Da più di un decennio, l’Italia è il Paese con il più alto numero di psicologi in Europa. Nel 2018 erano quasi 110.000 gli iscritti all’Ordine Nazionale e di questi oltre la metà possiede una specializzazione in psicoterapia. Questo si traduce, all’incirca, nella disponibilità di uno psicoterapeuta ogni 1000 abitanti. L’Italia dovrebbe essere dunque, al netto del Covid-19, una penisola felice. Eppure il 16.9% degli Italiani soffre di disturbi mentali, in linea con una media europea del 17.3%. A livello europeo, si stima che il costo totale dei disturbi mentali superi i 600 miliardi di euro, una cifra che è superiore al 4% del PIL complessivo dei 28 paesi dell’Unione Europea (OECD/European Union, 2018).
Ma la cyberpsicologia funziona veramente? Tecnologie e prospettive
Psicologia e trasformazione digitale
Si stanno sperimentando una varietà di azioni per abbattere le barriere all’accesso alla cura psicologica e contemporaneamente favorire un approccio strutturale e comunitario attento alla prevenzione del malessere e alla promozione della salute, a livello europeo (e, in parte, anche in Italia). Solo per fare alcuni esempi: i programmi di stepped care con accesso graduale alle cure in ambito sanitario, l’introduzione su ampia scala della figura dello psicologo in ambito scolastico, le politiche per l’applicazione delle scienze comportamentali a supporto di obiettivi di salute pubblica (il cosiddetto nudging) in ambito governativo.
C’è un altro ambito che è centrale oggi per il benessere delle persone ma non è ancora oggetto di un approccio strutturale da parte della comunità professionale psicologica: quello legato all’uso e all’impatto delle tecnologie. Una delle mission centrali della professionalità psicologica deve diventare quella di affrontare il continuo cambiamento imposto dalla trasformazione digitale tenendo insieme obiettivi e persone coinvolte nel processo.
Non c’è più dubbio, ormai, sul fatto che la trasformazione digitale rappresenti il più profondo e impattante fenomeno di questa fase dell’umanità. Non solo le tecnologie digitali stanno diventando sempre più pervasive in tutti i nostri contesti di vita, ma stanno acquisendo competenze di natura sempre più relazionale e interpersonale, arrivando a prendersi cura dei nostri anziani e dei nostri malati e a occuparsi dell’educazione e dell’intrattenimento dei nostri bambini. Inoltre, stanno sviluppando un livello sempre maggiore di autonomia nella presa di decisioni sulle nostre vite, definendo se possiamo ricevere un prestito dalla banca o se saremo convocati per un colloquio di lavoro in quell’azienda dove tanto vorremmo essere assunti.
Il ruolo della psicologia in questo processo è decisivo, perché la trasformazione digitale non è solo un fenomeno legato al progresso tecnico-scientifico, ma sta modificando e ristrutturando in modo radicale l’ambiente di vita in cui siamo immersi, con effetti sempre più profondi e trasversali sulla nostra mente e sui nostri comportamenti. Il nostro modo di pensare, il modo in cui il nostro cervello apprende e si trasforma, il nostro modo di cercare, vivere e interpretare le relazioni, il nostro modo di emozionarci e di dare significato: tutti questi aspetti sono profondamenti influenzati dal fatto che viviamo in un mondo centrato sulla tecnologia digitale.
Obiettivo: riportare l’umano al centro
La tecnologia digitale, fino ad oggi, si è sviluppata prevalentemente nei termini del “cosa è possibile fare”, piuttosto che del “cosa è bene fare”. È ora di iniziare a chiedersi: In che modo desideriamo vivere? Di cosa abbiamo veramente bisogno? Come le tecnologie possono sostenere la nostra autonomia, la nostra autoefficacia, le nostre relazioni?
Se l’obiettivo che ci poniamo è quello di migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini, di prevenire il malessere e promuovere il benessere, occuparsi degli effetti indotti dalle tecnologie non è più sufficiente. Occorre impegnarsi per riportare l’umano al centro, per accompagnare il cambiamento, fianco a fianco con gli sviluppatori di tecnologie, facendo sì che queste siano concepite e costruite nel rispetto e a supporto dei bisogni fondamentali e dei valori della persona.
Non si tratta di un generico richiamo all’etica, ma molto più concretamente di operare per definire criteri e vincoli affinché tecnologie e algoritmi siano autenticamente utili alle persone, affinché vadano oltre la visione dell’essere umano come elaboratore di informazioni e problem-solver e inizino a coglierne e valorizzarne le risorse creative e le potenzialità. Dunque, accanto all’applicazione dei modelli cognitivi dei processi mentali e delle neuroscienze per migliorare l’ergonomia, l’usabilità e la user experience di prodotti e servizi tecnologici, si creano lo spazio e la necessità per applicare modelli e processi tradizionalmente di ambito più “clinico”, come quelli derivati dalle teorie dei bisogni, della motivazione, del cambiamento.
Conclusioni
Si tratta, per altro, di un momento in cui non solo le start-up più innovative, ma anche la maggior parte delle aziende e delle imprese che sviluppano tecnologie rivolte alle persone rilevano la necessità di questo tipo di contributo. Questo perché ci si è accorti che la fiducia delle persone verso le tecnologie più autonome e relazionali sta declinando e questo impatta negativamente sull’accettazione e sull’utilizzo delle tecnologie stesse (Gnambs & Appel, 2019). Al contrario, quando le persone realizzano che le tecnologie supportano i loro bisogni di autonomia, competenza e relazionalità, la fiducia e l’accettazione aumentano.
Queste sono appassionanti opportunità di nuove direzioni professionali per la psicologia, che contribuiranno a superare la contrapposizione fra l’approccio scientifico-tecnologico e una visione etica e umanistica distante dai contesti reali dalla vita umana, e a garantire il “supplemento di umanità” che questi tempi post-pandemici richiedono. In questa direzione si muove l’antronomia e le nuove figure professionali ad esse legate, che conservano i profili di sempre, con uno sguardo innovativo.
Bibliografia
- Gnambs, T., & Appel, M. (2019). Are robots becoming unpopular? Changes in attitudes towards autonomous robotic systems in Europe. Computers in Human Behavior, 93, 53-61.
- OECD/European Union (2018). Promoting mental health in Europe: Why and how? In: Health at a Glance: Europe 2018: State of Health in the EU Cycle, OECD Publishing, Paris/European Union, Brussels.