il rapporto EIP

La disinformazione corre social e per fermarla serve una soluzione globale

Durante le ultime elezioni Usa la disinformazione ha pervaso tutte le piattaforme social, dimostrando come le vulnerabilità dell’attuale sistema di informazione richiedano un’azione collettiva urgente. I suggerimenti dell’Election Integrity Partnership per creare un clima più “sano”

Pubblicato il 19 Mar 2021

Federica Maria Rita Livelli

Business Continuity & Risk Management Consultant, BCI Cyber Resilience Group, Clusit, ENIA

voto

L’Election Integrity Partnership (EIP) – una coalizione di ricercatori di informazioni online costituita da Stanford Internet Observatory, Center for an Informed Public dell’Università di Washington, Graphika e il Digital Forensic Research Lab del Consiglio Atlantico – ha pubblicato lo scorso 3 marzo 2021 un’analisi completa delle elezioni presidenziali americane evidenziando come i social media siano responsabili di aver diffuso e rafforzato le false narrazioni che hanno portato a considerare si trattasse di una “elezione rubata” conclusasi – come ben noto – lo scorso 6 gennaio con l’assalto al Campidoglio dei fan di Trump.

L’analisi fornisce, inoltre, una serie di raccomandazioni per contribuire a creare un clima più “sano” di informazioni (sia politiche che non) unitamente alle modalità da adottare per evitare che tali episodi si ripetano.

Vediamo in dettaglio i punti più salienti dell’analisi.

Il Report di Election Integrity Partnership (EIP): su cosa si concentra l’analisi

L’analisi si è concentrata sulla disinformazione relativa al voto e sulla delegittimazione dei risultati delle elezioni americane 2020 prendendo in analisi i post su Facebook unitamente a quelli di altre piattaforme – Twitter, YouTube, Instagram, Pinterest, Nextdoor, TikTok, Snapchat, Parler, Gab, Discord, WhatsApp, Telegram e Reddit – al fine di:

  • Identificare la cattiva informazione e la disinformazione prima che diventi virale e come gestirne tale “viralità”.
  • Identificare e condividere messaggi contrastanti.
  • Aumentare la trasparenza nelle dinamiche che modellano lo spazio delle informazioni durante le elezioni e le conseguenze che ne derivano.
  • Documentare gli attori specifici della disinformazione, i percorsi di trasmissione, le evoluzioni narrative e le infrastrutture informatiche che hanno permesso a queste narrazioni di propagarsi.

Inoltre, dall’analisi si evince che:

  • La diffusione narrativa era “multipiattaforma”, ovvero chi diffondeva le informazioni fuorvianti sfruttava le caratteristiche specifiche di ciascuna piattaforma in modo tale da raggiungere la massima “amplificazione” della notizia.
  • La diffusione virulenta della disinformazione relativa alle elezioni proveniva da fonti interne in particolare dal presidente Trump, dai suoi due figli maggiori e da un potente ecosistema di editori e influencer di destra, nella speranza di ribaltare il risultato di un’elezione che, nonostante tutti messaggi virali al contrario, non ha subito frodi diffuse.
  • Molte piattaforme, pur sviluppando e implementando politiche relative alla moderazione sui contenuti relativi alle elezioni, ad esempio sospendendo o declassando i contenuti, sono risultate incoerenti e poco chiare nell’attuare tali azioni. Per quanto concerne le piattaforme minori e maggiormente “schierate”, si è assistito ad una minore o quasi nulla azione di moderazione. Inoltre, alcuni video, contenenti fake news sulle elezioni, hanno attirato milioni di visualizzazioni prima di essere intercettati ed etichettati con “fuorvianti” (soprattutto YouTube ha avuto problemi in tal senso).

Di fatto i ricercatori di EIP hanno dimostrato come, durante le elezioni americane del 2020, vari “attori” – sia stranieri che nazionali – hanno utilizzato come arma potente le narrative virali false e fuorvianti nel tentativo sia di minare la fiducia nel sistema elettorale statunitense sia di erodere la fiducia degli americani nella democrazia.

Pertanto, la disinformazione è risultata pervasiva su tutte le piattaforme dei vari social media durante tutta la campagna, le elezioni e gli esiti, dimostrando come le vulnerabilità dell’attuale sistema di informazione richiedano un’azione collettiva urgente.

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Le raccomandazioni suggerite dall’EIP

Interessante esaminare le raccomandazioni per tipologia di destinatario suggerite dall’analisi di EIP e, precisamente:

Al Governo federale

  • Stabilire autorità e ruoli chiari per identificare e contrastare la disinformazione sia in generale sia quella relativa alle elezioni, facendo riferimento ad un’autorità di federal interagency in grado di garantire elezioni eque e trasparenti, quale obiettivo prioritario atto a garantire la sicurezza nazionale.
  • Creare norme chiare per contrastare la divulgazione di disinformazione sia in generale sia per quanto riguarda quella scaturita da fonti straniere e nazionali, per facilitare elezioni libere ed eque.

Al Congresso

  • Approvare le proposte bipartisan esistenti per aumentare gli stanziamenti destinati alla sicurezza delle elezioni a livello sia federale sia statale.
  • Codificare le raccomandazioni bipartisan della commissione speciale dell’intelligence del Senato relative alla de-politicizzazione della sicurezza delle elezioni e al comportamento di funzionari pubblici e candidati all’ufficio federale.

Ai funzionari statali e locali

  • Stabilire canali di comunicazione affidabili con gli elettori, considerando anche la creazione di un sito Web governativo e l’uso di media tradizionali e social media.
  • Assicurarsi che tutti i voti espressi siano su documenti controllabili (e in questo senso ha giovato che le elezioni si siano avvalse di voti cartacei) e che, dopo ogni elezione, vengano condotti audit post-elettorali efficienti, efficaci e trasparenti.

Alle piattaforme

  • Garantire informazioni proattive sulla disinformazione elettorale, facendo in modo che le piattaforme siano in grado di fornire spiegazioni sul proliferare della disinformazione o fornire fact-checks o contesto di riferimento dove si amplifica tale disinformazione.
  • Investire su modalità di ricerca atte a individuare le forme di disinformazione considerando interventi di politica interna (come la classificazione della disinformazione) e azioni di condivisione dei risultati con ricercatori esterni, società civile e pubblico.
  • Aumentare la quantità e la granularità dei dati relativi ad azioni di intervento, “eliminazione” e classificazione in modo tale da consentire un’analisi indipendente dell’efficacia delle politiche di moderazione.
  • Imporre sanzioni chiare ed efficaci per gli account che violano ripetutamente le norme della piattaforma.
  • Dare priorità agli sforzi dei funzionari elettorali, all’interno della loro giurisdizione, in termini di iniziative atte a educare gli elettori a come rispondere alla disinformazione. Ciò potrebbe includere la promozione di contenuti da parte di funzionari elettorali attraverso training ad hoc o crediti pubblicitari, specialmente in vista dell’Election Day.

Piattaforme tech, arbitri di diritti fondamentali: tutti i rischi

Come sostenuto da Christopher Krebs, ex direttore della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA) del Department of Homeland Security – durante la presentazione dell’analisi – è giunto il momento di “definire i ruoli e le responsabilità nel governo, nell’industria, nella società civile” stabilendo quali siano le leve a disposizione, individuando le lacune e le azioni atte a porvi rimedio.

Il controllo della disinformazione deve essere, quindi, un servizio garantito dal governo: il problema della disinformazione è così grande che si ritiene che, nel giro di qualche anno, anche le grandi aziende dovranno istituire una figura addetta al rumor control per contrastare le narrative digitali con potenziale effetto distruttivo, sino a considerare l’istituzione di una figura di riferimento con poteri tali da poter intervenire nelle varie sezioni governative e creare una risposta interministeriale e coesa.

Rischio di “Labirintite politica”

Le elezioni statunitensi del 2020 hanno dimostrato che gli attori – stranieri e nazionali – rimangono impegnati ad armare narrazioni virali false e fuorvianti per minare la fiducia degli americani sia nel sistema elettorale sia nel concetto di democrazia.

Il mondo accademico, le piattaforme, la società civile e tutti i livelli di governo si devono sempre più impegnare nel perseguire la verità al fine di garantire una società libera e aperta. Pertanto, tutte le parti interessate dovranno concentrarsi maggiormente sulla previsione e il monitoraggio delle false narrazioni, rilevando la disinformazione man mano che si verifica e contrastarla ogni volta che è appropriato. C’è chi definisce tutto ciò come una sorta di “labirintite politica” in cui i cittadini, privi di qualsiasi orientamento, non sono più in grado di formarsi un’opinione e scegliere le proprie fonti; ne consegue che la politica rischia di diventare priva di significato per i cittadini e che la democrazia venga surclassata dalla demagogia.

La disinformazione scaturita dai social media ci pone dinanzi al problematico nesso tra disinformazione e democrazia, alla necessità di comprendere la concettualizzazione di notizie false e disinformazione, nonché la loro individuazione e analisi.

Barack Obama: le fake news sono una minacca alla democrazia (Fonte video)

Conclusioni

Oggi più che mai risulta urgente analizzare le dimensioni ideologiche, economiche, tecnologiche e tracciare le reti transnazionali coinvolte nella produzione, diffusione e consumo di fake news, senza dimenticare che è altresì importante essere in grado di valutare e misurare l’impatto della disinformazione sull’opinione pubblica, sul comportamento elettorale e sulla politica nazionale ed estera. Ovvero, si tratta di valutare l’effettivo impatto della disinformazione sulla vita politica degli stati e delle organizzazioni internazionali.

Come si legge nel libro dal titolo “Democracy and Fake news. Information Manipulation and Post-Truth Politics” – una raccolta di saggi a cura di Serena Giusta e Elisa Piras della Scuola Superiore Università di Sant’Anna di Pisa – è necessario “analizzare e interpretare come l’uso della tecnologia e dei social media, parallelamente all’emergere di nuove narrative politiche, abbia progressivamente cambiato il panorama dell’informazione, minando alcuni pilastri della democrazia”.

Come affermano le curatrici del saggio “…gran parte del dibattito oggi verte sulla regolamentazione dei social…Si infrange la libertà di espressione individuale cercando di normarli? È giusto accettare l’auto-regolamentazione di aziende come Facebook e Twitter, che hanno natura privata e non politica-istituzionale? Come è possibile stabilire regole certe e mettere in atto un sistema di sanzioni?

La risposta delle due ricercatrici ci trova pienamente concordi, ovvero: “I rischi legati ai nuovi media hanno natura transnazionale, per questo occorrerebbe una governance globale”.

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