Non sappiamo chi uscirà vittorioso dalla guerra, ma è già certo chi uscirà sconfitta: la verità. Con la scomparsa dei media indipendenti sul fronte della guerra, come in Russia, non abbiamo più notizie affidabili. Si fronteggiano, pressoché sullo stesso piano, le versioni dell’Ucraina e quelle del Governo russo.
Adesso la sfida sarà far sì che questa sconfitta della verità sia arginata, perché non si tramuti in una sconfitta dei valori democratici; anche questi rischiano di crollare qualunque sia il vincitore della guerra.
Lo stiamo già vedendo.
Le versioni della post-verità
L’ospedale pediatrico è stato bombardato per errore, appositamente? C’erano bambini davvero? La Russia lo sapeva o pensava che ci fossero militari soltanto? Tante versioni si inseguono.
In guerra di solito le cose si fanno più confuse che in pace, gli esperti militari la chiamano fog of war e non è un caso che capiti anche il fuoco amico. Persino nella guerra ibrida gli attacchi coi droni americani hanno fatto vittime civili in Afghanistan, scambiate per terroristi; non è da escludere un errore dei russi sull’ospedale.
Tante versioni della verità si inseguono e se in certi casi è facile bollare come menzogne quelle russe- il governo ucraino è nazi-fascista, fa genocidi e usa la popolazione come scudi umani – in altri casi i confini sono più sfumati. E ci sono stati anche casi di fake news di fonte filo-ucraina, su TikTok, di persone che sfruttavano la guerra per guadagnare follower o donazioni, avvantaggiandosi di un algoritmo che favorisce la diffusione in loop di video affini ai propri interessi.
Anche questo ben rappresenta le derive dell’economia dei social.
Cinismo economico e ideologia politica vanno fianco a fianco nel distruggere la verità.
Si può dire che la guerra abbia esaltato una tendenza che già si vedeva da anni, quella della post-verità, culminata – nei suoi danni più evidenti – con il tentativo di colpo di Stato al Congresso americano (gennaio 2021) e con le fake news sul covid-19.
Distanze che si acuiscono
La post verità, è noto, si nutre di divisioni tra genti, popoli e classi sociali. Divisioni politiche, diseguaglianze socio-economiche, su cui il neo-liberismo americano ha grosse responsabilità, esaltate dopo lo scoppio della bolla speculativa (2007). Con danni economici a cascata in tutto il mondo. Il che ha dato agio, da allora, alla Cina e alla Russia di mettere in dubbio la validità del modello occidentale (come riflette un giornale liberista come l’Economist in questi giorni).
E mai come in guerra queste distanze si inaspriscono.
Ma le distanze non sono soltanto tra Occidente e Russia, tra democrazia e paesi autocratico-dittatoriali (come anche la Cina e non solo).
Distanze si scavano anche nei nostri lidi: il complottismo di casa nostra le riflette con chiarezza. Il rischio è che la logica amico-nemico che ora divide l’Europa dalla Russia causi un ulteriore deterioramento dei nostri valori democratici, fatti di pluralismo, di media indipendenti, di equilibrio tra diritti.
Le responsabilità delle big tech
Di oggi la notizia che Facebook consentirà un’eccezione alla policy sul discorso d’odio e l’inneggiamento alla violenza permettendo di augurare la morte a Putin e agli invasori russi.
L’isolamento tecno-mediatico della Russia ha conseguenze negative anche per i nostri valori, significa gettare la spugna su quell’ideale di mondo più connesso e quindi migliore che Google, Facebook e in generale la Silicon Valley da sempre cavalcano.
Le grandi piattaforme, gettata ormai totalmente la maschera di intermediari neutri, hanno fatto una scelta di campo netta a favore dell’Occidente, dimostrandosi così ancora meno indipendenti dei media tradizionali, che cercano ancora in qualche modo di rappresentare anche il punto di vista dell’altra parte.
È come se fossero già appieno in tempo di guerra, nell’amico-nemico, nel “con me o contro di me”, come quando durante il fascismo si impediva ogni voce critica al regime.
Gli interrogativi da porsi
Il blocco totale dei media russi su internet in Europa presenta interrogativi esistenziali per la tenuta dei principi democratici: siamo sicuri che agire in questo modo sia – come dice l’Europa – una tutela della libera circolazione dell’informazione corretta, su cui si regge la democrazia? Non stiamo minando il principio della libertà di espressione, pure fondamentale alla democrazia? Principio ormai totalmente dimenticato dai suoi propugnatori più oltranzisti, vedi Mark Zuckerberg di Facebook-Meta, che lo tutelava a spada tratta finché gli faceva comodo per il suo business pubblicitario.
Quegli interrogativi non sono retorici, non c’è ora una risposta chiara; ma certo è chiara l’esigenza di porsi quelle domande e vigilare per preservare quegli equilibri chiave della democrazia, come scrive Franco Pizzetti.
Se si vede bene, sono interrogativi analoghi a quelli che soppesano vantaggi e svantaggi dell’abbandono della Russia da parte delle big tech. Abbandonare è una scelta etica e anche pragmatica di tutela dei propri dipendenti e – proprio come per le sanzioni – finalizzata a indebolire l’appoggio della popolazione al regime. Al tempo stesso, così come le sanzioni, è una mossa che può favorire isolamento della Russia e coesione della popolazione contro il “nemico” (l’Occidente, già accusato da Putin di essere causa della crisi economica). Le sanzioni da sempre sono un’arma a doppio taglio e solo in pochi casi (Sud Africa, Libia) sono state efficaci contro le dittature.
Sono temi su cui pubblicheremo altre voci nei prossimi giorni. Mai come in tempo di guerra è necessario riflettere sui valori.