l’analisi

La sfida delle Big Tech al Digital Services Act: chi detta le regole?



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Il Digital Services Act regola la responsabilità dei contenuti online, ma le strategie di grandi piattaforme come Meta e TikTok stanno già sollevando questioni critiche sulla gestione del fact checking e sulla reale efficacia delle nuove norme europee

Pubblicato il 29 apr 2025

Anna Cataleta

Senior Partner di P4I e Senior Advisor presso l’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection (MIP)

Aurelia Losavio

Privacy IT Legal Consultant at P4I



digital services act

Con l’applicazione del Digital Services Act, l’Unione europea ha avviato una nuova fase di regolamentazione della pubblicazione dei contenuti online. Le recenti mosse delle grandi piattaforme social, però, mettono alla prova la reale efficacia e applicabilità di queste regole.

Il Digital Services Act e le sue applicazioni

È passato ormai diverso tempo dall’entrata in vigore del Digital Services Act (Regolamento Ue 2022/2065 relativo a un mercato unico dei servizi digitali) e dalla sua piena applicazione.

La legge sui servizi digitali, la quale disciplina la pubblicazione dei contenuti digitali tramite la definizione di chiari e proporzionati profili di responsabilità per i prestatori di servizi intermediari[1] (ossia i soggetti a cui il Digital Services Act si applica, ai sensi dell’art. 2 del Regolamento stesso) rappresenta un passo importante verso la creazione di un ambiente online più sicuro e controllato.

Tuttavia, tale normativa deve confrontarsi con diverse sfide, prima tra tutte il tentativo di influenti protagonisti del mercato digitale di dettare le loro regole all’interno di tale contesto.

La spinosa questione del fact checking: le ultime novità

Ha destato molto scalpore la notizia del fatto che il CEO di Meta, Mark Zuckerberg, abbia espresso la propria volontà di interrompere il programma di fact checking su Facebook e Instagram negli Stati Uniti, allo scopo di sostituirlo con le “Community Notes”. Le Community Notes sono un sistema con cui si permette agli utenti stessi (i c.d. contributor) della community di aggiungere delle note a contenuti pubblicati su Facebook, Instagram e Threads considerati ambigui o fuorvianti.

Le “notes”, infatti, dovrebbero esplicare meglio tali contenuti e rappresentare, quindi, fonti attendibili. Spetterebbe perciò ad alcuni (e selezionati) utenti di fornire un contesto informativo ai contenuti poco chiari pubblicati online. Più nel dettaglio, queste note saranno pubblicate sulle piattaforme di Meta in forma anonima, avranno una lunghezza massima di 500 caratteri e conterranno un collegamento a supporto delle informazioni fornite[2].

Dunque, dal 18 marzo scorso, negli Stati Uniti è attiva la fase di test della funzionalità di queste notes, ma l’obiettivo (nemmeno troppo velato) di Zuckerberg è quello di estendere questo nuovo strumento a livello mondiale.

È comprensibile, dunque, la preoccupazione di molti addetti ai lavori: infatti, questo nuovo sistema rischia di andare in contrasto con le previsioni del Digital Services Act, il quale cerca di porre un freno alla disinformazione e alla diffusione di contenuti illegali online. Secondo gli esperti, infatti, lasciare agli utenti la possibilità di chiarire da sé delle notizie costituirebbe terreno fertile per la proliferazione ancora più massiva di fake news e disinformazione.

L’indagine della Commissione europea su TikTok

Allo scopo di garantire la tanto auspicata trasparenza online, la Commissione europea, lo scorso novembre, ha inviato a TikTok, azienda designata come piattaforma online di dimensioni molto grandi (Very Large Online Platform o VLOP), una richiesta di informazioni ai sensi della legge sui servizi digitali.

Nel contesto delle elezioni rumene, la Commissione europea ha chiesto a TikTok di fornire maggiori informazioni sulla sua gestione dei rischi di manipolazione delle informazioni. In particolare, la Commissione ha chiesto a TikTok di rendere informazioni dettagliate sul modo in cui ha analizzato e attenuato il rischio di sfruttamento del suo servizio e i rischi derivanti dai propri sistemi di raccomandazione dei contenuti online[3].

Tutto ciò, anche alla luce dei più stringenti obblighi del Digital Services Act nei confronti delle piattaforme online di dimensioni molto grandi e ai motori di ricerca online di dimensioni molto grandi, rispetto a quelli previsti per gli altri prestatori di servizi intermediari.

Inoltre, la Commissione europea ha presentato, lo scorso febbraio, un nuovo pacchetto di strumenti elettorali sulle migliori pratiche relativo alla legge sui servizi digitali. Tale pacchetto riassume i migliori approcci e le migliori pratiche che le autorità nazionali di regolamentazione hanno sperimentato nell’ultimo anno per mitigare i rischi sulle piattaforme online di dimensioni molto grandi (Very Large Online Platforms, VLOPs) e sui motori di ricerca online di dimensioni molto grandi (Very Large Online Search Engines, VLOSEs) durante le elezioni. Tale kit comprende una serie di migliori pratiche che aiutano le autorità di regolamentazione degli Stati membri nel loro lavoro con VLOPs e VLOSEs ad affrontare rischi quali l’incitamento all’odio, le molestie online e la manipolazione dell’opinione pubblica, compresi quelli che coinvolgono contenuti generati dall’intelligenza artificiale e l’impersonificazione[4].

Novità in tema di lotta all’illecito incitamento all’odio online nella legge sui servizi digitali

Anche con riguardo al fenomeno dell’odio online o hate speech sono stati effettuati diversi passi avanti. In proposito, la Commissione europea e il Comitato europeo per i servizi digitali (introdotto dall’art. 61 del DSA) hanno accolto con favore l’integrazione del “Codice di condotta per contrastare l’illecito incitamento all’odio online +” riveduto nel quadro della legge sui servizi digitali, il quale incoraggia codici di condotta volontari per affrontare i rischi online e intende facilitare il rispetto e l’effettiva applicazione della legge sui servizi digitali per quanto riguarda i rischi di diffusione di contenuti illegali.

Il codice di condotta, il quale si basa sul codice di condotta iniziale del 2016 per contrastare l’illecito incitamento all’odio online, è stato firmato da alcuni dei principali attori del mercato digitale: Dailymotion, Facebook, Instagram, Jeuxvideo.com, LinkedIn, Microsoft hosted consumer services, Snapchat, Rakuten Viber, TikTok, Twitch, X e YouTube.

Le piattaforme online designate a norma della legge sui servizi digitali possono, pertanto, aderire al codice di condotta+ per dimostrare la loro conformità all’obbligo della legge sui servizi digitali di attenuare il rischio di diffusione di contenuti illegali sui loro servizi.

Inoltre, la conformità a quanto previsto dal codice di condotta+ sarà uno degli elementi di valutazione effettuato attraverso l’audit indipendente annuale (ex art. 37 DSA) cui tali piattaforme sono soggette nell’ambito della legge sui servizi digitali e che contribuisce a rafforzare la trasparenza e la responsabilità delle piattaforme[5].

Il futuro del Digital Services Act

Il Digital Services Act è un Regolamento destinato ad avere un impatto senza precedenti nell’ambito della circolazione dei contenuti online e le svariate iniziative della Commissione europea volte a dare applicazione alle disposizioni di tale normativa ne sono un esempio lampante.

La notizia della sperimentazione delle Community Notes sui social media di proprietà di Meta (al momento solo negli Stati Uniti) altro non rappresenta che la capacità dei grandi player (come, appunto, Meta e non solo) di imprimere le loro regole nel mercato digitale. È in un contesto del genere che l’Unione europea tenta di imporre il proprio approccio regolatorio storicamente più attento e improntato alla piena tutela dei diritti e le libertà fondamentali dei cittadini.

Note


[1] Ai sensi dell’art. 3 del DSA, per «servizio intermediario» si intende uno dei seguenti servizi della società dell’informazione: i) un servizio di semplice trasporto (cosiddetto «mere conduit»), consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio o nel fornire accesso a una rete di comunicazione; ii) un servizio di memorizzazione temporanea (cosiddetto «caching»), consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite dal destinatario del servizio, che comporta la memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficiente il successivo inoltro delle informazioni ad altri destinatari su loro richiesta; iii) un servizio di memorizzazione di informazioni (cosiddetto «hosting»), consistente nel memorizzare informazioni fornite da un destinatario del servizio su richiesta dello stesso;

[2] C. CRESCENZI, Meta testa le Community Notes, il fact checking fatto dagli utenti, 14 marzo 2025, disponibile al seguente link: https://www.wired.it/article/meta-community-notes/

[3] Commissione europea, La Commissione invia ulteriori richieste di informazioni a TikTok a norma della legge sui servizi digitali, 29 novembre 2024, disponibile al seguente link: https://digital-strategy.ec.europa.eu/it/news/commission-sends-additional-request-information-tiktok-under-digital-services-act

[4] Commissione europea, La Commissione presenta un nuovo pacchetto di strumenti elettorali sulle migliori pratiche relativo alla legge sui servizi digitali, 20 febbraio 2025, disponibile al seguente link: https://digital-strategy.ec.europa.eu/it/news/commission-presents-new-best-practice-election-toolkit-digital-services-act

[5] Commissione europea, La Commissione accoglie con favore l’integrazione del codice di condotta riveduto sulla lotta all’illecito incitamento all’odio online nella legge sui servizi digitali, 20 gennaio 2025, disponibile al seguente link:https://digital-strategy.ec.europa.eu/it/news/commission-welcomes-integration-revised-code-conduct-countering-illegal-hate-speech-online-digital

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