La rete, fenomeno globale (universale?) per definizione si lascia difficilmente inquadrare in una prospettiva locale. Eppure conosciamo molteplici fenomeni di appropriazione culturale che hanno plasmato i comportamenti in rete in base agli stili di vita e ai valori dominanti dei diversi pianeti.
Naturalmente questo è avvenuto anche in Italia e a più di due decenni dalla sua diffusione possiamo finalmente osservarne alcune costanti.
C’è una via italiana alla rete e questa via ha senz’altro a che fare ih primo luogo con la grande vocazione alla comunicazione interpersonale e alla socializzazione che sta alla base di alcuni primati quali la nascita della telefonia mobile e l’adesione in massa ai social network.
C’e’ anche da segnalare un primato, forse meno nobile, della dimensione ludica rispetto a quella critica e di approfondimento, che sta alla base di un ritardo sia sul fronte della domanda che dell’offerta nell’affermazione dei servizi di pubblica utilità e a sfondo sociale.
Ma quello che mi è capitato di scoprire è un fenomeno italiano che ancora non sono riuscita a rinvenire in altri paesi, in assenza di studi scientifici e casistiche pubblicate.
L’entusiasmo per la rete, e quindi non solo il suo utilizzo ma anche l’identificazione ideologica con essa, ha attraversato la società per concentrarsi su segmenti fortemente caratterizzati dal punto di vista socioculturale.
Se inizialmente la rete attraeva i soggetti più istruiti e soprattutto più aperti al sociale, più vicini nel nostro scenario socioculturale alle dimensioni dell’apertura, del networking, dell’attenzione agli altri, dei diritti civili, oggi il suo picco si ritrova in profili socioculturali di tutt’altra natura.
Si può cominciare a osservare i rapporti di interdipendenza tra la nostra cultura della rete e quel gruppo sociale anche abbiamo definito con Zygmunt Bauman (la società liquida). Un gruppo sociale con un livello di istruzione più basso, più identificabile come corrente mainstream, soggetto alle mode, alla ricerca di perenne emozioni, volubile e tendenzialmente instabile nelle scelte di vita e nei contenuti di opinione.
Non ci stupisce la rete venga assunta come alleato di questi stili di vita all’insegna della dinamicità ma anche della volatilità, si sorprende piuttosto un’altra stretta correlazione.
L’analisi statistica ci mostra infatti che gli ‘amanti della rete’ siano tendenzialmente più vicini a un orizzonte di individualismo e narcisismo piuttosto che di solidarietà e propensione all’integrazionale sociale.
La rete diventa paraddosalmente più veicolo di chiusura che di apertura, come aveva preconizzato Anderson nella celebre copertina di Wired[1].
Si registra un’interessante specularità tra fattori tecnologici e dinamiche di fruizione. Se le App mettono confini e vincoli a ciò che tenderebbe ad espandersi in modo illimitato, così le persone, le menti e i cuori che navigano nella rete cercano in essa sostegno per alzare nuove barriere piuttosto che per abbatterle.
Dopo un’ubriacatura di folla le persone sono tornate a rinchiudersi in se stesse e nelle loro micro comunità alimentando nuove forme di autoreferenzialità e presenzialismo travestite da condivisione.
Lo stesso linguaggio criptico, quasi esoterico, coltivato su Twitter rappresenta la spia linguistica di un atteggiamento che si oppone all’inclusività avvallando forme di complicità ristretta e compiaciuta.
Sono molti gli studi etnologici e psicologici, a partire dall’aforisma di Empedocle ‘il simile conosce il simile’, che testimoniamo il bisogno dell’uomo di riconoscersi in una comunità di simili. D’altra parte piattaforme e modalità di fruizione rimandano a un ennesimo piano di consonanza relativo alla stessa natura matematica della rete.
Conformismo cognitivo e algoritmi vincolanti sono alla base dell’attuale dibattito in corso [2] sulla rete, che pur non concentrandosi sul tema dell’individualismo elaborano una tesi che ne richiama il senso.
[1] 2011
[2] Il filtro, Le Pariser, Le ossessioni collettive, Lovink