Transizione digitale, trasformazione digitale, strategia digitale, decade del digitale, agenda digitale: non è uniforme il modo in cui l’Ue nomina all’interno dei suoi atti ufficiali la spinta che vuole imprimere alle politiche per l’economia digitale.
Sta diventando riconoscibile però un quadro di sistema multidisciplinare dove gli aspetti d’innovazione tecnologica vanno di pari passo con un’incrementata attenzione sulle interazioni con gli aspetti sociali, su benefici e preoccupazioni per i potenziali impatti negativi – sul mercato del lavoro e sulla salute, sulle diseguaglianze, sull’influenza che gli strumenti digitali determinano sulla libertà d’espressione e la democrazia, sugli impatti ambientali con l’aumento della domanda di materie prime critiche e il consumo d’energia, sull’equità fiscale.
I valori Ue, carta vincente nel processo d’innovazione
Si è già avviato un percorso di normazione europea, che intende correggere e prevenire gli scompensi sociali ed economici che una digitalizzazione non governata nell’interesse pubblico ha già prodotto e può continuare a produrre anche in futuro, soprattutto se la diffusione di nuove tecnologie avviene in maniera rapida e incontrollata.
Lo stesso World Economic Forum nel Global Risks Report 2021, pubblicato a gennaio, mette in guardia sul fatto che le risposte di governance continuano a essere superate dalla velocità della digitalizzazione. I governi devono restringere il vuoto normativo ampliato dalle nuove risorse digitali e dalla crescente influenza della tecnologia sulle interazioni con gli esseri umani – o dai rischi derivanti dai beni pubblici digitali concentrati nelle mani di attori privati.
La digitalizzazione resta comunque il mezzo con cui affrontare le sfide sociali e ambientali del nostro tempo, in cui investire per poter essere competitivi in un mercato mondiale che vede l’UE attualmente in svantaggio rispetto ad altri paesi. La via europea per l’economia digitale può divenire competitiva, integrando i propri valori nei processi d’innovazione.
Ancora recentemente, la Commissione europea ha precisato la sua posizione nella COM(2021) 118 final del 9 marzo 2021, dove aggiornando il suo programma con la bussola per il decennio del digitale 2021-2030, indica che i principi del digitale europeo sono radicati nei propri trattati e come tali devono rispettare i diritti fondamentali e i suoi valori fondativi. Entro il 2021 propone l’adozione di una dichiarazione solenne sui principi europei per il digitale da sottoscrivere in un atto interistituzionale tra Consiglio-Parlamento-Commissione.
Trasformazione digitale e crescita sostenibile
Il COVID-19 sta dando prova di come la resilienza sociale ed economica sia supportata dalla disponibilità di strumenti digitali e come ciò stia imprimendo un’accelerazione nell’uso delle tecnologie digitali assolutamente impensabile prima della pandemia. Un’ondata d’innovazione che verosimilmente non si fermerà con la pandemia. E che, possibilmente con maggior capacità di visione strategica, sta per essere integrata dall’UE e dall’Italia nei programmi di ripresa economica. L’UE dedica infatti almeno il 20% delle proprie risorse al dispositivo di ripresa e resilienza, parte sostanziale del fondo NextGenerationEU, che si deve tradurre in azioni nei nostri piani.
Le linee guida europee per l’elaborazione dei PNRR indicano il riferimento del quadro strategico definito dalla Commissione europea nelle sue linee d’azione generali già precedentemente con la COM(2020) 76 final del 20 febbraio 2020 “Plasmare il futuro digitale dell’Europa”, accolto anche dal Consiglio dell’UE nella seduta del 9 giugno 2020, e i cui temi sono stati già oggetto di diverse risoluzioni del Parlamento europeo.
Nel pacchetto di misure adottato dalla Commissione il 20 febbraio 2020, fondamentale è anche il libro bianco sull’Intelligenza Artificiale (IA), che integra gli orientamenti etici per una IA affidabile pubblicati nell’aprile 2019 dal Gruppo indipendente di esperti ad alto livello sull’IA, e la strategia europea per i dati, quale vera risorsa primaria dell’economia digitale.
Tutte queste misure discendono dal terzo dei sei punti del programma politico della Presidente Ursula von der Leyen “un’Europa pronta per l’era digitale“, seguendo al primo punto il “Green deal europeo” e al secondo “un economia che lavora per le persone”. Si ricollega come strumentale ai primi due punti ed è trasversale, comunque, a tutto il programma. Non parte da zero, ma anzi valorizza e aggiorna quanto già sviluppato dalle precedenti Commissioni Juncker, Barroso, e ancor prima.
Fondamentale novità per il nuovo corso delle politiche UE avviato con la presidenza von der Leyen, è che la guida delle scelte delle politiche UE viene dichiaratamente identificata nell’Agenda ONU 2030 e nei suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Un cambio di passo che implica anche per i processi di sviluppo dell’ICT la necessità di rispondere al quadro dell’Agenda 2030, definendo obiettivi e strategie indirizzati a soddisfare il quadro dei bisogni sociali, in un sistema di coerenze che richiede verifiche e attività costanti di monitoraggio.
In sintesi, nella scelta di campo dello sviluppo sostenibile, l’innovazione tecnologica non può rappresentare una variabile indipendente, né può essergli concesso un autonomo ruolo guida, deve al contrario integrarsi nel quadro degli strumenti a nostra disposizione per rispondere alle sfide sociali e ambientali del nostro tempo, che rappresentano di fatto lo scopo dell’innovazione tecnologica e digitale e dell’economia nel suo complesso.
In parole semplici, per sapere se la nostra transizione digitale può fare bene o fare male nell’interesse dei diritti umani sulla dimensione intra-generazionale e inter-generazionale, lo dobbiamo misurare con valutazioni ex-ante ed ex-post rispetto ai 169 target dell’Agenda 2030 e ai sui indicatori.
Coerentemente, la stessa trasformazione digitale inclusa nel dispositivo di ripresa e resilienza, e dunque nel nostro PNRR, deve dimostrare la propria coerenza con il principio “non nuocere” all’ambiente, i cui orientamenti vengono normati dalla Commissione con la C(2021) 1054 final del 12 febbraio 2021, con riferimento ai criteri generali stabiliti dal Regolamento UE 2020/852 sulla tassonomia per gl’investimenti sostenibili.
Per gli aspetti sociali il Regolamento UE per la disciplina del PNRR non indica ancora un sistema di verifica strutturato, ma gli obiettivi sono ben chiari: le scelte assunte per le transizioni verde e digitale devono dimostrare coerenza con il pilastro europeo dei diritti sociali, attuare riforme basate sulla solidarietà, l’integrazione, la giustizia sociale e un’equa distribuzione della ricchezza, tutelare i gruppi vulnerabili, affinché le economie degli Stati membri si riprendano, senza lasciare nessuno indietro.
Il piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-2027
In questo contesto è centrale il cosiddetto tema del digital divide e della necessità di attuare il piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-2027 adottato dalla Commissione il 30 settembre 2020 con la COM(2020) 624 final del 30 settembre 2020, garantendo un’accessibilità universale a servizi formativi, poiché nella prospettiva di una società che si avvale sempre più di servizi digitali, è necessario che tutti i cittadini acquisiscano adeguate competenze sia come utenti, che come soggetti attivi del sistema sociale ed economico.
Il Piano d’azione della Commissione fissa un target preciso: garantire che entro il 2025 il 70% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possieda almeno le competenze digitali di base. Specificando che nei contenuti della formazione è importante sensibilizzare le persone di tutte le età in merito all’impatto della tecnologia digitale sul benessere e al funzionamento dei sistemi tecnologici. Ciò è fondamentale per comprendere i rischi e le opportunità della tecnologia digitale e per incoraggiarne un uso sano, sicuro e costruttivo. Il sovraccarico di informazioni e la mancanza di metodi efficaci per verificarle rendono ancora più necessario che le persone siano in grado di affrontare, valutare e filtrare le informazioni in modo critico e di resistere alle manipolazioni. L’istruzione e le competenze digitali dovrebbero tenere conto anche degli impatti ambientali e climatici dello sviluppo e dell’uso di apparecchiature e servizi digitali.
Il pilastro europeo dei diritti sociali riconosce il diritto ai servizi ICT: ogni persona ha il diritto di accedere a servizi essenziali di qualità, compresi l’acqua, i servizi igienico-sanitari, l’energia, i trasporti, i servizi finanziari e le comunicazioni digitali. Per le persone in stato di bisogno è disponibile un sostegno per l’accesso a tali servizi.
La Commissione evidenzia comunque proprio nel piano d’istruzione digitale che per poter cogliere i benefici della transizione digitale, oltre all’universalità all’accesso, sono necessarie capacità di controllo umano e capacità critiche, che vanno ben oltre la disponibilità materiale degli strumenti hardware e software e la capacità tecnica di utilizzarli.
Così come mettere al cuore della transizione digitale le opere infrastrutturali per le reti ad alta velocità, per il 5G e in prospettiva il 6G, la produzione di computer quantistici, vuol dire oggi agire con un’ottica ancora limitata. La complessità in gioco è molto più ampia.
DSA, DMA e contrasto alla disinformazione online
Le legge europea sui servizi digitali e la legge europea sui mercati digitali presentate dalla Commissione europea in parallelo il 15 dicembre 2020 rispondono a diverse delle nuove sfide della transizione digitale. La sintesi degli obiettivi delle due proposte è contenuta nella dichiarazione di Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione: le due proposte hanno un unico scopo: garantire che noi, in quanto utenti, abbiamo accesso a una scelta di prodotti e servizi online ampia e sicura. E che le imprese che operano in Europa possono competere liberamente e in modo equo online proprio come fanno offline. Questo è un unico mondo. Dovremmo essere in grado di fare la spesa in sicurezza e avere fiducia nelle notizie che leggiamo. Le norme contenute in questi regolamenti si applicheranno a tutti i Paesi dell’UE una volta discusse ed approvate dal Parlamento e dal Consiglio europeo, senza necessità di un passaggio di recepimento nazionale come avviene per le direttive europee. É importante, dunque, che economia ed istituzioni si attrezzino per tempo a rispondere ai contenuti, per potersene avvalere come opportunità.
Sul tema zona scura (dark-side) della digitalizzazione, si pronuncia e insiste direttamente anche la Presidente Ursula von der Leyen al World Economic forum di Davos nel discorso del 26 gennaio 2021: il modello di business delle piattaforme online ha un impatto – e non solo sulla concorrenza libera e leale, ma anche sulle nostre democrazie, sulla nostra sicurezza e sulla qualità delle nostre informazioni. Ecco perché abbiamo bisogno di contenere questo immenso potere delle grandi aziende digitali. Perché vogliamo che i valori che amiamo nel mondo offline siano rispettati online. Questo significa che ciò che è illegale offline dovrebbe essere illegale anche online. E vogliamo che le piattaforme siano trasparenti su come i loro algoritmi funzionano. Perché non possiamo accettare che decisioni che hanno un impatto di vasta portata sulla nostra democrazia, siano prese dai soli programmi per computer.
La von der Leyen richiama di fatto anche le posizioni appena assunte dalla Commissione nel piano d’azione per la democrazia europea adottato con la COM(2020) 790 final del 3 dicembre 2020, per il contrasto alla disinformazione strutturata con tattiche di manipolazione dei cittadini attraverso le piattaforme online, alimentata anche da attori stranieri quali la Russia e la Cina. Sullo stesso tema già il Parlamento europeo aveva espresso indirizzi con la risoluzione per il rafforzamento della libertà dei media, della protezione dei giornalisti in Europa, del contrasto dell’incitamento all’odio, della disinformazione e del ruolo delle piattaforme del 25 novembre 2020, sottolineando come la profilazione politica, la disinformazione e la manipolazione delle informazioni rappresentino una minaccia per i valori democratici dell’UE, esprimendo preoccupazione di fronte al continuo emergere di prove di ingerenze, con indizi relativi all’influenza estera, nel periodo precedente a tutte le principali elezioni nazionali ed europee, ingerenze che in gran parte dei casi favoriscono candidati antieuropeisti e populisti.
E in questo contesto evidenzia anche con preoccupazione gli alti rischi sociali della disinformazione e del sensazionalismo diffuso dai media sul COVID-19, le campagne di disinformazione e le teorie di cospirazione volte a screditare l’UE e a fuorviare il pubblico in merito ai suoi obiettivi e alle sue attività.
Garantire una posizione di leadership per l’UE nel commercio digitale
Il tema digitale è centrale anche nel multilateralismo e negli accordi commerciali. La posizione della Commissione è espressa nel citato nuovo programma per il decennio digitale come già anche nella COM(2021)66 final del 18 febbraio 2021 sulla politica commerciale. In sintesi, propone che la transizione digitale sia integrata nel commercio e nei servizi, attraverso un approccio aperto e assertivo con essenziali regole di protezione dei dati, ed in generale nel rispetto dei valori e degli interessi dell’UE. L’obiettivo dichiarato è di garantire una posizione di leadership per l’UE nel commercio digitale e nel settore della tecnologia, soprattutto promuovendo l’innovazione e aprendo la strada all’introduzione di standard digitali con un’approccio incentrato sull’umano.
Nel programma “plasmare il futuro digitale dell’Europa” rientra, tra le politiche del lavoro, l’istituzione del “diritto alla disconnessione”. Il tema è stato accolto e sviluppato dal Parlamento europeo nella risoluzione del 21 gennaio 2021 in cui viene proposta l’adozione di una nuova direttiva UE, potenzialmente destinata a divenire centrale nell’attuale processo di transizione digitale, enunciando il principio che la transizione digitale dovrebbe essere guidata dal rispetto dei diritti umani, nonché dei diritti e dei valori fondamentali dell’Unione e avere un impatto positivo sui lavoratori e sulle condizioni di lavoro.
Nelle premesse il Parlamento valuta che la digitalizzazione e l’utilizzo adeguato degli strumenti digitali hanno portato numerosi vantaggi e benefici economici e sociali ai datori di lavoro e ai lavoratori, quali una flessibilità e un’autonomia maggiori, la possibilità di migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata e la riduzione dei tempi di spostamento, ma che hanno causato anche degli svantaggi comportanti sfide etiche, legali e connesse all’occupazione, quali l’intensificazione del lavoro e l’estensione dell’orario di lavoro, rendendo così meno netti i confini tra attività lavorativa e vita privata. Hanno inciso così negativamente sulla loro salute e sicurezza, sulla loro libertà e qualità di vita: l’utilizzo di strumenti digitali per periodi prolungati potrebbe determinare una riduzione della concentrazione e un sovraccarico cognitivo ed emotivo; operazioni monotone e ripetitive e una postura statica per lunghi periodi di tempo possono causare tensioni muscolari e disturbi muscolo-scheletrici; l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato la radiazione a radio frequenza come una possibile causa di effetti cancerogeni; le donne incinte possono essere particolarmente a rischio in caso di esposizione a radiazioni a radio frequenza. La proposta di direttiva è presentata con l’invito alla Commissione ad avviare una consultazione con Stati membri e parti sociali, prendendo al contempo anche in considerazione l’accordo quadro delle parti sociali europee sulla digitalizzazione adottato nel giugno 2020, già inclusivo di disposizioni sulla connessione e sulla disconnessione.
Il tema della parità di genere
Non affatto secondario è il tema della parità di genere nell’economia digitale. Evidenziamo che il regolamento PNRR chiede una dimostrazione di come la parità di genere viene tenuta in conto nella trasversalità degli investimenti proposti.
L’UE integra il tema nella COM(2020) 152 final, Un’Unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025, e il Parlamento europeo lo sviluppa ancora nella più recente risoluzione del 21 gennaio 2021 sull’eliminazione del divario digitale di genere: la partecipazione delle donne all’economia digitale che sviluppa raccomandazioni alla Commissione e agli Stati membri per allineare le misure volte a promuovere la transizione digitale con gli obiettivi dell’Unione in materia di parità di genere, affrontando i temi della formazione, dell’occupazione e dell’imprenditorialità, del ruolo dei settori culturali-audiovisivo-media per l’eliminazione dei pregiudizi di genere, della violenza informatica.
Così come tutte le strategie adottate dalla Commissione negli scorsi mesi sul tema Un’unione dell’uguaglianza, e segnatamente su LGBTIQ, razzismo, integrazione e inclusione, ROM – affrontano anche i temi dell’accesso e dell’utilizzo di servizi digitali e della discriminazione veicolata attraverso le ICT, formulando proposte di policy.
La transizione digitale è indubbiamente strumento irrinunciabile per accelerare le politiche ambientali del Green deal europeo utilizzando al meglio le indicazioni della strategia europea sui dati, per il monitoraggio, il controllo, l’integrazione intelligente del sistema energetico, per la mobilità sostenibile, per le simulazioni di scenari futuri con l’ausilio dell’IA. In proposito, diffusamente negli atti di pianificazione si richiama l’opportunità di costruire dei digital twin territoriali. La Commissione, con “Destination Earth”, sta avviando un’iniziativa volta a sviluppare un modello digitale ad alta precisione della Terra (dunque un “gemello digitale della Terra”) che migliorerebbe le capacità di previsione e gestione delle crisi ambientali in Europa.
Nondimeno, sotto il profilo ambientale vanno valutati tutti gl’impatti degl’investimenti in tecnologie digitali, come anche richiede il Regolamento UE per i PNRR e la verifica del rispetto del principio non nuocere all’ambiente.
L’impatto ambientale della transizione digitale
Un tema centrale sull’impatto ambientale della transizione digitale nel suo complesso è la maggiore domanda di risorse per la fabbricazione del materiale hardware che in particolare la stessa richiederà, con riferimento particolare alle cosiddette materie prime critiche di cui l’Europa è fortemente dipendente dalle importazioni. Questo tema viene affrontato dalla Commissione europea nella COM(2020) 474 final, Resilienza delle materie prime critiche: tracciare un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità. Le soluzioni per contenere un aumento della domanda e contenere i rischi di approvvigionamento, che attengono a rischi geo-politici oltre agli impatti ambientali e sociali – dall’estrazione alla trasformazione delle risorse , prevedono chiaramente un’applicazione rigorosa dei criteri dell’economia circolare.
Su questo profilo, il tema è anche affrontato dal Parlamento europeo nella recente risoluzione “Verso un mercato unico più sostenibile per le imprese e i consumatori” del 25 novembre, in cui chiede l’istituzione del “diritto alla riparazione”, indicando una serie di misure che riguardano in particolare il consumo di beni e servizi digitali, presentando proposte anche per ovviare anche all’obsolescenza programmata dei software – che implica di fatto dismissione e consumo di nuovo hardware. Il Parlamento richiama diversi studi recenti e indagini sui cittadini europei (quali lo studio comportamentale pubblicato nel 2018 dalla Commissione europea) che testimoniamo un netto orientamento della maggior parte dei consumatori a impegnarsi per la realizzazione di un’economia circolare e una preferenza, ad esempio, per il possesso di dispositivi durevoli e riparabili. Una domanda non però ad oggi soddisfatta da un’adeguata offerta di mercato.
Infine, per il consumo di energia, la Commissione europea ha indicato l’obiettivo entro il 2030 di realizzare dei centri dati a impatto climatico zero, prevedendo di richiedere misure di trasparenza per gli operatori delle telecomunicazioni in merito alla loro impronta ambientale.
A tale scopo, a novembre 2020 è stato pubblicato il rapporto Energy-efficient Cloud Computing Technologies and Policies for an Eco-friendly Cloud Market. Lo studio indica che al 2018 i data centers hanno rappresentato il 2,7% della domanda di energia elettrica dell’UE in aumento del 35% dal 2010, e che nel 2025 la domanda aumenterà in previsione di un’ulteriore 21%. La domanda di servizi cloud si prevede aumenterà ulteriormente al 2030, ma se saranno messe in pratica tutte le potenzialità tecniche disponibili, al 2030 i consumi potranno tornare ai livelli del 2010. Lo studio include una serie articolata di proposte di policy che illustrano le misure da intraprendere, dalle campagne d’informazione per il pubblico in generale, per le aziende e per la politica, alla misurazione dell’impronta di carbonio dei servizi cloud e alla visualizzazione di smart meter virtuali per gli utenti, a linee guida destinate alle aziende per la gestione di servizi cloud ad alta efficienza energetica, ai codici di condotta, alle etichette eco-cloud, alle possibili integrazioni con la Direttiva per l’eco-design e la definizione di standard minimi di efficienza.