La legge delega per la riforma della PA ha alimentato diverse aspettative, perché si propone di realizzare una “rivoluzione della PA” soprattutto nel senso della riduzione della burocrazia, delle inefficienze e spingendo verso un sistema meritocratico. La relazione introduttiva afferma infatti che “Gli obiettivi perseguiti sono essenzialmente quello di innovare la pubblica amministrazione attraverso la riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato, la riforma della dirigenza, la definizione del perimetro pubblico, la conciliazione dei tempi di vita e lavoro e la semplificazione delle norme e delle procedure amministrative”. Una legge delega che prevede diversi interventi specifici sulla dirigenza pubblica, relativamente all’inquadramento, alla valutazione, alla formazione (obbligatoria), e che rispetto ai successivi decreti delegati prevede una serie di principi che spingono sul versante della semplificazione, della riorganizzazione dei processi decisionali, della cooperazione applicativa.
Questa è una riforma che, considerando i tempi di approvazione della legge delega e dei successivi decreti delegati, ed essendo ottimisti come si deve, potrà esplicare del tutto il suo impatto solo nel corso del 2016 e, pienamente, nel 2017. Tre anni sono tanti. Necessariamente, quindi, ha bisogno di essere basata su un quadro strategico visionario, capace di trasferire e indirizzare nella pratica di domani i segnali deboli che si intravedono oggi. Non solo. Anche di dotarsi di un approccio che consenta di migliorare e innovare in modo continuativo il funzionamento della PA, così che possa essere, nel futuro, sempre più capace di adattarsi ad un mondo che cambia, e anche di essere attrice protagonista del cambiamento.
È la riforma auspicata? Dal punto di vista degli aspetti relativi all’innovazione, come contributo per le evoluzioni che la legge può avere nel percorso parlamentare, la convinzione è che le ottime intenzioni e le alte aspettative non siano al momento ripagate in modo soddisfacente, soprattutto in termini di approccio al tema. Ma andiamo per ordine.
Il quadro strategico
In generale, è presente un grande sforzo di accentramento, semplificazione, razionalizzazione anche concettuale e terminologica. Ma, come rilevato da più parti, manca una visione strategica esplicita che raffiguri quale PA si vuole realizzare. Le poche frasi delle relazioni e delle analisi di accompagnamento sono insufficienti, da questo punto di vista, e anche gli indicatori scelti non consentono di comprendere il disegno finale, verso quale PA si vuole andare. In particolare, lascia perplessi la scelta di identificare come indicatori principali un insieme che non include nessuna misurazione su quanti servizi andranno online, sulla riduzione dei tempi dei procedimenti e quindi sul miglioramento dell’efficienza prodotta nei servizi e nei processi interni, sulla semplificazione burocratica realizzata (in termini di normative ridotte, di adempimenti eliminati o aggregati). Eppure non ci sarebbe che l’imbarazzo della scelta, anche soltanto considerando gli indici di misurazione utilizzati dal World Economic Forum o dall’ONU (di cui è appena stato pubblicato il rapporto biennale sull’e-government). O anche quelli previsti per l’Agenda Digitale europea, come la percentuale di utilizzo dei servizi di e-government dalle imprese e dai cittadini, vero riferimento di valutazione dell’efficacia e utilità dei servizi online. Strana scelta, a meno che la spiegazione non sia connessa alla ricerca di indicatori specifici sulle misure della legge delega. Il che sarebbe un grave errore, non soltanto metodologico, ma anche di prospettiva, perché è evidente che nessun risultato può essere raggiunto dalla “sola” legge delega. I risultati si raggiungono grazie all’effetto combinato di azioni che si rifanno ad una strategia organica. Lo ribadisce più volte il rapporto dell’ONU: “Gli sforzi dei Paesi per sviluppare l’e-government è necessario che vadano di pari passo con gli sforzi di incrementare le caratteristiche di usabilità, come la semplicità, la personalizzazione, il monitoraggio e il tracciamento dell’uso, i feedback dell’utente, la promozione dell’uso” e anche “Le politiche per promuovere la parte della domanda e quella dell’offerta devono andare di pari passo”.
E quindi torniamo alla mancanza iniziale, del quadro strategico a cui questa legge delega fa riferimento. Quadro strategico che, naturalmente, coinvolge non solo la PA ma anche cittadini e imprese, la società intera. E la mancanza si fa ancora più notare se leggiamo quanto si riporta nella parte di “Analisi di Impatto della Regolamentazione” che tratta dei vantaggi e degli svantaggi dell’intervento: “L’assenza degli svantaggi è confermata anche dalla possibilità di scelta offerta ai cittadini tra l’utilizzo del sistema telematico di informazione o il mantenimento del precedente sistema qualora il singolo sia sprovvisto di apparecchi idonei al recepimento informatico delle comunicazioni”. Non ci sono, infatti, al momento, interventi finalizzati a far sì che si possa operare un reale switch-off dei servizi. Si guarda, in questo, solo uno dei lati della questione, pur affermando che l’obiettivo è di far sì che tutti i servizi siano erogabili online. Si ha, leggendo la trama dei diversi articoli, la sensazione che sicuramente si vuole dare il segnale forte che gli aspetti connessi all’innovazione tecnologica sono temi a cui “si tiene”. Anche ribadendo concetti già presenti altrove (es. nel CAD), e sottolineando su tantissimi commi che gli interventi devono tenere in conto le opportunità fornite dall’ICT. Il quadro che si raffigura è quello di una PA efficiente, perché “digitalizzata”, con i cittadini sostanzialmente visti come “utenti”, da tenere in considerazione per i feedback, da coinvolgere, ma “utenti”. Una PA che non si trasforma ma che si razionalizza. La PA che avremmo voluto oggi, o forse ieri. Forse non quella di domani.
Telelavoro, smart working, co-working
Allo stesso tempo, il tema del telelavoro, dello smart working e del coworking, pur presente, lo è in modo periferico (come già rilevato), soltanto riferito alla conciliazione del tempo vita lavoro nell’ambito dell’articolo 11, e per di più concepito come “sperimentazione”: non è chiaramente considerato uno dei perni su cui riorganizzare la PA. Tutto ciò “nell’ambito delle risorse di bilancio delle amministrazioni coinvolte”. La scelta di dare evidenza a questi strumenti è fondamentale per l’intero sviluppo digitale del Paese, ed è un’innovazione che siano presenti nella legge, ma l’essere presenti in questo modo rischia di essere una sottovalutazione della potenzialità, e anche dell’ampiezza e della complessità di una introduzione efficace (che pervada l’intero funzionamento organizzativo). Lascia inoltre perplessi il fatto che nessun legame sia evidenziato con l’obbligo già presente dal 2012 (decreto Crescita 2.0) di definire in ogni amministrazione un piano per l’utilizzo del telelavoro, un “telelavoro by default” poco applicato e mai controllato. Questo approccio rischia così di negare a questo tema la valenza di cambiamento profondo, di un nuovo modello di lavoro, con una chiara e necessaria riorganizzazione dei processi e una trasformazione culturale significativa. Cambiamento e trasformazione che non possono realizzarsi contestualmente a costo zero, ma che, come tutti i virtuosi processi di miglioramento, prevedono un iniziale investimento, un break-even e un beneficio economico successivo e duraturo.
Dove intervenire
Sarebbe auspicabile che questa riforma disegnasse la PA di domani, basata sui principi dell’openness e della collaborazione, costruita sui paradigmi dell’Open Government, fase avanzata e matura dell’e-government, come indirizza il rapporto ONU. E quindi, con interventi di sistema che portino la trasparenza ai principi del FOIA, la collaborazione e la partecipazione ad architravi dell’amministrazione, andando oltre la comunicazione e l’interazione, da considerare come elementi minimi non sufficienti.
E di qui si possono identificare i principali cambiamenti che ci piacerebbe vedere nella versione approvata dal Parlamento, oltre quello già citato e relativo al modello di lavoro:
- una strutturazione e degli incentivi per le pratiche di scambio e riuso, così da renderle sistematiche e non eccezionali;
- una chiara policy che spinga alla collaborazione tra le strutture e le amministrazioni in una logica di processo, promuovendo l’incentivazione sulla base del risultato di processo e non del risultato nell’ambito di competenza;
- criteri e indirizzi per legare in modo indissolubile, come sollecitato anche dal rapporto ONU, l’innovazione di servizio con un organico progetto di cambiamento, e quindi con il coinvolgimento dei cittadini accompagnandoli verso la coprogettazione, la coproduzione, l’utilizzo, secondo il principio per cui è a carico dell’amministrazione costruire le condizioni più adeguate per un ampio ed efficace utilizzo dei servizi;
- il passaggio dall’attuale riferimento alla “rilevazione delle competenze” dei lavoratori e alla gestione permanente dei curriculum dei dirigenti ad un chiaro e definito “sistema di gestione delle competenze”, unica possibilità di costruire nel tempo percorsi coerenti di sviluppo.
È indispensabile che questa riforma possa dare i risultati attesi e trasformare nel profondo la PA, verso l’Open Government, con la riduzione drastica del livello di burocrazia, e allo stesso tempo un’attenzione molto forte verso il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza della macchina pubblica. Per farlo, bisogna ripartire dalla chiarezza e dalla completezza del quadro d’insieme, facendo sì che analisi e relazioni di accompagnamento escano dallo stato attuale di meri adempimenti burocratici e diventino documenti di comunicazione chiari, accurati, profondi, utili per i parlamentari, per gli addetti ai lavori e per tutti noi cittadini.