L’orribile guerra in atto vede un Paese aggredito (l’Ucraina) e un Paese aggressore (la Russia). Qualsiasi discussione sul conflitto, sulle responsabilità e sulle speranze di pace deve partire da tale dato di fatto e di realtà. Questa è anche la premessa delle riflessioni su Assange, la nostra democrazia e la libertà di informazione in tempi di guerra contenute nelle righe che seguono.
Autocrazie contro democrazie
In alcune narrazioni correnti si presenta la guerra come uno scontro tra democrazie (l’Ucraina e i Paesi occidentali che la supportano) e autocrazie (la Russia e i suoi alleati). Se si condividono questa narrazione e i suoi presupposti concettuali, allora occorre ricordare che un pilastro delle democrazie moderne è costituito, storicamente, dalla libertà di stampa (e di informazione).
La morte della verità: i danni della guerra su informazione e democrazia
Le autocrazie invece comprimono o azzerano la libertà di espressione del pensiero e di accesso alle informazioni. E lo fanno, quando imbracciano le armi, anche per nascondere crimini di guerra. È di pochi giorni fa la notizia della chiusura da parte delle autorità russe del periodico indipendente Novaja Gazeta diretto dal premio Nobel per la Pace Dmitrij Muratov. Sulla Novaja Gazeta sono apparse, tra le altre, le inchieste di Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006. Com’è noto, la giornalista russa si era impegnata a descrivere e denunciare (anche al mondo occidentale) gli abomini commessi durante la guerra in Cecenia.
Julian Assange e la libertà di informazione
Ma le nostre democrazie occidentali difendono ancora il principio costituzionale della libertà di informazione come proprio pilastro fondamentale? I motivi di preoccupazione rispetto a tale libertà sono molti e attengono al fatto (arcinoto) che lo scontro tra democrazia e autocrazia è anche interno agli stessi Paesi occidentali, pur non essendo immune da interferenze esterne.
Da questo punto di vista, la vicenda umana e giudiziaria di Julian Assange è esemplare. Assange è un informatico, giornalista e attivista australiano, fondatore nel 2006 di Wikileaks, un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro, che pubblica sul web informazioni classificate (coperte da segreto di Stato) provenienti da fonti anonime. Attraverso apposite tecnologie – prima fra tutte la crittografia – Wikileaks protegge sé stessa e le sue fonti.
La sua attività è divenuta di interesse globale quando nel 2010 ha iniziato a pubblicare informazioni riservate riguardanti le operazioni militari statunitensi in Iraq e Afghanistan. Il 5 aprile del 2010 Assange e i suoi collaboratori pubblicano un video del pentagono “Collateral Murder” (vedi sotto) nel quale si vede una scena risalente al luglio del 2007: un elicottero americano Apache mentre stermina civili inermi a Bagdad.
Il video divenne subito virale. Lo ricorda Stefania Maurizi, giornalista investigativa e collaboratrice di Assange, in un libro importante – “Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks” – che ripercorre la storia del giornalista australiano e della sua organizzazione.
La libertà di Assange è la nostra libertà
Sono passati 12 anni da quel 5 aprile. Giorno in cui uno dei crimini di guerra commesso da una democrazia occidentale divenne di dominio pubblico. In tutto questo tempo Assange è stato perseguitato e privato della propria libertà: prima rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e poi negli ultimi 3 anni recluso in una prigione inglese di massima sicurezza. Ora la sua estradizione verso gli USA sembra vicina, come vicina sembra la pena detentiva a vita che dovrà scontare in terra americana.
Collaboratori, familiari e legali di Assange non si sono ancora arresi. Proveranno in ogni modo a impedire la sua estradizione e a farlo tornare in libertà. Dovremmo tutti essere grati a queste persone e a Stefania Maurizi in particolare che si batte da anni per avere giustizia su uno dei casi giudiziari più importanti degli ultimi decenni. Perché la libertà (personale) di Assange è anche la nostra libertà (di informazione).
Conclusioni
Non possiamo dirci oppositori dell’autocrazia se non sappiamo (o non vogliamo) difendere il tratto più distintivo della nostra democrazia: la libertà di informazione.
“La democrazia muore nell’oscurità”. Così recita il motto di un noto quotidiano americano. Quelle parole oggi si riferiscono non solo al fumo delle bombe, ma anche alla coltre di segreti, menzogne e falsità che fanno velo sulle atrocità commesse dagli uomini dopo che quella stessa venefica polvere si è finalmente dissolta.