la tendenza di una disciplina o di un campo a saper individuare e giudicare ciò che può essere ritenuto creativo o meno e dall’altra una conoscenza diffusa e per lo più implicita, sul concetto di creatività da parte delle persone comuni, che è strettamente legata a componenti socioculturali che mediano l’interpretazione della realtà.
Distinzione non da poco in un’epoca in cui la vox populi ha un peso notevole tramite i social media nell’influenzare l’opinione di massa e si accompagna ad una progressiva devalorizzazione delle professionalità.
Il modello sistemico: come migliorare il processo creativo nell’era digitale
Per comprendere il processo ed utilizzare al meglio le potenzialità che ci offrono le innovazioni digitali possiamo far riferimento all’opera dello psicologo ungherese Mihály Csikszentmihalyi, che nel lontano 1988 propose un modello di analisi multicomponenziale, a cavallo tra psicologia e sociologia, che ci aiuta a sottolineare il ruolo del contesto nel processo creativo.
Il modello si basa su una triade funzionale: la dimensione individuale, quella simbolica (il dominio) e quella sociale (il campo). L’interrelazione tra elementi di questa triade si realizza poiché l’individuo utilizza un’informazione dalla cultura e attraverso la sua disciplina la trasforma; se questo cambiamento è considerato degno di valore dalla società sarà incluso nell’ambito disciplinare, offrendosi come un nuovo punto di partenza per la produzione di altri individui. In tal senso la creatività non si trova in uno qualsiasi degli elementi individuati dall’autore, ma nelle interazioni tra di loro ed affinché emerga sarà necessario un equilibrio nell’intero sistema. All’interno di un determinato dominio (con cui intendiamo una società in una determinata epoca storica) si trasmettono determinate pratiche (o regole) che vengono successivamente modificate e reinserite nel dominio; se ricevono l’approvazione ed il sostegno dei membri del campo in cui la trasformazione ha comportato mutamenti, verranno adottati anche all’esterno e diverranno nuovi “memi forti” (idee dominanti e replicabili con varianti, per dirla alla Dawkins).
Parleremo concretamente di creatività solo quando introducendo un cambiamento, questo viene poi mantenuto e trasmesso nel tempo.
Assume un ruolo cruciale nel processo la flow experience, quell’ “esperienza ottimale” durante la quale il Sé sperimenta la massima sensazione di coinvolgimento in un’attività (detta “presenza”). Questa sensazione di presenza deve essere associata alla percezione di equilibrio tra difficoltà e compito (challenge) per cui il soggetto deve sentire che la sfida è realistica, e deve credere fermamente di avere le capacità personali per portarlo a termine (skills). Nel pieno del flusso creativo l’individuo è in grado di accantonare qualunque altro pensiero, focalizzandosi completamente sul compito che sta svolgendo: ciò è possibile anche in ragione di una “destrutturazione del tempo” che avviene durante la produzione creativa. Questo coinvolgimento totalizzante nell’attività, oltre ad alterare la percezione del tempo, produce un senso di piacevolezza e soddisfazione nell’essere coinvolti da quella situazione. (Csikszentmihalyi, 1994, 1996; Riva, 2008). Quindi, nonostante l’attività venga svolta “naturalmente” ed apparentemente senza sforzo, Csikszentmihalyi sottolinea che la condizione di flow non possa verificarsi senza il supporto di una attività mentale molto disciplinata e senza l’applicazione massima delle proprie capacità. L’optimal flow, in sostanza, si realizza quando l’individuo è completamente coinvolto nella realizzazione della attività stessa, provando un piacere nel realizzarla che prescinde dalle sue conseguenze.
Le emozioni positive generate durante le esperienze ottimali hanno un ruolo determinante per lo sviluppo soggettivo, permettendo l’ampliamento del repertorio pensiero-azione e la costruzione di nuove risorse cognitive. (Fredrickson, 2001). Ci permettono di aprire la mente ampliando lo spettro d’attenzione del nostro pensiero, attutiscono l’effetto stressante delle emozioni negative, aumentano la resilienza e la ricerca di nuove condizioni positive, quindi stimolano il benessere.
Questo è esattamente l’aspetto strategico che va più valorizzato, dal momento che permette di produrre nuovi script e nuove associazioni, alla base del nostro sistema cognitivo, che ci permettono di portare a termine previsioni ed intuizioni non ordinarie ed efficaci. Diventiamo meno “avari cognitivi”.
Come stride tutto questo con le nuove abitudini digitali?
Semplice, abbiamo rinunciato al vuoto, all’otium che è fondamentale per far lavorare il pensiero laterale. Il nostro uso compulsivo dei dispositivi digitali, riempie ogni momento vuoto dei nostri giorni. Essere costantemente interrotti dalle notifiche o scorrere il feed di un social mentre siamo in attesa, ci toglie la possibilità di far vagare la mente in quei pochi minuti e dare la possibilità al nostro cervello di attivare il pensiero bisociativo.
Per poter vivere una esperienza ottimale e allenare il pensiero creativo, è importante preservare momenti rilassanti nella nostra vita quotidiana, essenziali perché il nostro cervello possa stabilire connessioni tra cose non correlate e trovare spunti interessanti. In sostanza, quindi, quando parliamo di processo creativo, non parliamo di un lampo che arriva all’improvviso sulla “via di damasco”, non parliamo della lampadina che si accede totalmente al di fuori della nostra consapevolezza. Parliamo di competenza a lavoro, parliamo di educazione e dedizione alla produttività.
Ciascuno può ottimizzare la propria intelligenza creativa lavorando in profondità sulla competenza del proprio campo, utilizzando i potenziamenti digitali in modo costruttivo, così da evitare quelle distrazioni che comprometterebbero il processo di flow. Piccole strategia di minimalismo digitale, potrebbero essere estremamente utili, come la semplice eliminazione delle notifiche su smartphone e Pc, dedicare orari specifici per controllare le email, effettuare il logout da social e sistemi di messaggistica, come deterrente al continuo aggiornamento.
Dal flow al networked flow. La valorizzazione della rete nel processo creativo
C’è un altro aspetto rilevante che è correlato alle potenzialità connettive e creative delle tecnologie digitali. L’esperienza condivisa in rete può, infatti, generare un “networked flow” durante le interazioni sociali: uno stato di transizione che costituisce la modalità specifica della trasformazione sociale. È lo stato in cui l’intenzione soggettiva diviene collettiva generando la we-intention. (Gaggioli et al 2012; Riva et al 2010; Riva, 2008).
Il networked flow è un processo con delle sue specifiche caratteristiche, che permette agli individui di potenziare la creatività individuale ancor più di quanto si possa fare da soli, grazie al prevalere di un mente di gruppo, di uno stato di fiducia, condivisione ed empatia in cui le interazioni del singolo e del gruppo pervengono alla produzione di nuovi artefatti creativi (una idea, un progetto, un prodotto o qualunque cosa possa essere ritenuta dal contesto nuova ed utile).
L’architettura cognitiva derivante da questa strategia rende conto del fatto che, qualora i processi creativi e, quindi, innovativi vengano condivisi da più attori, si procede in modo più rapido e produttivo: la collaborazione rende agevole il processo di ideazione e la successiva selezione (Johnson-Laird- Girotto, 2005).
Perché si realizzi un networked flow, non è sufficiente la condivisione di contenuti o la mera interazione, ma è necessario che obiettivi ed emozioni da parte di tutti i membri del gruppo siano condivisi attraverso un’esperienza totalizzante di “presenza sociale” (quindi la percezione della presenza dell’altro). Il gruppo deve sperimentare una sensazione di liminalità (stare per) propria di coloro che avvertono il desiderio di cambiare il proprio stato e la spinta a realizzare questo cambiamento attraverso un’attività comune, la collaborazione, che diviene uno strumento concreto per modificare la situazione. Non tutte le reti, quindi, sono reti creative, ma quelle in cui gli individui sono uniti da una forza creativa, espressamente orientata nella stessa direzione.
Si realizzano, in questo modo, processi di pensiero divergente come risultato dell’azione di una mente collettiva formata non solo dai cervelli delle persone, ma dalle loro protesi cognitive: è nell’interazione di una mente naturale con gli artefatti tecnologici, che si concretizza il potenziale innovativo dell’azione di gruppo, dal momento che l’innovazione è un fenomeno indiscutibile sociale e definibile come creatività diffusa. (Legrenzi 2005)
Anche in questo caso, a beneficio della creatività collettiva, poche strategie possono essere d’aiuto, partendo da un uso socialmente intelligente della comunicazione che valuti i costi e i benefici per il destinatario, con messaggi solo se essenziali e brevi, una scrittura efficace che limiti il più possibile l’invio di comunicazioni superflue (e-mail, commenti, messaggi).
In questo senso la società digitale diviene l’ambiente ideale perché l’intelligenza connettiva, il pensiero creativo ed i processi innovativi possano realizzarsi. In tal modo le risorse riescono a lavorare attraverso processi collaborativi snelli e partecipati, ma al contempo riescono a valorizzare al massimo le singole riserve di competenza e creatività.
Per ottenere un’organizzazione di successo fondata sull’utilizzo partecipativo della dimensione digitale e più nello specifico, sfruttando le positive implicazioni dell’optimal flow e del networked flow, non è sufficiente la mera adozione di strumenti, ma è assolutamente determinante un profondo cambiamento nei modelli gestionali e negli stili di leadership e nel modo stesso di educare sia all’uso delle protesi cognitive, sia alla valorizzazione del pensiero creativo.
Ancora una volta non siamo davanti ad un problema tecnologico, ma ad un problema culturale.
Senza dubbio è un dato di fatto che mai come oggi, il pensiero creativo sia uno strumento fondamentale per sfruttare al meglio le potenzialità che proprio il digitale ci offre, ma perché questo accada, la “creatività” ha bisogno di essere compresa, di essere formalizzata, valorizzata in modo appropriato ed avere un contesto che la sappia accogliere. Se il contesto non è aperto all’inevitabile flessibilità che richiede una mente creativa o un processo creativo, vengono meno le condizioni di una sua reale espressione e ne conseguono, se non danni, sicuramente consistenti freni al processo innovativo.
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Bibliografia
Amabile, T., (1983) The social psychology of creativity, New York, Springer-Verlag
Csikszentmihalyi, M. (1988) Society, culture, and person: a systems view of creativity, in Sternberg R., 1979;
Cszikszentmihalyi, M. (1994) The evolving self, NY: Harper Perennial;
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Floridi L (a cura di) 2012, The Onlife Manifesto. L’essere umano in un’era iperconnessa, Springer
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Riva G, Gaggioli A, Milani E, (2010) Networked Flow: Comprendere e Sviluppare la Creatività di Rete. Milano, Edizioni LED
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Prensky M. (2010). H. Sapiens Digitale: dagli Immigrati digitali e nativi digitali alla saggezza digitale.TD-Tecnologie Didattiche, 50, pp. 17-24