L’accelerazione dell’emergenza pandemica, tra incertezze economiche e tensioni sociali, ha accentuato le derive autoritative di regimi dispositivi, spostando gli equilibri internazionali a favore della tirannia. È quanto rileva il report “Freedom House 2021”.
Il digitale spesso svolte un ruolo negativo in questo declino, abilitando sistemi di sorveglianza massima o autorizzando leggi censorie della stampa con la scusa delle fake news social. Di converso, è in aumento la pratica di censurare la libertà di espressione sui social e colpire i relativi attivisti.
In un momento storico in cui la democrazia si trova in una precaria condizione di stabilità, profondamente minata da una serie di fattori critici che, in maniera concentrica dall’interno e dall’esterno del sistema, stanno mettendo a dura prova la tenuta degli standard esistenti, lo scenario che emerge a livello globale è, insomma, preoccupante.
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Tenuta della democrazia: uno scenario preoccupante
La tendenza dei leader politici è quella di ricorrere più frequentemente all’uso della forza per disinnescare gli oppositori, a volte anche in nome della salute pubblica, con gravi ripercussioni sul legittimo esercizio del dissenso che espone gli attivisti, sempre più privi di un effettivo sostegno internazionale, a subire pesanti condanne in carcere, torture o persino, nei casi più gravi, omicidi.
Il Report, che analizza una serie di specifici indicatori di monitoraggio (il processo elettorale, il pluralismo politico e la partecipazione, il funzionamento del governo, la libertà di espressione e di credo, i diritti associativi e organizzativi, lo stato di diritto, l’autonomia personale e i diritti individuali), pur intravedendo una prospettiva di “resilienza della democrazia” in grado di superare l’attuale momento di crisi, descrive allo stato attuale uno scenario davvero preoccupante.
I numeri sono impietosi: la percentuale di Paesi non liberi è ora la più alta degli ultimi 15 anni, con punteggi complessivi in media diminuiti di circa il 15%, mentre al contempo, il numero di Paesi in tutto il mondo che hanno ottenuto un miglioramento netto nell’ultimo anno è stato il più basso dal 2005.
Un vero e proprio declino della libertà globale che ormai registra un inesorabile trend negativo da anni, cronicizzando il pessimo stato di salute della democrazia, come mera procedura formale ormai esautorata dallo “spirito” idealistico-valoriale che ne aveva legittimato l’evoluzione come sistema in grado di assicurare la pacifica convivenza della collettività in un perfetto equilibrio di architettura istituzionale di efficace rappresentatività istituzionale, dando al contempo voce ai gruppi di minoranza portatori di idee eterodosse parimenti veicolate nel circuito libero del pluralismo informativo.
In deterioramento anche le democrazie “storiche”
Non solo le dittature più crudeli si consolidano, ma in un vortice di preoccupante declino democratico nel panorama globale, si assiste a un progressivo deterioramento delle storiche democrazie nazionali ove si registrano concentrazioni di potere a presidio di interessi particolari che erodono il funzionamento dell’ordinario circuito politico-istituzionale esistente approfittando del periodo caotico di incertezza e confusione, spesso mettendo contro gruppi sociali e individui in un esasperato clima di violenza divisiva.
Se non sorprende più, almeno secondo i dati dello studio nelle sue svariate versioni annuali, la crescente escalation del regime cinese, ove il governo di Pechino ha intensificato la sua campagna globale di disinformazione e censura anche “per contrastare le conseguenze del suo insabbiamento dell’iniziale epidemia di coronavirus, che ha gravemente ostacolato una rapida risposta globale nei primi giorni della pandemia”, limitare però il problema soltanto all’area asiatica è un errore perché non consente di focalizzare nella sua esatta dimensione l’emergere di un pericolo inedito su scala globale che probabilmente l’umanità non aveva mai affrontato con questo tipo di convergenza politicamente interconnessa che favorisce l’espansione autoritaria di metodi e strumenti incompatibili con il mantenimento di uno Stato di diritto articolato in un regime maturo di democrazia efficace.
Senza dubbio preoccupa il peggioramento della situazione rilevato in Giordania, Kirghizistan, Mali, Tahilandia e Zimbabwe, come Paesi passati da parzialmente liberi a non liberi a causa di nuove dure restrizioni e persecuzioni in un clima di violenze e intimidazioni politiche significative, talvolta culminate in veri e propri colpi di stato militari. Emergono altre ulteriori criticità praticamente ovunque localizzate.
I peggioramenti legati alla pandemia
La pandemia, ad esempio, sembra aver dato il definitivo colpo di grazia alle libertà democratiche, a causa di interventi di carattere straordinario che, esasperando le debolezze del sistema politico, hanno determinato sospensioni e rinvii di elezioni, deroghe allo Stato di diritto e restrizioni sproporzionate ai diritti fondamentali degli individui, inaugurando la nuova era della legislazione “eccezionale” in stato di emergenza che potrebbe rappresentare a lungo il regime ordinario di una perpetua regolamentazione “sine die”.
Emblematiche al riguardo, le parole del report, secondo cui “con la diffusione del COVID-19 nel corso dell’anno, i governi di tutto lo spettro democratico hanno ripetutamente fatto ricorso a un’eccessiva sorveglianza, anche con sistemi digitali e di intelligenza artificiale, restrizioni discriminatorie alle libertà come movimento e riunione e all’applicazione arbitraria o violenta di tali restrizioni da parte della polizia e di attori non statali. Ondate di informazioni false e fuorvianti, generate deliberatamente dai leader politici in alcuni casi, hanno invaso i sistemi di comunicazione di molti paesi, oscurando dati affidabili e mettendo a repentaglio la vita. Mentre la maggior parte dei paesi con istituzioni democratiche più forti garantiva che qualsiasi restrizione alla libertà fosse necessaria e proporzionata alla minaccia rappresentata dal virus, un certo numero di loro coetanei perseguiva strategie goffe o male informate […] per reprimere l’opposizione e fortificare il loro potere”.
Vero è che in luoghi come l’Africa Settentrionale e l’Asia stanno proliferando conflitti di vecchia data e nuove rivolte militari in grado di stravolgere i relativi equilibri geopolitici sino a colpire, ad esempio, anche l’India che è passata dallo status di libera a parzialmente libera democrazia, ma non se la passano meglio gli altri continenti, a partire dalla nota perdita di credibilità della democrazia per eccellenza incarnata dagli Stati Uniti d’America che, in controtendenza rispetto al prestigio emulativo da sempre esercitato, ha inaugurato, quasi come nefasto presagio anticipatore di questo “annus horribilis”, il 2021 con la rivolta popolare culminata nell’assalto del Campidoglio per protestare contro l’esito delle elezioni presidenziali, dando avvio a una stagione di caos sempre più dilagante che si è ulteriormente manifestato nella gestione confusionaria della comunicazione durante l’emergenza sanitaria.
L’attuale vulnerabilità della democrazia statunitense incide sull’indebolimento della libertà globale, perché sembra venire meno il simbolo di un modello che, storicamente, rappresentava un punto di riferimento strutturale da importare come sistema di successo perfettamente funzionamento anche per giustificare la leadership internazionale degli USA oggi meno solida e non più universalmente riconosciuta.
In Europa, sebbene si registrino i migliori risultati monitorati dallo studio, le “democrazie appassiscono sotto la pandemia” in un contesto di confusione generale che riflette il trend di crisi globale esposto a costanti attacchi di matrice populista e antisistema: “i leader hanno dovuto affrontare scelte difficili, rinviando le elezioni e bloccando le città, e le loro decisioni sono state attuate in modo imperfetto […] Poiché non sono riusciti a contenere il virus, molti governi, compresi quelli del Regno Unito e della Spagna, hanno cercato di limitare il controllo pubblico sui loro processi decisionali”.
L’Italia
Su 195 monitorati, l’Italia ottiene il punteggio di 90/100 (rispetto al precedente punteggio di 89/100 dello scorso anno), con un parametro di valutazione pari a 36/40 in tema di diritti politici e di 54/60 in tema di libertà civili, pur sottolineando l’esistenza di “preoccupazioni per i diritti dei migranti e per le disuguaglianze” al pari dei “problemi endemici della corruzione e della criminalità organizzata” come ostacoli al rafforzamento dello stato di diritto e della crescita economica.
Secondo lo studio, infatti, sebbene l’opinione pubblica sia “generalmente libera di fare scelte politiche senza indebite interferenze, tuttavia, i gruppi della criminalità organizzata conservano una certa capacità di intimidire e influenzare i politici, soprattutto a livello locale, e di creare reti di corruzione aiutate dagli amministratori pubblici. Nel 2020, il governo ha usato la sua autorità per sciogliere 11 consigli comunali per legami con gruppi di tipo mafioso locali, lasciando un totale di 39 governi locali in amministrazione straordinaria alla fine dell’anno”.
Rispetto alla libertà di Internet, l’Italia ottiene un punteggio pari a 76/100, articolato in 21/25 (ostacoli all’accesso), 30/35 (limiti sui contenuti) e 25/40 (violazioni dei diritti dell’utente). “Il paese continua a rimanere indietro rispetto ad altri Stati membri dell’Unione Europea […] sebbene siano stati fatti vari tentativi per colmare il divario digitale”.
Un’ulteriore criticità viene individuata nella diffusione della disinformazione, poiché, secondo il Report in Italia, sono stati frequentemente “manipolati contenuti online, compreso il materiale relativo alla pandemia di COVID-19” anche con interferenze di matrice politica.
Un brutto momento per internet
Quanto a internet, il rapporto segnala casi a lungo riportati da Agendadigitale.eu.
“Quest’anno, gli utenti hanno affrontato attacchi fisici per le loro attività online in 41 paesi”, si legge nel rapporto, un “record” da quando il monitoraggio è iniziato 11 anni fa.
Uno studente del Bangladesh è stato ricoverato in ospedale dopo un pestaggio per presunte “attività antigovernative” sui social media, e un giornalista messicano è stato assassinato dopo aver pubblicato un video su Facebook che accusava una banda di omicidio.
Il rapporto ha anche scoperto che le persone sono state arrestate o condannate per le loro attività online in 56 dei 70 paesi coperti dal rapporto – un record dell’80%.
Tra questi, due influencer egiziani incarcerati a giugno per aver condiviso video TikTok che incoraggiavano le donne a perseguire una carriera sulle piattaforme dei social media.
Il Myanmar è stato oggetto di pesanti critiche nel rapporto dopo che i militari hanno preso il potere in un colpo di stato a febbraio e hanno chiuso internet, bloccato i social media e costretto le aziende tecnologiche a consegnare i dati personali.
Gli shutdown di internet sono stati usati in modo simile per tagliare le comunicazioni prima delle elezioni dell’Uganda a gennaio e dopo una contestata elezione in Bielorussia nell’agosto dello scorso anno.
In totale, almeno 20 paesi hanno bloccato l’accesso a internet delle persone tra giugno 2020 e maggio 2021, il periodo coperto dal sondaggio. In tutto il mondo, i ricercatori hanno accusato i governi di usare la regolamentazione delle aziende tecnologiche per scopi repressivi.
“Nella battaglia ad alta posta in gioco tra gli stati e le aziende tecnologiche, i diritti degli utenti di internet sono diventati le principali vittime”, hanno detto i ricercatori.
Numerosi governi stanno adottando leggi che frenano il vasto potere dei giganti tecnologici come Google, Apple e Facebook – alcuni dei quali sono un tentativo giustificato di prevenire comportamenti monopolistici, ha detto il rapporto. Non così in India e Turchia che hanno approvato leggi che ordinano alle piattaforme di social media di rimuovere contenuti ritenuti offensivi o che minano l’ordine pubblico, spesso sotto termini “vagamente definiti”, si legge nel rapporto. Leggi che quindi diventano strumenti per la censura.
Leggi che, ad esempio in Russia, costringono i giganti della tecnologia a memorizzare i dati locali su server locali, presumibilmente in nome della “sovranità”, è anche in aumento – ed è aperta ad abusi da parte dei governi autoritari, il rapporto ha avvertito.
Queste leggi sono spesso imitate in altri Paesi, la cui lista è quindi destinata a crescere.
Secondo un progetto di legge in Vietnam, per esempio, le autorità possono accedere ai dati personali delle persone sotto “pretesti vagamente definiti relativi alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico”.
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