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La strategia del riuso per una nuova PA collaborativa

In tempi di spending review, di riforma della PA, di sharing economy, il tema del riuso, che continua ad essere sottovalutato, può essere il perno di una profonda rivoluzione della PA. Ecco una proposta di incentivazione al riuso basata sui principi dell’economia collaborativa.

Pubblicato il 06 Ott 2014

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Sempre più sta emergendo come il riuso (non solo delle applicazioni software, ma in generale delle buone pratiche) sia uno dei punti fondamentali da considerare per l’attuale strategia di cambiamento della Pubblica Amministrazione, soprattutto rispetto a tre elementi essenziali:

a) perché permette di velocizzare i processi di cambiamento, passando immediatamente dalla definizione del problema all’individuazione e all’attuazione della soluzione (magari con un adattamento parziale), evitando le fasi più critiche, complesse e lunghe della progettazione, dell’implementazione e della sperimentazione;

b) perché permette di ridurre i costi del cambiamento, non solo perché vengono saltate le fasi più onerose, ma anche perché si valorizzano gli investimenti già realizzati da altre amministrazioni;

c) perché facilita il miglioramento della qualità del processo e/o del servizio-prodotto, grazie all’ampliamento dell’uso (e quindi dei feedback che si possono ricevere) e alla generalizzazione su più ambiti, oltre che all’avvio di collaborazioni di coprogettazione tra tutti coloro che utilizzano una stessa soluzione.

Ma questa è solo una parte. Perché dietro le buone pratiche ci sono le competenze di coloro che hanno progettato e realizzato la soluzione che si valuta utile per il riuso. E infatti, valorizzare le esperienze già presenti, significa anche operare in una logica di formazione peer-to-peer tra le amministrazioni (come ad esempio i nascenti “Cantieri Manageriali”). È uno sviluppo di competenze basato sull’esperienza contestualizzata, di accompagnamento alla buona pratica da riusare, ma può essere anche il paradigma di una comunità che si sviluppa su un percorso comune, perché sono comuni gli obiettivi e la missione.

Realizzare tutto questo significa risparmiare mesi e anni preziosi, oltre che miliardi di euro. E significa mettere a sistema il knowledge management nella pubblica amministrazione.

Gli ingredienti per un sistema di knowledge management nella PA

Il knowledge management della PA da solo, però, non si sviluppa. Occorrono tre ingredienti fondamentali, come hanno sperimentato le organizzazioni che hanno cercato di realizzarlo al proprio interno:

a) un processo che definisca le regole attraverso cui una buona pratica, una soluzione, un’esperienza può essere candidabile al riuso e riusata, e le competenze “trasmesse”;

b) un’organizzazione che presidi il processo, in modo da assicurare anche che il suo miglioramento continuo favorisca una sempre maggiore valorizzazione e quindi anche la concretizzazione degli obiettivi di efficienza e di efficacia per cui è definito;

c) un sistema di incentivazione che renda attraente per le amministrazioni favorire il riuso e trasmettere le competenze acquisite.

Quest’ultimo elemento è fondamentale e critico soprattutto per la PA, perché alla fine, in presenza di tutte le condizioni tecniche, è la motivazione che rende possibile il knowledge management. Motivazione che deve passare non solo da una generica attestazione di merito, ma da un guadagno effettivo che renda conveniente accompagnare le altre amministrazioni verso il miglioramento.

Il sostanziale fallimento del riuso software tra le PA, a dispetto di una normativa ultradecennale, che lo prevede e lo raccomanda, è nei fatti: sono pochi i casi di convenzione tra amministrazioni, esiguo il numero di elementi presenti nel catalogo nazionale gestito dall’AgID e dichiarato un successo nazionale di riuso un’applicazione regionale riutilizzata da dieci regioni. Questo deve, infatti, spingere a definire le condizioni per un rapido e sostanziale cambiamento, considerando anche che il trasferimento di conoscenze e competenze associato al riuso di applicazioni e in generale di buone pratiche (anche organizzative) deve essere un obiettivo da perseguire strategicamente, e non un risultato “opzionale”.

Alcuni cambiamenti potrebbero favorire lo sviluppo del riuso (di software e buone pratiche) e del trasferimento di competenze:

  • stabilire l’obbligatorietà della licenza open source e, nel caso di buone pratiche, Creative Commons, a meno di ragioni specifiche già previste (es. sicurezza nazionale), facendo sì che nei contratti con i fornitori sia sempre prevista una clausola in tal senso;
  • realizzare la trasformazione da catalogo delle applicazioni riusabili a sistema di gestione delle risorse riusabili, inserendo anche servizi e documenti.

È da valutare anche la proposta presentata su lavoce.info (che prevede anche una sorta di “supervisione” da parte di chi trasmette competenze/soluzioni) secondo cui l’incentivo potrebbe essere dimensionato rispetto ai risparmi e alle efficienze in generale che il riuso riesce a produrre, sulla base di punti di riferimento contrattualmente definiti. Questo è più semplice nel caso di riuso di applicazioni, meno nel caso di trasferimento di competenze e di avvio contestuale di un progetto di miglioramento, perché l’incentivo naturalmente deve essere commisurato al dimensionamento del contributo.

Una proposta per incentivare al riuso e alla condivisione

Una proposta più ampia e organica per il sistema di incentivazione è, invece, quella di seguire (adattandolo) lo schema dei “rapporti tra pari” dell’economia collaborativa, che distingue tra quattro aspetti della collaborazione: “la condivisione quando si accede a una risorsa in maniera temporanea e la piattaforma non prevede transazioni in denaro; l’affitto, quando si accede a una risorsa in maniera temporanea e la transazione è mediata dal denaro; lo scambio, quando si baratta una risorsa in cambio di un’altra senza intermediazione di denaro, anche se lo scambio viene mediato da monete alternative (tempo, crediti) [..]; la vendita se quel che si cede in maniera permanente è un oggetto usato [..]”. Declinando questo schema nelle logiche dell’amministrazione, si potrebbero configurare due schemi base di rapporti basato sul repository delle risorse:

a) la condivisione non assistita o il “riuso autonomo”, in cui le amministrazioni attingono e utilizzano (senza nessun supporto) gratuitamente le risorse inserite nel repository comune, con l’unico obbligo del feedback sull’utilizzo. Per spingere questa forma di collaborazione, si potrebbe pensare ad un sistema premiante associato ad un fondo annuale di premialità che viene ripartito sulla base della quantità delle condivisioni delle risorse del repository e della valutazione conseguente ai feedback;

b) la condivisione assistita o il “riuso supportato”, in cui le amministrazioni utilizzano, per velocizzare il raggiungimento di un riuso efficace, anche dei servizi messi a disposizione dall’amministrazione (o dalla rete di amministrazioni) “proprietaria” della risorsa (come servizi di assistenza, formazione, ma anche per recepire e considerare nell’evoluzione della risorsa richieste specifiche). Per spingere questa forma di collaborazione, oltre quanto previsto per il “riuso autonomo”, si potrebbe pensare ad un sistema di crediti che abiliti e favorisca forme di scambio, crediti che solo a fine anno siano valorizzati economicamente, per esigenze di bilancio.

Un’attenzione particolare (favorita dalla premialità) potrebbe essere rivolta, infine, alle risorse realizzate da una rete di amministrazioni, in cui il concetto di comunità e di collaborazione diventa fondamento di maggiore efficacia e minori spese.

In questo senso il riuso può essere un elemento di profonda trasformazione della PA, incidendo sulla cultura e sul funzionamento organizzativo, oltre che sul fronte della spesa (che è da trattare come elemento derivato e non primario), valorizzando i processi di collaborazione e knowledge management, componenti essenziali di una nuova cultura di management pubblico. È questo che intendo quando enfatizzo il valore strategico del tema del riuso, identificando e favorendo metodologie di program management da adottare nella predisposizione dei contratti da parte delle amministrazioni, definendo processi che consentano di intervenire a monte per costruire le migliori condizioni sul fronte del costo, dell’efficacia e della qualità, e quindi un sistema di gestione del repository delle risorse delle amministrazioni.

Anche qui, è necessario lasciarsi alle spalle il tempo delle sperimentazioni e mettere a sistema una nuova amministrazione. Aperta, collaborativa.

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