La ludonarrativa nei videogiochi è una nuova forma di narrativa interattiva che sfida i ruoli convenzionali di autore e lettore. A testimoniare l’impatto dirompente dell’interattività sulla narrazione è il ruolo prominente che sta assumendo anche in altre forme narrative, soprattutto nell’industria cinematografica. La ludonarrativa è dunque l’arte di raccontare storie mediante il gioco.
Nei videogiochi la narrazione della perdita ha un ruolo importante. Nei giochi, la perdita è tanto onnipresente quanto banale. Ma non esiste solo la perdita da game over, sinonimo di un fallimento a cui si può porre rimedio, ma anche la morte da trama.
Alcuni esempi di gameplay fanno luce su come il mezzo videoludico sia capace di sfruttare le sue risorse espressive per arrivare a rappresentazioni, ricche e impattanti, del senso di perdita.
Il potere delle metafore nella ludonarrativa nei videogiochi
Qualsiasi gioco, analogico o digitale, è inerentemente metaforico. Prima di tutto, l’atto del giocare, secondo il sociologo Caillois, è “un’occasione di puro spreco: perdita di tempo, energia, ingegno, abilità, e, spesso, denaro”.
Il gioco è, quindi, “puramente frivolo”, volontario ed improduttivo perché giocato con il solo intento di giocarlo, oltre che incerto, in quanto il risultato non può essere predeterminato. Inoltre, è ben separato dal mondo reale: occupa il proprio spazio ed il proprio tempo, ed è governato da regole che sospendono quelle della vita ordinaria.
Il terreno di gioco, delimitato materialmente come nel gioco della campana o idealmente come negli indovinelli, rappresenta un luogo consacrato dentro il quale si applicano le regole speciali del rituale che si sta svolgendo.
“L’arena, il tavolo da gioco, il cerchio magico, il tempio, il palcoscenico, lo schermo, il campo da tennis, la corte di giustizia, ecc., sono tutti in forma e funzione dei campi da gioco, tutti sono mondi temporanei all’interno del mondo ordinario, dedicati all’esecuzione di un atto a parte”.
Le regole hanno la doppia funzione di permettere il gioco ed ostacolarlo allo stesso tempo. I giocatori vi partecipano volontariamente accettando, rispettando, e adottando le limitazioni arbitrarie imposte dalle regole del gioco. Invece queste rendono più difficile per loro raggiungere l’obiettivo.
Senza l’obbligo di tirare un dado, niente impedirebbe al giocatore di
spostare la sua pedina sull’ultima casella del gioco dell’oca e vincere. Il gioco è, dunque, alternativo al mondo reale, ne è contenuto eppure separato. Come in una metafora sostituiamo un termine con un altro che ne evochi l’immagine, così il gioco rispecchia la realtà, semplificandola e caricandola di espressività.
Per questo, il gioco è vero per metà: si gioca secondo regole reali mentre si abita un mondo immaginario. Si vince o perde per davvero, ma le gesta sono immaginarie.
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La carica espressiva delle metafore
La carica espressiva e semplificatoria delle metafore nel gioco è stata da qualcuno considerata una delle forze di nascita della cultura, della civilizzazione, finanche del pensiero stesso. Nelle parole di Rusch, e Weise: “Le persone hanno spesso l’idea sbagliata che le metafore siano qualcosa di fantasioso, che appartengano esclusivamente al regno dell’arte e della letteratura. Questo non è vero. Le metafore sono ovunque. Strutturano le nostre esperienze quotidiane e creano le basi per la nostra comprensione del mondo”.
Per esempio, le metafore sono radicate nel linguaggio umano più di quanto ci aspetteremmo. Esse ricoprono un ruolo importante nelle regolarità tra lingue differenti: gli strumenti sono compagni (infatti diciamo che abbiamo tagliato il pane con il coltello), l’incertezza è verso l’alto (per questo solleviamo una questione) e la certezza verso il basso (una persona terra terra), la somiglianza è vicinanza, il tempo è movimento, l’affetto è calore.
Queste e molte altre metafore sono utilizzate nelle diverse forme di narrazione per ancorare il mondo immaginario alla tangibilità dell’esperienza, per dare vita a quel vero per metà che ci permette di immergerci in prima persona nel racconto. Ogni gioco, quindi, narra l’impresa dei giocatori, e tali narrazioni vissute sulla propria pelle collaborano alla definizione di come pensiamo, come giochiamo, e come comprendiamo le nostre vite.
La ludonarrativa nei videogiochi
L’autore di ogni narrazione ludica ha una storia che desidera comunicare. Mentre concetti più tangibili, come gli aspetti di trama, possono essere espressi facilmente tramite il linguaggio comune, concetti astratti e superiori come gli obiettivi e le più alte aspirazioni dell’opera sono inerentemente più difficili da trasmettere con esattezza.
Il potere delle metafore viene quindi espresso in ogni forma d’arte narrativa. Esse permettono di raccontare storie potenti non con semplici parole, ma richiamando l’esperienza di chi assiste. Dunque, in una certa misura, pur all’interno del selciato tracciato dall’autore, in una narrazione c’è anche lo spazio per l’interpretazione del fruitore che è parte attiva dell’opera.
Il fruitore interpreta la narrazione e prova emozioni attraverso le lenti della propria esperienza autobiografica.
Quando l’autore esprime terrore sta al lettore (o al giocatore) scavare nella propria memoria per rispolverare quella stessa sensazione. Questo ruolo già attivo del fruitore viene ulteriormente modificato nel gioco. In questo contesto, il giocatore è rivestito da una responsabilità rivoluzionaria: ha la facoltà (spesso, l’obbligo) di prendere decisioni.
In questo senso, il gioco non rappresenta tanto una serie di ostacoli da superare, quanto più un labirinto che invita il giocatore ad intraprendere una narrazione tra quelle disponibili, consentendogli di definire i propri obiettivi (entro i limiti del cerchio magico).
Negli ultimi decenni, secondo alcuni, stiamo quindi assistendo alla nascita di una nuova forma di narrativa che sfida i ruoli convenzionali di “autore” e “lettore”, ove quest’ultimo assume un ruolo sempre più attivo non solo nella comprensione della narrazione, ma anche nella sua creazione.
Il gioco digitale, in particolare, rappresenta una spinta innovativa che si confronta con i limiti di come la narrazione tradizionale viene da secoli studiata, dando vita ad una rivoluzione quasi gutenberghiana.
L’impatto dirompente dell’interattività sulla narrazione è testimoniato da quanto stia diventando prominente anche in altre forme narrative, specialmente nell’industria cinematografica.
Il contesto ludico a confronto con quello cinematografico
Mentre nel contesto ludico il giocatore è chiamato a prendere decisioni per conto del proprio avatar, in quello cinematografico egli decide per conto del protagonista. Ne è un esempio You vs. Wild (Netflix, 2019), in cui lo spettatore controlla le decisioni dell’avventuriero Bear Grylls, determinandone l’ipotetica sopravvivenza in ambienti remoti ed ostili.
Per raggiungere l’elicottero, sarà meglio che Bear attraversi un crepaccio o che si avventuri nelle mangrovie, finché la marea è bassa? Lo spettatore decide premendo un tasto del telecomando, dopodiché assiste alla conseguenza della sua scelta: Bear attraversa indenne il canyon. Oppure Bear viene sorpreso dall’acqua alta e “soccorso” dalla troupe (il tutto girato in piena sicurezza).
La nuova iterazione del ruolo di lettore/spettatore/giocatore ha causato nella comunità di ricerca un animoso dibattito riguardo la natura stessa dei videogiochi. Ci si interroga: costituiscono davvero il naturale sviluppo della forma narrativa o, invece, rappresentano delle entità totalmente separate, cyber-testi che semplicemente “possiedono elementi narrativi” [5]? In entrambi i casi, questa rivoluzione ha travolto la narrativa tradizionale, i ruoli che delinea, e le sue regole, portando all’esigenza di costruire una nuova branca che si occupi della narrativa interattiva. Ovvero la ludonarrativa, l’arte di raccontare storie tramite il gioco.
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Il ruolo determinante di emozioni e sentimenti
I videogiochi, come media digitali, si considerano nuovi spazi socio-relazionali all’interno dei quali le emozioni e i sentimenti giocano un ruolo determinante. Il modello di Calleja (2015) ci dice ad esempio che tre dei più importanti hook di coinvolgimento nel gioco sono proprio quello affettivo, quello narrativo e il principio della condivisione.
Altri studiosi sostengono che, a differenza di quanto si possa immaginare a seguito dell’alto livello di sviluppo delle tecnologie, “i media (ndr, e a nostro avviso dunque anche i videogame) si trasfigurano come strumenti empatici poiché permettono un soffrire insieme, come l’etimologia del termine prefigura, producendo diverse tipologie di condivisione esperienziale” (Barile, Bovalino 2020).
Da un lato, dunque, la leva emotiva diviene strumento di ingaggio sul piano narrativo e performativo, dall’altro – e possiamo dire soprattutto nel gioco – i livelli di immersività e incorporazione della (e nella) storia favoriscono anche l’attivazione di meccanismi empatici, di proiezione identificativa nel character (Morin 2000) fino al punto di vivere insieme – en-pathos appunto – le medesime emozioni.
A questo proposito, l’esperienza videoludica può assumere i caratteri di un vissuto catartico (tra gli altri Morin, 2000; Bocci, 2017) nella misura in cui dà.
Il cosiddetto player involvement model (Calleja 2011) è strutturato su sei livelli di coinvolgimento del giocatore: cinestetico, spaziale, condiviso, narrativo, ludico e affettivo.
Secondo Vogler (2007) un mito mette al centro un argomento universale e costante, è privo di riferimenti temporali e spaziali specifici e ha per protagonista individui comuni, persone ordinarie con cui il lettore può rispecchiarsi facilmente.
Last day of June: performare il lutto tra pathos ed en-pathos, dando spazio a comportamenti e relative emozioni che altrove potrebbero non trovare espressione.
La morte nella ludonarrativa dei videogiochi
La morte, e in modo particolare il vissuto emotivo connesso alla perdita, ne rappresenta un esempio concreto. Non c’è lo spazio per affrontare con la dovuta profondità un tema così controverso. In questa sede ci preme sottolineare come la morte sia stata lentamente estromessa dal quotidiano (Campione 2007; Morin 2000).
Il processo di espropriazione della morte (Elias 1986) ha avuto le sue conseguenze anche dal punto di vista mediale. Infatti alla sua assenza nella quotidianità è corrisposta una forte spettacolarizzazione: sia nelle rappresentazioni all’interno di narrazioni fittizie, sia negli episodi di cronaca di cui i media, vecchi e nuovi, si fanno cassa di risonanza (tra gli altri Cavicchia Scalamonti 2007; Sisto 2018).
I videogame, tuttavia, costituiscono un caso davvero particolare di contesto mediale (Bittanti, 2008). Nelle trame narrative, al pari della cinematografia e di altri media affabulatori, la messa in scena della morte e delle proiezioni immaginifiche al di là di essa rappresenta a tutti gli effetti un genere. Nelle meccaniche del gioco, invece, la morte è da sempre un dispositivo narrativo che coincide con il più classico game over (Salvador 2013).
Il concetto di morte
Il concetto di morte, nel panorama narrativo interattivo dei giochi, generalmente non è associato alla fine definitiva. Piuttosto ne rappresenta una mera meccanica che può avere almeno due ruoli:
- una costrizione, un vincolo narrativo che condiziona le scelte del giocatore in funzione della sua strategia;
- uno strumento di reset, che implica la ripresa del gioco dal punto precedente (Nicolucci 2019).
Nei giochi, la perdita è tanto onnipresente quanto banale, scrive la game designer Sabine Harrer. Eppure, nei videogiochi non esiste solo la perdita da game over, semplice sinonimo di un fallimento al quale si può sempre rimediare. Esistono, per esempio, anche le morti da trama, come i traumatici omicidi in The Last of Us Part II e Final Fantasy VII.
Così, alcuni videogiochi hanno molto da offrire per affrontare un tropo esistenziale dell’esperienza umana, quello del lutto, con esempi di gameplay che fanno luce su come il mezzo videoludico sia capace di sfruttare le sue risorse espressive per arrivare a rappresentazioni ricche e impattanti del senso di perdita.
That Dragon, Cancer
Abbiamo già parlato in passato del bellissimo That Dragon, Cancer (Numinous Games, 2016), che racconta la storia della famiglia Green. Ryan ed Amy Green hanno deciso di raccontare tramite un videogioco gli alti e i bassi della loro esperienza nell’assistere il figlio Joel, a cui era stato diagnosticato un cancro terminale a soli dodici mesi d’età.
A novembre 2010 i medici avevano dato al bambino circa quattro mesi di vita, ma nonostante avesse sviluppato altri sette tumori, Joel ha continuato a vivere per ben quattro anni dopo la sua diagnosi iniziale, soccombendo infine il 13 marzo 2014, all’età di cinque anni. Tra piccole gioie quotidiane, dolori, e il rifugio nella fede, That Dragon, Cancer costituisce una preziosa, onesta, e lacerante occasione di riflessione sul tema della resilienza, delle relazioni familiari nella difficoltà, e dell’elaborazione del lutto.
Eppure, alcuni videogiochi sono in grado di lasciare il segno anche nei casi in cui la morte non è quasi mai nominata, certamente non vista, e nondimeno permea l’intera esperienza.
La ludonarrativa della perdita nei videogiochi: Perfect Vermin
“Perfetto parassita” è un videogioco indipendente creato da Angad Matharoo & TaliabobMair, pubblicato su Itch.io nel 2020 ed in seguito sbarcato su Steam. Le premesse sono semplici: scopo del gioco è individuare quali mobili, all’interno di un ufficio, sono degli “impostori”.
Armati di martello, potremo colpire l’arredamento per scoprire quali sedie, tavoli, o stampanti sono, in realtà, disgustosi ammassi di carne. Individuare i parassiti può essere difficile; niente nel
loro aspetto li differenzia dai normali mobili.
L’unico modo per smascherarli è prestare attenzione alla loro disposizione delle stanze. Forse c’è un water in più rispetto ai cubicoli? Una sedia da scrivania posizionata goffamente in sala relax? La ricerca è resa progressivamente più complicata dalla comparsa di un timer sempre più stringente, dall’aumento dei parassiti, dalla moltiplicazione delle stanze incriminate, fino a diventare un’impresa pressoché impossibile, dove i mobili sono appesi al soffitto, irraggiungibili.
L’esperienza, della durata di circa 15 minuti, si interrompe con un’amara riflessione: “A nessuno importerà della mia morte se non dimostrerò loro che ho vissuto”. Ecco che Perfect Vermin esce dalla metafora, regalandoci il ritratto di una persona in lotta contro un male incurabile che, ormai, preferisce tentare con tutte le sue forze di vivere una vita memorabile invece che combattere per eliminare dal suo corpo quelle cellule ingannatrici.
They Grew Lungs and Drowned (Supposedly Spooky)
Il videogioco scaricabile da Itch.io dura circa 13 minuti. Il titolo si traduce, letteralmente, con la frase “Si sono fatti crescere i polmoni e sono annegati”. Questa esperienza psichedelica trasmette tutto il senso di inadeguatezza del corpo umano di fronte alla potenza della natura e dei grandi schemi, nonostante la nostra millenaria evoluzione.
In parole povere, ci siamo fatti crescere i polmoni ma siamo annegati lo stesso. They Grew Lungs and Drowned parla così di malattie invisibili e del difficile ruolo del malato nella società e nella famiglia, con l’emblematica confessione del protagonista: “Dovrei interpretare il ruolo di un cadavere ma non ho talento neanche per quello”.
Purgatory
Purgatory di Paul Lethargy non è certamente per i deboli di cuore (e di stomaco). Ed è stato prevedibilmente incluso in un’antologia di videogiochi indipendenti definiti “bizzarri”. L’autore avvisa: “Questo gioco ti farà provare qualcosa, anche se potresti aver bisogno di un professionista per aiutarti a capire quei sentimenti”.
In Purgatory assumiamo i panni di una persona sfortunatamente caduta in un coma diabetico. Il nostro ruolo è incontrare altre persone in questo
tremendo limbo, parlare con loro e ascoltare le loro tristi storie, riflettendo sulla spesso distruttiva domanda: “Se lo meritava?”. Così, questo titolo ci parla della caducità della vita, ed in particolare delle conseguenze terribili delle nostre semplici sviste o dimenticanze, per essere stati costretti dalla povertà a vivere in condizioni insalubri o aver semplicemente mangiato un panino avariato.
Conclusioni
I quattro giochi descritti sono profondamente diversi, eppure accomunati dall’intento di comunicare un tema importante senza l’uso di parole. E, per la verità, senza neanche uso di una trama esplicita.
Sono videogiochi indipendenti che testimoniano la natura espressionista del videogioco, in quanto permette, a chi li gioca e a chi li crea, di esprimere emozioni e costrutti che sarebbe troppo complesso trasmettere in altro modo che con un semplice, breve, impattante gameplay.
Bibliografia
- Bean, A., 2018, Working with Video Gamers and Games in Therapy: A Clinician’s Guide, Routledge
- Bocci F., 2019, ed, Dentro il videogioco. Viaggio nella psicologia del videogioco tra identità, educazione e scienza, Edizioni Ananke, Torino
- Bruner J., 2006, La fabbrica delle Storie, LaTerza, Milano-Bari
- Campione F., 2007, The last dance – l’incontro con la morte e il morire. Clueb, Bologna
- Ferrari, A., 2021, Ludonarrative: L’arte di Raccontare Storie Tramite Il Videogioco (Italian Edition) (pp.9-10) Edizione del Kindle
- Huiziniga,J. (1938), Homoludens; a study of the play-element in culture, Beacon Press, Boston
- Micalizzi, A., 2020, Last day of June: performare il lutto tra pathos ed en-pathos, H-ermes. Journal of Communication H-ermes, J. Comm. 17 (2020), 115-134
- Jedlowski P., 2010, Parlami di te. In Batini F., Giusti S., ed, Imparare dalle narrazioni, Edizioni Unicopli, Milano, p. 15-29