La Rai muove i primi passi sul percorso auspicato da anni e considerato in modo diffuso come essenziale per la diffusione della cultura digitale nel nostro Paese, data anche l’arretratezza italiana su questo fronte nel contesto europeo (un italiano su tre non ha mai navigato su Internet).
Li muove nel contesto di un progetto dal nome evocativo (“Rai per l’Alfabetizzazione Digitale: Maestro Manzi 2.0”) rifacendosi così all’esperienza degli anni ‘60 con la famosa trasmissione “Non è mai troppo tardi”, ma con un approccio del tutto diverso e consapevole dei cambiamenti intervenuti sia nella società italiana sia sul piano delle modalità comunicative. Non quindi con l’idea di proporre una trasmissione specifica di alfabetizzazione, ma con una contaminazione dell’intera programmazione del servizio pubblico, dai programmi della mattina alle fiction ai talk show fino a produzioni specifiche, utilizzando i diversi canali e le diverse proposte possibili. Un approccio articolato, su più livelli comunicativi e per diversi target, che si correla alle esigenze diverse della popolazione, e che coinvolge tutti i “producer Rai”, partendo da un percorso formativo specifico sui temi dell’Agenda Digitale.
Data anche la forte influenza televisiva nell’informazione e nell’intrattenimento degli italiani, il passaggio è senz’altro fondamentale, e segue quanto previsto nelle Linee Guida del Programma Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali, lì dove si afferma che ci si aspetta dalla Rai “un contributo fondamentale ad una diffusione di massa della cultura digitale” e che “Il contratto di servizio e la missione RAI devono includere l’impegno pubblico per lo sviluppo e la promozione della cultura digitale”.
In questo quadro senz’altro positivo, anche se ancora di primi passi, è però importante sottolineare alcuni punti che sono necessari perché questa sia un’operazione di successo e perché l’intero valore della Rai sia utilizzato per il superamento del gap culturale in ambito digitale. Tre mi sembrano principali:
- la dimensione anche funzionale dell’analfabetismo digitale italiano;
- la necessaria correlazione con gli altri interventi per lo sviluppo della cultura digitale;
- la dimensione della Rai come produttore di contenuti e servizi e non solo di editore di programmi.
La dimensione funzionale dell’analfabetismo digitale italiano
Come abbiamo argomentato in altre occasioni, l’analfabetismo funzionale in Italia è vicino ai due terzi della popolazione e, se analizziamo gli usi della rete che mostrano il possesso delle competenze digitali di base (quindi non la semplice attività di accesso o navigazione in Internet), ci posizioniamo anche qui su una simile percentuale di analfabetismo. La correlazione anche numerica tra i due fenomeni, sulla quale non ci sono purtroppo al momento studi specifici, fa supporre che almeno buona parte dell’analfabetismo digitale sia legato all’analfabetismo funzionale.
Questo significa che l’opera di alfabetizzazione richiesta è profonda e culturale e non di natura strumentale e tecnologica. In altri termini, ha bisogno della costruzione di percorsi articolati e organici, composti da pillole formative di vari livelli comunicativi, e nella gran parte dei casi deve ibridare attività a distanza (come quelle sollecitate dai programmi televisivi) con momenti in presenza e affiancamento.
Se questo è un vincolo da tenere in conto (e che attiene al punto successivo di attenzione) la dimensione televisiva è invece fondamentale per l’innesco del percorso, per la maturazione della convinzione che sviluppare una cultura e una competenza digitale è importante e conveniente per la propria qualità della vita, perché consente di usufruire di servizi utili, di non essere danneggiato dalla necessità di ricorrere a intermediari, e di partecipare meglio alla vita collettiva, potendo incidere di più e in modo più informato. Da questo punto di vista bisognerebbe puntare non solo sulla pervasività dei temi del digitale su fiction e programmi vari, ma anche sulla forza dello storytelling, seguendo anche la visione e le esperienze positive già effettuate dal Digital Champion italiano Riccardo Luna.
La necessaria correlazione con gli altri interventi per lo sviluppo della cultura digitale
L’approccio ibrido richiede non tanto un’unica programmazione degli interventi di alfabetizzazione, quanto la capacità di legare in rete le diverse attività e programmazioni del progetto Rai con le attività dei vari soggetti (scuola, università, biblioteche, associazioni culturali e di promozione sociale, imprese, ecc…) che operano sul territorio e rispetto alle quali la programmazione Rai (nazionale e regionale) dovrebbe costruire possibilità di interscambio e di integrazione.
Il tutto è importante che avvenga all’interno di un quadro coordinato di iniziative a livello nazionale che possa consentire di massimizzare la collaborazione e la convergenza degli sforzi, un migliore utilizzo delle risorse, una efficace e chiara definizione degli obiettivi e la conseguente misurazione dei risultati.
La dimensione della Rai come produttore di contenuti e servizi
Ma la Rai non è solo un editore di programmi, le sue potenzialità sono molto più elevate. Sempre dalle Linee Guida già citate: “La RAI deve inoltre essere coinvolta non solo come editore in grado di sensibilizzare milioni di cittadini con i suoi programmi, ma soprattutto in qualità di partner strategico per specifici progetti di comunicazione per l’Amministrazione nazionale e locale, ovvero per lo sviluppo e l’offerta di contenuti e servizi cross-mediali (programmi TV, Web contents, app etc.), accessibili attraverso ogni piattaforma digitale (TV, Web, smartphone, tablet etc.), nel campo dell’informazione, dell’educazione, della cultura, dei servizi locali e di prossimità etc.”
Nel mondo multimediale i contenuti digitali Rai devono essere pensati per un riuso diffuso, a partire dalle scuole, dalle università e dalle biblioteche, concepiti come risorsa che, come un mattoncino, può essere combinata in mille percorsi specifici, a cura di chi opera nel campo dell’educazione digitale a più livelli e sul territorio, come una enorme libreria di pillole formative pronte all’uso.
Ed è in questo senso che si può interpretare in modo pieno quanto affermato nel comunicato stampa Rai relativo a questi primi passi del progetto Manzi 2.0: “Il Servizio Pubblico, nell’era delle tecnologie digitali e multimediali, è quindi pronto a rafforzare la vocazione storica di driver dell’innovazione del Paese assumendo un ruolo ancor più propulsivo nello sviluppo delle nuove tecnologie digitali e dei relativi servizi a valore aggiunto, con l’obiettivo di estenderne i benefici all’intera collettività in termini di miglioramento e ampliamento delle esperienze di fruizione”.
Affermazione che richiede necessariamente il dispiegarsi della strategia nazionale per la cultura digitale. Adesso.