Cosa collega un grande scrittore dell’Ottocento come Guy de Maupassant (1850-1893) con l’intelligenza artificiale? Apparentemente nulla, eppure qualcosa di quel tempo ci dice molto anche del tempo di oggi.
Si evolve la tecnica, non si evolvono gli uomini
Non tanto sulla tecnica – allora c’erano ancora le locomotive a vapore, oggi abbiamo appunto la pseudo intelligenza artificiale – quanto sui modi di vivere e di agire degli uomini di allora e di oggi, terribilmente simili. Come a dire: si evolve la tecnica, non si evolvono gli uomini, e questo rende il nostro rapporto con la tecnica – il nostro dislivello prometeico, come lo definiva Günther Anders – cui aggiungiamo quello con il capitalismo e il denaro, ancora più complicato e dove il rovesciamento tra mezzi (le macchine) e fini (la vita dell’uomo) sembra ormai essersi definitivamente compiuto, noi diventati mezzi (dati compresi) per il potenziamento della tecnica (e del capitale), diventato il fine unico delle società umane.
Ci aiuta dunque a capire questo dislivello crescente tra società umane e macchine/economia/lavoro – e insieme la non evoluzione sociale e morale degli umani – la pubblicazione recentissima di un racconto appunto di Maupassant, scritto nel 1884 (per intenderci, un anno dopo la morte di Karl Marx, tredici dopo l’evento rivoluzionario e subito represso della Comune di Parigi del 1871), dal titolo L’eredità, edito da Carbonio (p. 154, € 15), con la bella traduzione e la ancora più bella Introduzione di Bruno Nacci.
Cosa si faceva – e si fa – per denaro
Il racconto di Maupassant è dunque ambientato nella Parigi appunto della Belle Epoque. Non si parla di industria ma di lavoro in un Ministero, quello della Marina. Qui, l’impiegato César Cachelin combina un matrimonio tra la figlia Cora e uno dei suoi colleghi di lavoro più promettenti e soprattutto ambiziosi, Léopold Lesable. In ballo c’è la ricca eredità che la sorella di Cachelin, Charlotte, ha promesso alla giovane e bella nipote, ma alla condizione che questa generi un nipote al massimo entro tre anni dal suo decesso – altrimenti la ricca eredità verrà distribuita in beneficenza. Alla morte di Charlotte, tutta la famiglia Cachelin si organizza per questo obiettivo, compreso Lesable che nel frattempo è diventato il marito di Cora. Attivandosi insieme, tra i componenti della famiglia e i colleghi del Ministero una ricerca delle buone maniere e insieme lo scatenarsi delle ambizioni della bassa borghesia di allora, ma anche degli istinti più bassi. Tutto in nome dell’eredità o attorno al tema dell’eredità, appunto.
Il problema è che il bambino non arriva, i tre anni passano scorrendo con angoscia i giorni sul calendario. Ma alla fine arriva il lieto finale doveroso, il bambino – anzi la bambina, altrettanto doverosamente chiamata Désirée – nasce, l’eredità è intascata e il sogno della famiglia di frequentare il bel mondo e di sentirsi arrivata si avvera. Non senza però essere appunto passata tra le peggiori abbiezioni (mobbing sessuale di Cora e del padre contro Léopold; Leopold che, esasperato, picchia la moglie salvo poi pentirsi subito dopo e chiederle perdono; eccetera eccetera) – e lasciamo al lettore che ne abbia voglia di leggere le splendide pagine di Maupassant.
Qui ci interessa segnalare alcune parti del racconto, che appunto descrivono la realtà di allora che però sembra maledettamente simile alla realtà di oggi – e anche oggi molte famiglie (ricche o non ricche che siano) si auto-distruggono per dividersi un’eredità. Ma c’è appunto altro, nelle pagine di Maupassant. Proviamo a leggerle insieme – noi limitandoci a qualche nota di commento.
“[…] gli impiegati arrivavano a frotte sotto il grande portone del Ministero della Marina, si affrettavano da ogni angolo di Parigi perché si avvicinava Capodanno, periodo di zelo e promozioni. Un rumore di passi concitati echeggiava nel grande palazzo tortuoso come un labirinto, solcato da inestricabili corridoi su cui si aprivano le innumerevoli porte degli uffici” – oggi i grandi palazzi esistono ancora ma esiste soprattutto il grande palazzo che chiamiamo rete e digitale, altrettanto labirintico, dove le innumerevoli porte degli uffici si chiamano smartphone, che è l’ufficio che ci segue passo dopo passo e dove, diversamente dal racconto, ciascuno non deve più “sedersi al tavolo di lavoro”, il tavolo essendo lo schermo dello stesso smartphone o del pc portatile o del tablet. Ciascuno è tuttavia, allora come oggi, impiegato di qualcosa e di qualcuno, crede di essere padrone del proprio lavoro ma in realtà anche oggi vi è sempre qualcuno che organizza e comanda il lavoro (persona fisica ma soprattutto algoritmi) e qualcuno che lo deve eseguire – tutti im-piegati sulle carte allora, oggi tutti im-piegati verso lo schermo, sempre più sfruttati e auto-sfruttati.
E allora “molti si portavano il lavoro a casa”, cercavano di entrare in ufficio e di uscirne prima e dopo l’orario di lavoro per mettersi in evidenza e dimostrare la loro dedizione (il loro servilismo e utilitarismo), mentre oggi il problema è stato invece risolto con il digitale che permette al capitale di obbligarci a non distinguere più tra lavoro e vita e tutta la vita è lavoro e solo lavoro per il profitto del capitale. E anche allora c’era il mobbing, del datore di lavoro ma anche tra colleghi di lavoro: “Erano quasi sei mesi che facevano quello scherzo al poveretto [uno spedizioniere], che non si accorgeva di niente. Versavano qualche goccia d’olio sulla spugna umida per pulire le penne. Il pennino, intinto nel liquido grasso, non tratteneva più l’inchiostro e l’uomo passava le ore a stupirsi e a lamentarsi, consumando scatole di penne e bottiglie d’inchiostro, concludendo alla fine che le forniture dell’ufficio [oggi potremmo forse dire toner invece di penne] erano diventate proprio scadenti”, i colleghi facendogli credere che, “in seguito alla Comune” tutta la colpa era dei socialisti – come oggi; semmai sostituendo sinistre a socialisti – “per danneggiare il governo e provocare una rivoluzione”.
E per combinare il matrimonio tra Léopold e Cora, cosa c’è di meglio di un invito a cena di Léopold in casa Cachelin? Cosa di meglio che lasciare i due che devono iniziare a conoscersi, soli sulla terrazza di casa? “E lui la interrogò sui suoi gusti, sui sogni, su ciò che le piaceva. Lei rispondeva senza alcun imbarazzo, da giovane abituata a riflettere, assennata, sognatrice ma senza eccedere. La trovava piena di buon senso e si diceva di quanto sarebbe stato gradevole poterle cingere la vita, tonda e soda, col braccio, e baciarla a lungo, con piccoli baci lenti […], con la sete di carne matura e vergine, la delicata seduzione di una ragazza” – mentre oggi, in tempi di digitale e di i.a., si bypassa la terrazza e si entra direttamente in camera da letto. E tuttavia, appena Lesable sentì che all’interno stavano parlando di soldi e di valore dei terreni, “abbandonò bruscamente la giovane accanto a sé e rientrò per sentire tutto bene e, seduto a fianco di Charlotte, s’intrattenne a lungo con lei sul probabile aumento degli affitti e su ciò che il denaro ben piazzato può fruttare, in liquidità o in beni immobili”.
Certo, una volta sposati, la convivenza con la zia Charlotte diventa difficile: “Tua zia è intollerabile. Non la sopporto più”, al che Cora risponde: “Sì, la famiglia è terribile, ma l’eredità è buona, non è vero? Non fare lo stupido. Hai tutto l’interesse, come me, di sopportare zia Charlotte”. Appunto, l’eredità è buona, il denaro viene prima e si impone su tutto. Esattamente come oggi. Soprattutto se oggi, come allora – ma con la differenza che oggi si lavora spesso gratis (Marx direbbe forse a pluslavoro quasi totale), iper-sfruttati e dovendo assecondare la richiesta del capitale di lavoro flessibile e pagato poco, secondo la strategia di management di ridurre sempre e sempre di più i costi, del lavoro in particolare – come dice a un certo punto Lesable al capufficio: “cosa mi serve lavorare come faccio, se non ne raccolgo alcun frutto?”. E cosa mi serve lavorare, oggi, e soprattutto produrre incessantemente dati, se questi dati servono ad addestrare macchine che mi toglieranno il lavoro, mentre per Léopold il lavoro era comunque garantito?
L’eredità di Maupassant e le liquidazioni stellari dei manager odierni
E l’eredità di cui narra Maupassant non trova forse una quale forma di corrispondenza con i compensi e le liquidazioni stellari e oscene di manager come Tavares o imprenditori come Musk, come Bezos per non dire di un antico Romiti, che si costruiscono essi stessi l’eredità, anche se sono fallimentari come manager e come imprenditori? E non si ragiona di miliardi anche oggi in caso di separazioni coniugali dei cosiddetti grandi del Big Tech?
Certo, il Ministero narrato da Maupassant non era un’industria. Ma la burocrazia ministeriale non è forse anch’essa, senza scomodare Max Weber, una organizzazione tayloristica (scientifica) del lavoro? E anche l’intelligenza artificiale non è forse ancora e sempre taylorismo, cioè industrializzazione e standardizzazione e ripetizione/riscrittura della conoscenza esistente senza innovare realmente, quasi come un passare le carte della burocrazia e un copiare dello spedizioniere di Maupassant? Tayloristica, sì, posto che per Taylor “chi ha mansioni direttive si assume l’incarico di raccogliere tutte le nozioni tradizionali possedute in precedenza dalla mano d’opera [oggi tutti noi che siamo connessi producendo dati] e di classificarle, ordinarle in tabelle e sintetizzarle in prescrizioni, leggi e formule, che riescono immensamente utili al lavoratore nella sua attività quotidiana”, evitandogli di dover pensare (ed è lo stesso effetto che genera su di noi l’intelligenza artificiale e che vogliono attivare su di noi – il non dover pensare – i Big del Tech; la ricerca del profitto così divenendo più efficiente. E sempre si tratta di conoscenza/esperienza/riflessività che viene espropriata agli individui tramite dati e profilazione e addestramento della i.a., per essere trasformata in schemi, algoritmi e i.a. – e dove quindi minima è l’autonomia dell’uomo, come, di nuovo nella burocrazia, deresponsabilizzante al massimo grado. E come nella società automatizzata e amministrata da macchine, come temeva più di mezzo secolo fa la Scuola di Francoforte e che oggi si sta realizzando. Ciascuno nel suo ufficio, davanti al suo pc o con il suo smartphone, nel grande Ministero virtuale dove di ciascuno il capufficio si chiama algoritmo.
Se poi fosse vero che, come ha scritto recentemente The Economist, “almost two years have passed since OpenAI released GPT-3.5 to great fanfare. Bill Gates, co-founder of Microsoft, compared the technology’s arrival to his first encounter with the graphical user interface—a breakthrough that reshaped personal computing—in the 1980s. Others predicted that generative artificial intelligence (ai) would rapidly transform economies around the world, leaving many millions unemployed. Yet despite the hype and the worries, ai’s impact has been muted thus far. According to America’s Census Bureau, only 6% of businesses use AI to produce goods and services. Output and labour-productivity growth, meanwhile, remain far below the soaring heights of the computer age in the 1990s – se questo fosse vero, allora (e facendo violenza a noi stessi e ragionando in termini capitalistici), molte cose e molti entusiasmi infantili sarebbero da ripensare.