cultura digitale

La (nuova) propaganda digitale: come la politica manipola il web

Comprendere e gestire le distorsioni del digitale – dagli effetti della nuova propaganda al proliferare di fake news – per non vanificarne le straordinarie opportunità. Ecco quali sono i rischi della mancanza di consapevolezza e cultura digitale e perché siamo tutti corresponsabili

Pubblicato il 07 Set 2018

Daniele Chieffi

Membro del Consiglio Direttivo Nazionale di Ferpi

echo-chamber

Le elezioni presidenziali Usa, oltre ad aver portato alla casa Bianca Donald Trump, hanno avuto l’effetto di porre al centro del dibattito il tema della propaganda digitale, da molti additata come vero “grande elettore” del tycoon statunitense. In Italia si parla diffusamente di quanto l’attuale maggioranza sia tale anche e soprattutto grazie alla propaganda digitale. Per non parlare del ruolo che il web avrebbe avuto nella nascita di una componente rilevante di questa stessa maggioranza, ovvero il Movimento 5 Stelle.

La propaganda digitale, però, non è una categoria a sé. La propaganda è sempre esistita, dai tempi dei faraoni autoproclamatisi divinità terrene, passando per il “taci il nemico ti ascolta” di epoca fascista, sino a più o meno esistenti armi di distruzione di massa. Quindi il digitale ne è solo un nuovo strumento? In realtà il paradigma va ribaltato: il web è un ecosistema attraverso cui è possibile anche fare propaganda, con modalità ed effetti inediti. E sono proprio questi effetti e modalità a rappresentare il vero scenario da indagare, dal quale discende poi la nuova definizione di propaganda (ma non solo).

Il web e la percezione distorta della realtà

La Rete è una lente convessa in grado di distorcere la percezione della realtà dei propri utenti. Il digitale amplifica una serie di fenomeni psicologici e cognitivi, ben noti alle neuroscienze, creando un ecosistema sociale dove si generano e si alimentano narrazioni, luoghi comuni, paure, credenze. Un ecosistema che interconnette direttamente le persone, escludendo – spesso perché è percepita come inutile, superflua o non credibile – qualsiasi forma d’intermediazione. Un ambiente in cui l’infinita disponibilità e la facilità d’accesso alle informazioni crea la falsa convinzione di poter avere gli strumenti per intervenire su qualsiasi tema, innescando contro-narrazioni collettive prive di verifica o fondamento. Un sistema, in sintesi, in grado di produrre verità autogenerate a volte più forti della verità fattuale, in grado di d’influenzare la percezione della realtà.

Tutto questo rappresenta l’altra faccia della medaglia, l’effetto collaterale del www, non voluto da chi l’ha pensato e progettato e che non esclude il fatto che il web continui a essere una straordinaria opportunità di crescita culturale e sociale, una potente leva di miglioramento della vita di ognuno. Il problema è che quest’altra faccia della medaglia è governabile, influenzabile, le sue/tali dinamiche sono “attivabili” in maniera economica e relativamente semplice e attraverso di esse si può arrivare a influenzare la percezione della realtà degli utenti. Ma andiamo con ordine.

La massificazione delle interpretazioni personali

Il web è un sistema simbolico immersivo nel quale siamo costantemente chiamati a decodificare e interpretare contenuti, immagini, contesti, reazioni, emozioni. Sin qui niente di nuovo, dal punto di vista della semiologia e della psicologia cognitiva: da sempre l’uomo produce e decodifica simboli e messaggi, è la base della comunicazione. La novità sta nel fatto che il web, per sua natura, massifica la nostra personale interpretazione: mentre nel mondo analogico quel che pensavamo su qualcosa o qualcuno poteva essere condiviso con un gruppo di persone limitato nel tempo e nello spazio, oggi la percezione immediata è che ce ne siano migliaia che la pensano come noi. Un meccanismo che tende a rafforzare la convinzione che quel che crediamo sia giusto, proprio perché condiviso da moltitudine di altri individui.

Il proliferare delle echo chambers

Tale dinamica è ulteriormente rafforzata dal Confirmation bias, pregiudizio di conferma – concetto ampiamente noto agli studiosi di neuroscienze – a causa del quale tendiamo a cercare conferme alle nostre tesi, idee. L’interazione di questi due processi porta a chiuderci dentro echo chambers, camere dell’eco, dove interagiamo solo con persone che la pensano come noi, iperconfermando le nostre idee e distorcendo così la percezione della realtà. Echo chambers che sul web hanno dimensione massiva e che rappresentano anche vastissima e reattiva platea per le cose che pensiamo e diciamo. Esprimiamo posizioni, giudizi e troviamo consenso e riconoscimento ampli e pubblici.

La disintermediazione dell’informazione

Accanto a questo agisce la profonda, travolgente perdita di fiducia nei corpi intermedi, ovvero le figure che socialmente dovrebbero rappresentare un punto di riferimento informativo: istituzioni, media, giornalisti, politica, partiti, sindacati, medici, scienziati, aziende, università, scuola. I singoli scandali, casi di corruzione, errori, cattive gestioni, amplificati da narrazioni collettive ipercondivise, divengono giudizi generali, che travolgono credibilità e autorevolezza e minano il ruolo stesso di questi soggetti. Così lo scienziato è sempre al soldo della multinazionale, il politico è corrotto, il giornalista asservito, l’istituzione schiava dei “poteri forti”, ecc. Quel che un tempo era considerato luogo comune diventa giudizio sociale.

Il potere dell’algoritmo e la scarsa attenzione

Viviamo poi immersi nei nostri smartphone, iperconnessi a una serie di piattaforme, soprattutto social, governate da algoritmi che leggono le nostre scelte e tendono a riproporre contenuti informativi e fonti le più simili possibili a quelle che abbiamo precedentemente selezionato, contribuendo così a quella echo chamber autoconfermativa. Algoritmi che sono di proprietà di pochi soggetti – così come le piattaforme su cui operano, d’altronde – e il cui funzionamento è un segreto gelosamente custodito. Abbinata a questo, la nostra scarsa capacità di attenzione e di valutazione di fronte a quantità enormi di informazioni, che ci porta a trattenere solo gli elementi più evidenti di un contenuto (il titolo, l’immagine). Studi recenti fissano a 5,8 secondi il tempo medio speso a usufruire di un contenuto sui social. In sostanza, prestiamo un’attenzione più che superficiale e frettolosa a informazioni selezionate automaticamente da algoritmi che non controlliamo.

Una propaganda semplice ed economica

Tutto questo vuol dire che il web è il male? No. Il digitale rimane un’opportunità straordinaria e una risorsa preziosissima, ma porta con sé alcune distorsioni che vanno comprese e gestite. Da tutto quello detto sopra appare evidente quanto sia “semplice” oggi fare propaganda. Mentre prima erano richiesti apparati di comunicazione giganteschi e costosi, adesso basta intercettare le echo chambers, comprendere le paure, i timori, i dubbi, i bisogni delle persone e alimentarli. Conoscere le dinamiche del web e saperle usare significa riuscire effettivamente a governare la percezione e quindi orientarla. Questo vale per la propaganda politica ma anche per l’informazione, la comunicazione. Basta costruire una notizia falsa ma verosimile, atta a stimolare timori o confermare dubbi, e riuscire (facilmente) a farla condividere per innescare una distorsione della percezione del reale. Molte di queste notizie si autogenerano e autoalimentano all’interno delle conversazioni social, ma altre, molte altre, vengono prodotte o “piegate” ad arte.

Nulla di nuovo, sia chiaro, torniamo a dire. Propaganda, notizie false, costruite per screditare o danneggiare, false o errate convinzioni, luoghi comuni, pregiudizi, sono sempre esistiti. Con l’avvento del digitale hanno assunto però una forza e un potere pervasivo inediti, abbinati a un’estrema “economicità” produttiva – sono sufficienti un pc, una connessione e una buona conoscenza tecnica – e a una velocissima e potente capacità di diffusione, quando autogenerati.

Tutto questo apre due scenari ulteriori. Da una parte, l’ampliamento del numero di quanti siano in grado di usare in maniera malevola queste dinamiche, proprio per la loro “accessibilità” ed “economicità”. Dall’altra, la capacità d’impatto che un’organizzazione strutturata (quella che una volta venivano chiamate le “macchine della propaganda”) può avere in termini di efficacia. Il rischio è un governo della “verità percepita” a scapito della verità fattuale e l’accentramento, nelle mani di pochi, di una nuova forma di potere manipolativo.

Gli utenti inconsapevoli

Il combinato disposto di queste dinamiche è tale solo grazie alla mancanza di consapevolezza degli utenti della Rete, di tutti quanti noi. La mancanza di consapevolezza di quanto possa essere deleteria la condivisione di un contenuto non verificato, l’esporsi con giudizi definitivi su temi di cui non si hanno conoscenze specifiche, il difendere le proprie convinzioni senza ascoltare o approfondire le tesi contrapposte e viceversa attaccarle con violenza e demonizzarle. In un ecosistema completamente trasparente, dal punto di vista della visibilità collettiva di ciò che diciamo e facciamo, siamo tutti corresponsabili, siamo tutti contemporaneamente fonte e medium.

Senza consapevolezza, senza cultura ed educazione al digitale – e considerato l’alto numero di “analfabeti funzionali”, cioè incapaci di comprendere il senso di un testo, che nel nostro Paese sono oltre il 50% – gli utenti diventano “carne da propaganda”, soggetti manipolabili su piccoli e grandi temi. Si dirà: «Ma la realtà non è solo il digitale, esistono altri mezzi, altre forme e dinamiche di persuasione». Vero, però ormai viviamo in un unico ecosistema informativo del quale il digitale è il sistema nervoso profondo, che connette le persone annullando le dimensioni spazio-temporali e amplificando i messaggi. Un sistema pervasivo e potente del quale dobbiamo diventare consapevoli, per far sì che Internet torni a essere esclusivamente quella splendida occasione di crescita collettiva che pure ancora rappresenta.

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