“Anche se mentite a voi stessi, Google potrebbe conoscere ugualmente la verità”. Questa frase si trova nel libro di Seth Stephens-Davidowitz intitolato “La macchina della verità. Come Google e i Big Data ci mostrano chi siamo veramente”.
Non è importante concentrarsi sulla sensazione di inquietudine che si avverte nell’arrivare all’ultima parola ma, piuttosto, è necessario soffermarsi sul sottotitolo di questo testo per capire come la tecnologia sia entrata a pieno titolo nel secolare percorso di ricerca della verità, interessando la nostra società nel suo complesso e inglobando antiche definizioni di questo concetto.
La tecnologia non è il male, ma riflettere sui suoi effetti è urgente: ecco perché
Il potere che abbiamo affidato alla tecnologia
In maniera sempre più evidente e radicale, si è innestata nel seno della nostra società l’idea che si possa accedere alla vera natura delle cose esclusivamente o principalmente per mezzo della strumentazione tecnica. Ciò accade perché viviamo un nuovo paradigma veritativo in cui l’apparato tecnologico non è più solo uno strumento a nostra disposizione, non si offre a noi come la scelta di un singolo ma come un mondo in cui già siamo immersi. Chiediamo a questi strumenti di giudicare in nostra vece, di scegliere chi assumere, di svelare al di là delle apparenze la realtà dei fenomeni, di mostrarci la vera natura delle cose. Significa che la tecnica contribuisce in maniera inedita e straordinariamente determinante alla definizione di caratteri essenziali della nostra società, al punto da presentarsi come ciò che enuncia il vero al di là di ogni nostro ragionevole dubbio. Questo è confermato dal sottotitolo del testo cui precedentemente si faceva riferimento: “Google e i Big Data ci mostrano chi siamo veramente” quindi sono in grado di togliere il velo delle apparenze non solo dalla realtà, ma da noi stessi.
L’aletheia algoritmica
Nel testo Critica della ragione artificiale, questo fenomeno è definito dal pensatore Éric Sadin “aletheia algoritmica”. L’aletheia algoritmica si esprime nella capacità di alcuni strumenti tecnologici, caratterizzati dalle modalità di calcolo algoritmico, di mostrarci il reale in maniera estremamente precisa. In sostanza riconosciamo a queste tecnologie il potere di enunciare ciò che è al di là delle illusioni e dei nostri sensi.
Il riconoscimento di questo potere indica un mutamento essenziale in seno alla nostra società e alla nostra cultura, il quale investe necessariamente anche il nostro modo di vivere quotidiano. Si pensi alla drammatica guerra in Ucraina e alla necessità di disporre di informazioni affidabili e verificate. In realtà, esistono applicazioni, strumenti e dispositivi di intelligenza artificiale in grado di verificare la veridicità delle informazioni, in modo tale da riconoscere la provenienza di un video, di un’immagine o un altro genere di file.
Il contrasto alle distorsioni da cui è afflitto il sistema dell’informazione
È interessante riflettere sul fatto che l’Università Luiss Guido Carli abbia istituito un Centro di eccellenza denominato Aletheia. Stando alla stessa presentazione fornita dall’università, Aletheia: “promuove ricerche multidisciplinari, sperimentali che coniugano l’analisi classica della narrativa sociale e politica ai nuovi strumenti cognitivi, Big Data, Intelligenza Artificiale, Blockchain”. Tra gli obiettivi del centro vi è il contrasto alle distorsioni da cui è afflitto il sistema dell’informazione, anche attraverso un lavoro sui social media e sui media tradizionali, con un interesse specifico per le fake news. Per svolgere queste attività, Aletheia fa ricorso ad algoritmi di IA e Machine Learning. Ma la cosa che più colpisce di questa descrizione è che ha una funzione a dir poco rilevante ovvero Aletheia “difende la verità”. Tale scopo è ritenuto accessibile proprio grazie al ricorso a questi strumenti tecnici, sebbene coniugati con metodologie afferenti alla ricerca delle scienze sociali. Questo interessante Data Lab ci permette di comprendere quanto questa idea sia interiorizzata all’interno della nostra società e, in un certo senso, come si stia istituzionalizzando, rendendo di fatto il cambiamento una realtà consolidata.
Il noto fenomeno delle fake news che anima da anni il nostro dibattito pubblico – ancor prima di pandemia e guerra in Ucraina – impone di fatto un concetto di verità cui fare riferimento, un termine di confronto per riconoscere il falso. In tal senso, dispositivi di intelligenza artificiale, big data e quant’altro possono svolgere la funzione di verificare la corrispondenza così da rivelarci il vero anzi, mirano e si promettono di farlo anche ben meglio di molti sondaggi fatti con zelo e professionalità. Naturalmente ciò dipende anche dalla disponibilità di dati e di informazioni a cui tali strumenti possono fare ricorso, impensabili e indisponibili per qualsiasi ente di analisi statistica ed inimmaginabili prima dell’avvento di queste tecnologie.
Tecnologie e ricerca della verità
L’antica ricerca della verità è giunta priva di risultati ma identica negli sforzi e negli intenti fin dal Novecento, lo stesso Popper infatti affermava che: “la nostra preoccupazione principale nella filosofia e nella scienza deve essere la ricerca della verità”. La tecnologia sembra essere giunta dove secoli di riflessioni si erano arrestati, dove l’ultima parola era definire la verità come una chimera. L’aspetto essenziale da cogliere è che questo ricorso alla verità algoritmica avviene quotidianamente, proprio grazie a questa sua generalità, multiformità e adattabilità. Ne abbiamo testimonianza nella giornaliera ricerca di informazioni sui motori di ricerca che di fatto risultano le principali fonti attraverso cui oggi possiamo conoscere il mondo.
Ma come rapportarci a questo mutamento che è già fondamento della nostra realtà? Sulla scia di una lunga tradizione di grandi antropologi, Bernard Stiegler afferma che l’identità umana è costituita dalle tecnologie che è in grado di creare. Questo significa che nel trasferire in oggetti le nostre facoltà noi contribuiamo a costruire la nostra identità, ci completiamo. Tale idea ci permette di comprendere perché la cosiddetta società dell’informazione, e della tecnica, abbia avuto bisogno di un nuovo concetto di verità che fosse adeguato e funzionale ai nostri bisogni attuali.
Conclusioni
L’esito non dipende dalla natura della tecnica ma dalla capacità che, come società, saremo in grado di esprimere nel non delegare del tutto il nostro giudizio alla tecnologia della verità. Si tratta di un compito arduo perché dinnanzi a ciò che si pone come vero, certo e oggettivo, appare difficile giudicare diversamente. Insomma, di fronte alla verità si è immobili e si segue ciò che si manifesta come vero. Però le scelte sono cosa ben diversa dalle deduzioni e la conoscenza si distingue profondamente dall’informazione o dal nudo dato. A tale riguardo, bisogna ricordare che qui è in gioco il sottile equilibrio tra dipendenza e padronanza. L’obiettivo comune deve essere quello di disporre di una grande opportunità in maniera virtuosa per la formazione della nostra identità e per migliorare la nostra esistenza come individui e come comunità, grazie alle possibilità offerte dalla tecnica. Per fare questo, il primo passo è prendere coscienza di questa verità.