La condizione di quarantena ha accelerato processi d’innovazione digitale in molti musei e istituzioni culturali. Si stanno definendo nuovi format e contenuti: visite virtuali, curatori che diventano narratori, artisti in diretta, aste su Instagram, crowdfunding artistico per la lotta al Covid-19, e gli splendidi tableaux vivants che imitando i capolavori di ogni tempo stanno illuminando le bacheche social di mezzo mondo.
Un nuovo ruolo per le istituzioni culturali
Il potenziamento dei servizi e contenuti digitali esibito in questi giorni è inedito quanto necessario. A volte un po’ confuso, spesso realizzato con coraggio, bassi budget e idee in continua messa a punto. Avviene su canali e strumenti finora poco frequentati. Porta a sperimentare un nuovo ruolo per le istituzioni culturali che nello storytelling digitale più efficace abdicano al ruolo di protagonisti per cederlo ai propri follower, che sempre più spesso diventano generatori di contenuti e veri partner.
Si tratta di un’occasione unica per costruire relazioni nuove e capire con l’utenza quali siano le necessità da soddisfare dopo la pandemia. Perché il pubblico avrà occhi nuovi e domande urgenti, che prendono corpo in queste settimane, anche nel dialogo digitale.
Questa iperattività in rete è effetto della perdita del rapporto fisico con l’utenza, uno shock inatteso che fa temere una clamorosa perdita di ruolo e visibilità in un momento in cui non era mai stata così alta l’attenzione politica e pubblica al numero di visitatori, di biglietti venduti, di servizi fruiti.
A stento – lentamente e senza crederci troppo – le istituzioni culturali stavano mettendo a fuoco migliori indicatori che allargassero l’attenzione ad altre tipologie di impatto, anche più significative, che riguardassero la trasformazione delle persone, la propria funzione educativa, i diritti dei visitatori, l’indotto sui territori e le città.
Il digitale nella pianificazione strategica
Tuttavia finora solo alcune si erano cimentate col digitale come strumento strategico di programmazione e relazione. La maggioranza lo ha usato in maniera accessoria e unidirezionale, con la diffidenza della volpe verso l’uva.
Sorvolando sui tronfi pronunciamenti in materia, l’approccio diffuso al digitale lo poneva ai margini dei piani strategici: lo afferiva un po’ alla comunicazione e un po’ agli uffici stampa, entrava in qualche esposizione con iniziative sporadiche sconnesse dalla pianificazione strategica.
Il livello al quale è stato meno compreso era ci certo quello manageriale, in difficoltà a cogliere la potenza strumento digitale e del valore prodotto dal possesso del dato. Perché l’infrastruttura di valorizzazione digitale non è stata quasi mai funzionale alla raccolta e all’interpretazione dei dati sui comportamenti dell’utenza per definire le strategie. Ciò ha impedito di concepirlo come parte del core business, strumento di produzione, di marketing e monitoraggio per adempiere la propria missione istituzionale.
Di conseguenza la strategia digitale è stata distratta, priva di chiare assegnazioni di ruoli, tempo e risorse economiche allo scopo; tutte scelte necessarie per prototipare, testare e sviluppare soluzioni efficaci.
È sfuggito a molti come la raccolta, la lettura dei dati e le correlazioni tra gli stessi consenta di:
- Conoscere meglio il pubblico e sviluppare proposte, migliorare l’esposizione, il programma d’attività come l’offerta commerciale, nonché raccogliere feedback sui servizi erogati;
- Migliorare i servizi digitali per affinare esperienze di visita, con la fidelizzazione del visitatore, il suo coinvolgimento nella generazione di contenuto e la sua trasformazione in ambasciatore;
- Orientare la ricerca e sviluppo per dare elementi nuovi agli indirizzi strategici e agli interventi dell’istituzione culturale ;
- Ridefinire i flussi del lavoro dell’istituzione, per una distribuzione più efficace delle informazioni e per poter prendere decisioni più velocemente, e aver maggiore capacità di delega;
Molto quello che si vede oggi è la riproposizione online di quello che si ha: foto, video, parti del catalogo. L’efficacia è bassa, come la soglia di attenzione generata, perché la creazione di valore e di reputazione per l’istituzione si realizza se il pubblico coinvolto ha un ruolo attivo. Per riuscirci occorre rinunciare al proprio egocentrismo per sorreggere con i propri contenuti il protagonismo altrui, destinando ai contatti digitali ascolto e cura.
Per competere online col corso di yoga o la serie on demand, con un quadro di Morandi o una scultura del Canova occorre essere utili, porre domande e suggerire risposte, offrire tempo di qualità, contaminarsi, divertire, affrontare la concorrenza con consapevolezza e umiltà. Non si può improvvisare, e se si è costretti si deve almeno imparare.
Il valore delle competenze
Ora, in tempo di quarantena, il costo di questo fiorire di proposte digitali è in larga parte non rilevabile (né rilevato). Non è frutto di un vero piano ma è sviluppato da professionisti altrimenti inattivi che non godono di ammortizzatori sociali, e da operatori di norma impegnati in altre attività che non possono svolgere. Domani gli andranno assegnati un valore e un budget, trovato uno spazio in organizzazione, inquadrati gli obiettivi in una strategia.
Dall’occupare un tempo liberato si dovrà passare al più presto al riconoscere il valore delle competenze delle figure che stanno animando i settori Turistico e Culturale a porte e luoghi chiusi. Si tratta di creatori di contenuti, community manager, esperti di SEO e di comportamenti dell’utenza, data analyst, esperti di e-commerce in prodotti e servizi, organizzatori di crowdfunding e tanti altri ormai imprescindibili negli organici di un Consorzio di Comuni, di una città Metropolitana, dei musei maggiori e di reti tra musei minori, di Agenzie di sviluppo locale e di qualsiasi ‘attrattore culturale’ che abbia l’ambizione di produrre senso in grado di attrarre davvero qualcuno.