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La guerra sui social e Telegram: come la Russia li usa e l’Occidente cerca di difendersi

All’interno dei conflitti armati, il cyberspazio e le piattaforme social stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante per diffondere informazioni. I social media sono utilizzati come strumento di propaganda per molteplici obiettivi. Vediamo come la Russia sta usando Telegram e altri social per spingere all’arruolamento

Pubblicato il 04 Ott 2022

Davide Agnello

Analyst, Hermes Bay

Martina Rossi

Hermes Bay

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Anche Telegram svolge un ruolo della mobilitazione parziale decisa dal Cremlino il 21 settembre.

Per far fronte al dissenso interno, il Cremlino ha infatti lanciato piattaforma social Telegram una campagna di propaganda volta a convincere le persone contrarie al reclutamento. Per esempio, un canale Telegram considerato vicino al Governo si è attivato tempestivamente per rispondere alle narrazioni contrarie alle politiche statali che sono state utilizzate dal Ministero della Difesa come prova del sostegno pubblico alla decisione di Putin. Altri canali hanno invece diffuso immagini e video che mostrano uomini che si arruolano in maniera spontanea.

Telegram: How the app is being used in the war between Ukraine and Russia | ITV News

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Social in Russia, solo Telegram resiste

Telegram è una delle poche piattaforme ancora disponibili in Russia a seguito delle restrizioni messe in atto dal Governo. Nel 2018, le autorità avevano cercato di bandirla come parte di una più ampia strategia per accrescere il controllo statale su Internet. Tuttavia, questo tentativo sarebbe stato reso vano anche dall’abilità degli utenti nell’utilizzo delle VPN. Successivamente, quale misura di contrasto, il Cremlino ha deciso di creare dei propri canali con lo scopo di diffondere la sua narrazione all’interno delle piattaforme social e nel cyberspazio in generale. Janis Sarts, Direttore del Centro di Eccellenza per le Comunicazioni Strategiche della NATO, ha dichiarato, in un’intervista al Washington Examiner, che il servizio di messaggistica sarebbe stato compromesso dalla Russia ormai da tempo. Le sue regole meno stringenti rispetto ad altre piattaforme potrebbero essere dovute al fatto che Telegram sia diventato il “punto focale della disinformazione russa”.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, circa l’80% dei principali canali Telegram russi si è schierato a favore del Cremlino. Alcuni di essi sono riconducibili a personalità specifiche come quello del giornalista televisivo Vladimir Solovyov, del Presidente della Duma Vyacheslav Volodin, della Portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova o del Presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Dmitry Medvedev; il canale più popolare è quello del Presidente della Cecenia Ramzan Kadyrov che conta più di 2 milioni di utenti che seguono la sua pagina e divulga notizie quotidiane sull’andamento delle operazioni militari.

Allo stesso tempo, Telegram è diventato un forum per i gruppi ostili al governo Russo e a Putin. Pochi minuti dopo l’annuncio della mobilitazione, il collettivo Rospartizan ha invitato i propri sostenitori ad attaccare gli uffici di leva e il Ministero della Difesa. Il gruppo, che ha più di 28.000 iscritti, ha altresì postato foto e video che mostrano azioni contro la coscrizione militare.

Anche TikTok diventa veicolo di propaganda

Alcuni canali offrono invece opportunità di azione e informazioni meno sovversive come la fuga dal Paese.

Altro social network che ha iniziato a diffondersi durante la guerra in Ucraina è TikTok, applicazione cinese che ha raggiunto popolarità negli ultimi anni attraverso la pubblicazione di video. L’analisi fatta dal CIT (Conflict Intelligence Team) sui filmati pubblicati da utenti sia russi che ucraini ha permesso di documentare l’andamento delle ostilità. TikTok ha inoltre iniziato ad acquisire credibilità per poter raccogliere le informazioni necessarie ad anticipare e conoscere le mosse del Cremlino. Tuttavia, non mancano casi di divulgazione di contenuti che possono generare disinformazione.

Guerra, TikTok è diventata fonte d’informazione primaria: motivi e conseguenze

Secondo quanto dichiarato da una ricercatrice di Tracking Exposed, “la politica sui contenuti della piattaforma si è evoluta in una traiettoria che è stata sfruttata dalla propaganda del Cremlino. In un solo mese, TikTok è passato dall’essere considerato una seria minaccia al sostegno nazionale verso la guerra al diventare un altro possibile canale per la propaganda di Stato”. Già nei primi giorni del divieto, all’interno della piattaforma, circolavano video a favore del Cremlino pubblicati da tiktoker. Stando a quanto pubblicato da Vice News, si trattava di una campagna di propaganda coordinata dall’amministratore anonimo di un gruppo Telegram. Per aggirare il blocco era possibile accedendo a TikTok dal browser con una Vpn o un Ip russo, spostarsi “fuori dalla Russia” con un’altra Vpn, caricare un file video come bozza e poi pubblicarlo dopo aver riportato la posizione in Russia. Ciò avrebbe portato alla creazione di una “bolla social” all’interno della quale i contenuti a favore della guerra sono tornati a crescere diventando spesso virali.

Sulla piattaforma Instagram, ad esempio, alcuni influencer filorussi hanno iniziato a diffondere l’hashtag #DontPanic, come a voler comunicare che nella mobilitazione indetta da Putin non vi è nulla di cui preoccuparsi, ma che al contrario si tratterebbe di una minima parte della popolazione ad essere chiamata alle armi. Secondo quanto reso noto da media indipendenti russi, tuttavia, si tratterebbe di circa 1,2 milioni di uomini.

La censura russa incombe sull’informazione

A seguito dell’annuncio del Presidente russo, il media indipendente russo Ovd-Info ha iniziato a pubblicare, sui suoi canali social, video relativi alle reazioni della popolazione. Il rischio che il Cremlino blocchi tale diffusione di informazioni è concreto, dal momento che già lo scorso febbraio la Duma ha approvato un disegno di legge volto ad innalzare fino a 15 anni di carcere la pena per chi pubblica quelle che il Governo russo considera fake news.

La tendenza delle autorità russe a censurare dati e notizie inerenti alla guerra in Ucraina, al fine di veicolarle e indirizzarle a proprio favore, è presente già da tempo; all’inizio di marzo, il Servizio Federale russo per la Supervisione delle Comunicazioni, della Tecnologia dell’informazione e dei Mass Media (Roskomnadzor) ha provveduto al blocco di Facebook, Twitter e poco dopo anche di Instagram. Il 21 marzo, un tribunale russo ha inoltre dichiarato la società Meta illegale, in quanto colpevole di “attività estremiste”.

La risposta dei social alle fake news del Cremlino

I blocchi e le limitazioni applicate da Mosca costituirebbero, in parte, una risposta alle misure introdotte dalle principali piattaforme social a fronte delle numerose campagne di disinformazione e di fake news promosse dai russi. Ne costituisce un esempio YouTube, il quale già nel mese di marzo, aveva deciso di bloccare l’accesso generalizzato ai canali finanziati dal Cremlino in forza di una politica che vieta i contenuti che negano, minimizzano o banalizzano atti violenti.

Anche Meta ha adottato svariate misure per tentare di impedire la diffusione di fake news o qualsiasi altro genere di propaganda in favore del Governo russo nell’ambito del conflitto in Ucraina.

Lo scorso 27 settembre, l’azienda statunitense ha annunciato di aver provveduto alla chiusura di due reti di account coinvolti in operazioni di diffusione di informazioni a favore della Russia in diversi Paesi, tra i quali è presente anche l’Italia. La società ha affermato che si sarebbe trattato della più grande e complessa campagna di fake news riconducibile a Mosca mai identificata dall’inizio del conflitto.

Secondo quanto emerso dal rapporto, l’operazione sarebbe costata agli autori più di 100.000 dollari in annunci pubblicati su Facebook e Instagram e avrebbe coinvolto più di 60 siti web, oltre ad account e canali presenti sui vari social network.

Un evento simile si era verificato anche un paio di mesi prima. In data 6 agosto, infatti, la società Meta aveva annunciato di aver rimosso più di mille account russi a sostegno della guerra in Ucraina, sia su Instagram che su Facebook. I profili sarebbero stati gestiti da una piattaforma di troll che bersagliava politici, giornalisti, attori, celebrità e brand commerciali di tutto il mondo.

Conclusioni

Ciò evidenzia come, all’interno dei conflitti armati, il cyberspazio e le piattaforme social stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante per diffondere informazioni. I social media sono utilizzati come strumento di guerra dell’informazione: un’arma che può avere effetti su obiettivi nel mondo fisico. Le piattaforme di social media, a basso costo e facilmente accessibili, agiscono come strumenti con i quali incrementare le capacità di rete e di organizzazione di un ente pubblico o privato.

L’attuale conflitto in corso tra Ucraina e Russia illustra il ruolo dei social media nel raggiungimento di molteplici obiettivi. Inoltre, entrambe le parti hanno cercato di esercitare un controllo sull’ambiente informativo. In Ucraina è stata recentemente introdotta una legge che avrebbe criminalizzato le critiche pubbliche al governo, mentre un altro disegno di legge proponeva emendamenti alla legge sull’informazione che avrebbero imposto norme sui blogger, stabilendo anche regole e doveri. D’altro canto, una legge russa approvata nell’agosto 2012 obbliga i blogger con più di 3.000 follower a registrare la loro attività presso il governo.

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