Di metaverso oggi si parla continuamente, a proposito e a sproposito. Il primo ad introdurre il termine metaverso fu Neal Stephenson in “Snow Crash” (un libro che consiglio a tutti)[1]. Ma i semi erano già presenti da tempo.
Poi arrivò Zuckerberg, che addirittura cambiò nome a Facebook per chiamarla Meta, nel tentativo di arginare i primi segni di decadenza del suo impero. Un’azione un po’ disperata e forse mal calcolata, perché il timing è importante in questi casi. Non sto dicendo che il buon Mark abbia preso un abbaglio, ma se voleva una guerra lampo per sbaragliare la concorrenza ha fatto male i suoi conti.
La storia della tecnologia (e non solo) è ricchissima di esempi di visionari che sono arrivati troppo presto e che si sono estinti prima che le loro visioni avessero la concretezza necessaria per diventare un business. E così Meta è crollata in borsa e i post social su Horizon Worlds non hanno raccolto l’entusiasmo atteso, ma piuttosto ironia e talvolta sarcasmo.
Metaverso e teologia
Qualcuno ha commentato i post di Mark dicendo: “è finito dentro la Wii?”, altri paragonando la grafica ai giochi anni ’90. Credo però che i commenti dissacratori, anche se a volte decisamente divertenti, non colgano nel segno. Ciò che Mark ci sta comunicando con questi balzi in avanti è qualcosa di molto più profondo di quanto faccia presumere la faccia da androide del suo avatar (che io trovo abbastanza fedele alla realtà). Perché il mutamento è già qui, in questo Mark ha ragione, ma non è ancora alla portata di tutti. “Già e non ancora”, un’espressione cara alla teologia biblica che Zuckerberg ha esemplificato alla perfezione comunicando, forse a volte in modo maldestro, la sua visione del metaverso. Come vedete Mark non va sottovalutato, anche se nel paradosso del “già e non ancora” Mark si è un po’ impantanato. Vorrei però mostrare che, nonostante le tante evidenze che testimoniano che ancora non ci siamo, sta emergendo un già che non va sottovalutato. Nel seguito vedremo qualche esempio di applicazioni in sanità, uno degli ambiti a mio parere più interessanti.
Metaverso nuova frontiera della Sanità? Approcci e sperimentazioni
Ma andiamo con ordine e partiamo da qualche definizione, perché altrimenti non ci si capisce. Come direbbe Gandalf, per citare il personaggio di un altro creatore di mondi, definiamo il “buongiorno”. Il metaverso non è la realtà virtuale (o aumentata), anche se queste sono tecnologie abilitanti. Il metaverso però non è nemmeno la somma di tutte le tecnologie “trendy” del momento, dall’AI al Digital Twin, dalla VR alla blockchain e chi più ne ha più ne metta, come qualche guru del marketing digitale vuole farci credere. Tra le tante definizioni che ho trovato, a me pare azzeccata quella forse un po’ di parte del Blockchain Council: il metaverso nasce dalla fusione della realtà estesa (realtà virtuale e/o realtà aumentata) con le tecnologie del mondo blockchain per gestire i pagamenti e le proprietà (tramite i Non Fungible Tokens o NFT e le criptovalute). In questo senso è una cosa nuova (Second Life non ha queste caratteristiche) e, anche se potrà inglobare altre tecnologie, le due citate sono quelle caratterizzanti.
Il metaverso game changer in Sanità?
Va anche detto che in questo momento il metaverso è come “burro spalmato su troppo pane”[2], per citare sempre Tolkien. Ci sono tante piattaforme (Horizon World, Sandbox, Decentraland, Hyper Nation…) ma ciascuna rastrella se va bene qualche centinaio di migliaia di utenti (ma spesso appena qualche decina di migliaia). Ricordiamo che il buon vecchio mondo di Second Life (che non è un vero metaverso, secondo la definizione sopra) raduna ancora circa mezzo milione di utenti mensili. Inoltre, nel tentativo di creare mondi che non richiedessero hardware da gaming spinto, sono stati fatti dei compromessi a volte imbarazzanti sulla resa grafica[3].
Tornando alla teologia di Zuckerberg, dato che il “non ancora” è evidente a tutti, esploriamo allora i semi del “già” che comincia a vedersi in sanità. Una panoramica interessante, che mostra come per oltre l’80% degli executives intervistati il metaverso sarà un vero e proprio game changer in sanità, è presentata nel report “Meet me in the metaverse” di Accenture.
Partiamo da alcune applicazioni che non sono di vero e proprio metaverso, per come lo abbiamo definito, ma che sono comunque di estremo interesse. Si tratta di applicazioni didattiche della XR (Extended Reality), ossia della Realtà Virtuale o Aumentata. Vi sono diverse applicazioni dedicate ad esempio allo studio dell’anatomia, come Biodigital Human, Anatomage VR e 3D Organon. Un giro sui video postati sui siti dei produttori o, meglio ancora, una demo reale sono esperienze estremamente interessanti.
Realtà virtuale e diagnostica
Alcuni autori hanno definito come metaverso in sanità l’accesso all’Internet of Medical Things via VR/AR. Non è una definizione in cui mi ritrovi pienamente, ma focalizza il metaverso su qualcosa di “già” concreto e utilizzabile. Oltre all’educazione, vi sono infatti molte applicazioni di VR/AR per navigare ad esempio il mondo della diagnostica per immagini. Il principio è lo stesso delle applicazioni viste per lo studio dell’anatomia: il radiologo o l’anatomo patologo potrebbero navigare in una realtà virtuale o aumentata i risultati di una risonanza, una PET o una biopsia. Rispetto alla navigazione attuale, bidimensionale e per “fette” che vengono percorso lungo un asse, il potenziale è enorme. Tuttavia, questo è un campo ancora molto sperimentale, perché per un radiologo, ad esempio, che passa ore e ore ad analizzare immagini, utilizzare un set di VR o AR crea problemi di ergonomia, nausea (cybersickness), affaticamento al collo.
Il primo ospedale nel metaverso
Se ci spostiamo invece dalla “semplice” realtà virtuale a qualcosa di più simile al metaverso, gli Emirati Arabi hanno annunciato il primo ospedale nel metaverso. Anche Arab Health ha promesso di presentare, nella prossima edizione che si terrà dal 30 gennaio al 2 febbraio 2023 a Dubai, le tecnologie più avanzate per la sanità, incluso l’ospedale nel metaverso. Altri attori che si stanno muovendo in questo contesto sono iMining (su Decentraland), Apollo Hospitals e GOQii. Anche Latus Health ha annunciato un ospedale nel metaverso, che userà la tecnologia blockchain per gestire in modo sicuro i dati sanitari. Questo si avvicina già di più alla definizione di metaverso data all’inizio. Il “meta-ospedale” di Latus sembra sarà focalizzato sulla riabilitazione. Sì, perché ovviamente, come sempre, la tecnologia va calata in un contesto di senso e di valore.
Gli ambiti sanitari in cui metaverso potrà dare il suo contributo
Nel contesto sanitario, ci sono almeno 4 ambiti in cui il metaverso (e non la semplice realtà virtuale) potrebbe dare un contributo concreto:
- Il primo è la riabilitazione. Già durante la pandemia abbiamo sperimentato la teleriabilitazione. Con il metaverso si può fare molto di più in termini di coinvolgimento dei pazienti e di efficacia del percorso riabilitativo, superando anche la monotonia di molte sessioni di riabilitazione.
- Il secondo è il campo della salute e del benessere mentale. Interagire in un contesto “ricreato” e adatto rispetto alla patologia esistente può dare grandi benefici, anche se dal punto di vista scientifico molto resta ancora da esplorare. In questo ambito rientrano anche iniziative relative al benessere mentale, quindi non rivolte a patologie specifiche. Si pensi ad esempio al lavoro di tanti psicologi e al mondo del coaching. Personalmente ho sperimentato la VR durante alcune sessioni di coaching e, pur nella semplicità della realtà virtuale utilizzata, posso garantirne l’efficacia nell’indurre stati mentali funzionali al percorso.
- Telepresenza. Questo è un ambito che potrebbe migliorare la qualità delle visite e delle consultazioni remote, anche se onestamente quello che si sta vedendo ora come metaverso ha un’efficacia inferiore ad una comune videoconferenza. Quindi bisognerà aspettare ancora un po’ prima che questo ambito diventi realmente efficace.
- Collaborazione clinica: questo scenario in parte mutua alcuni aspetti dalla telepresenza, sottolineando però maggiormente la collaborazione tra attori multipli. I casi d’uso possono andare dal semplice consulto multidisciplinare (per cui vale quanto detto per la telepresenza) alla chirurgia collaborativa remotizzata. Si aprono prospettive interessanti che coinvolgono pesantemente anche la robotica di sala operatoria, con tutto quello che questo significa in termini di sicurezza (intesa sia come security che safety).
A fronte di tutto questo “già e non ancora”, per tornare alla teologia di Mark, spesso le opinioni delle persone si polarizzano su due posizioni opposte. La prima è quella dell’entusiasmo acritico, di chi insomma si lascia coinvolgere totalmente dalla tecnologia e da questa rimane abbagliato. La seconda è quella del pessimismo catastrofico, di chi insomma è sicuro che il mondo andrà in rovina e che la tecnologia avrà un ruolo determinante in questo processo di auto distruzione. Io preferisco una terza via, quella che chiamerei del realismo della speranza. Cito due autori a me molto cari. Il primo è Umberto Galimberti che scrive: “«La tecnica non è neutra, perché crea un mondo con determinate caratteristiche che non possiamo evitare di abitare e, abitando, contrarre abitudini che ci trasformano ineluttabilmente. […]. Per questo abitiamo la tecnica irrimediabilmente e senza scelta.”[4]
La tecnologia è un dato di fatto, non ha senso non prenderne atto. Il secondo è Teilhard de Chardin, che introduce il concetto di Noosfera: “Con questa parola voglio indicare “lo strato ‘pensante’ formatosi grazie al diffondersi del gruppo zoologico umano al di sopra (e in discontinuità) della Biosfera.[5]” Il concetto è ripreso da un geochimico russo (V. I. Vernadsky) e sta ad indicare la convergenza dell’umanità verso una sfera di pensiero e di intelligenza collettiva.
Conclusioni
Molti hanno visto nelle tecnologie legate ad internet e, come sua evoluzione, al metaverso la “piattaforma abilitante” di questo nuovo stadio evolutivo dell’umanità. Senza sottovalutare i rischi che sempre ci sono quando si maneggiano strumenti potenti, i primi dei quali riguardano la sicurezza, la gestione dei dati personali e l’accessibilità di questi nuovi mondi, io credo che ci si stia dischiudendo una nuova fase evolutiva. Non ancora sviluppata, ma già presente in potenza. Come in ogni salto evolutivo, le opportunità sono enormi, come anche i rischi. L’uomo del futuro o sarà un essere nuovo, parte di un’intelligenza collettiva rappresentata dalla noosfera e abilitata dalla tecnologia, o non sarà. Speriamo che sia buona la prima!
Note
- N. Stephenson – “Snow Crash” – Ed. Spectra ↑
- Frase pronunciata da Bilbo Baggins a Gran Burrone ne “Il Signore degli Anelli”. ↑
- Qui è interessante quello che Stephenson prevede in Snow Crash: nello stesso metaverso, ci saranno rese grafiche “personalizzate”: chi ha l’hardware avanzato vivrà l’esperienza piena, gli altri un’esperienza degradata. Un po’ come avviene quando i canali di streming settano la risoluzione sulla banda. ↑
- U. Galimberti – Psiche e Techne – Ed. Feltrinelli ↑
- T. De Chardin – “La structure philétique du Groupe Humain” in: “L’apparition de l’Homme” Vol. II ↑