Si è parlato molto negli ultimi due anni dell’impatto che l’AI generativa potrebbe avere sulla società e in particolare sul mondo del lavoro. Più emergono le capacità di questi software più si accende il dibattito, anche nella ricerca, per comprendere l’impatto sul lavoro non solo in termini di disoccupazione, ma soprattutto in termini di qualità del lavoro.
Il dibattito in corso su AI e lavoro
Il dibattito è sicuramente acceso e sembra, come spesso succede, dividersi in visioni utopiche e distopiche del futuro a causa dell’arrivo dell’AI. Recentemente un articolo dell’Economist intitolato “Machines might not take your job. But they could make it worse” riflette in seguito all’incidente informatico dovuto al software CrowdStrike che ha paralizzato importanti infrastrutture globali a causa del rilascio erroneo di un aggiornamento concentrandosi sulla qualità del lavoro, e in particolare dell’assenza di “scopo” da parte di operatori che potrebbero non confrontarsi più con le emergenze e col conseguente senso di utilità e fine della propria attività.
Si tratta di una visione contrapposta e sicuramente delinea un futuro in cui il lavoro non nobilita più l’uomo che si limita a seguire le istruzioni della macchina. Neanche un anno fa commentavo il lavoro di ricerca dell’Harvard Business School che evidenziava la capacità dell’AI di amplificare, quantomeno nel contesto della consulenza, le prestazioni umane mostrando un chiaro miglioramento della performance quando il consulente si serviva di questa nuova tecnologia.
Come evolverà il lavoro con l’AI?
Nello studio non si menzionava però il grado di soddisfazione dei consulenti che hanno usato l’AI sulla qualità del proprio lavoro. Si sono sentiti sminuiti?
In altri studi ci si interroga invece se questi mirabolanti effetti sulla performance lavorativa siano reali o solo percepiti in un hype che potrebbe somigliare ad altre chimere che nel giro i pochi anni si sono trasformati da promessa in un modesto miglioramento della performance lavorativa.
Come possiamo districarci in questo panorama complesso e cercare di capire realisticamente come si evolverà il mercato del lavoro? Non è sicuramente facile rispondere ma possiamo almeno provare a capire se l’arrivo dell’AI peggiorerà o meno la qualità del nostro lavoro, o in altre parole: saremo noi gli operai dell’AI o piuttosto l’AI sarà il nuovo strumento del nostro futuro?
La macchina e l’uomo
I cambiamenti tecnologici, soprattutto quelli che sono percepiti avere un impatto sociale, tendono a scaturire dibattiti di questa natura. Nel 1897 si dibatteva sulla salute nella donna che va in bici:
“The vera causa seems to lie in the extreme instability of the two-wheeled machine, which can never be left to itself for a single moment without dismounting. … With set faces, eyes fixed before them, and an expression either anxious, irritable, or at best stony, they pedal away, looking neither to the right nor to the left, save for an instantaneous flash, and speaking not at all, except a word flung gasping over the shoulder at most. … To ride it safely entails a double strain – a general one on the nerves and a particular one on the balancing centre. (1897: 795-6)”
Perché l’AI dovrebbe essere diversa dalle altre innovazioni?
Quando ero ragazzo ricordo mia nonna che faceva i conti a mente entrando in competizione con le calcolatrici elettroniche e quindi definendo sé stessa rispetto alla macchina. Per non parlare poi dei commenti che io e quasi tutti i Gen-X hanno ricevuto a proposito della TV che ci avrebbe instupidito oppure del walkman che ci avrebbe reso sordi e i videogiochi che ci avrebbero reso ciechi. Sulla stupidità non ho opinioni, ma sicuramente non ci vedo meno né ci sento meno di quanto non facesse alla stessa età di chi me lo diceva.
È inevitabile che le macchine e il progresso tecnologico sollevino l’uomo da alcune decisioni, sono sicuro che in un mondo di lavaggio a mano del bucato qualcuno avrà ritenuto la lavatrice un macchinario che prende troppe decisioni e lascia agli umani solo il compito poco dignitoso di servo della macchina che la prepara delegando a lei tutto il lavoro. Ok, ok, forse nel caso della lavatrice mi sono spinto oltre, non riesco a immaginare queste persone, ma ragionamenti analoghi li possiamo sicuramente fare per le automobili, per gli aerei, i telefoni.
L’America è stata costruita sul cavallo, dicono, e successivamente sull’automobile che inevitabilmente condiziona la vita di quasi tutti gli americani determinando indirettamente dove andranno e riducendone in qualche modo la libertà di azione banalmente perché le auto non riescono a muoversi in zone impervie.
Non resta quindi da chiedersi perché l’AI dovrebbe essere differente, e perché un me del futuro dovrebbe scrivere che con l’avvento dell’AI generativa nel 2022 i lavoratori hanno progressivamente visto uno squalificarsi del proprio lavoro.
Essere preparati al lavoro che cambia
L’arrivo dell’AI inevitabilmente cambierà il modo di lavorare, credo che su questo non vi siano dubbi. E tra i vari amplificatori di capacità umane a cui abbiamo assistito nel corso della storia (occhiali, telescopi, carri, automobili, esoscheletri) è forse la prima volta in cui l’amplificazione tocca la sfera del ragionamento e, almeno in parte, della creatività.
Internet e i motori di ricerca avevano già “insidiato” la memoria consentendoci di ricordare collettivamente tutta la conoscenza dell’umanità (quantomeno quella codificata e digitalizzata), ma ora quello che colpisce degli LLM è l’automazione, entro certi limiti, del ragionamento. Sembra quindi quasi ovvio giungere alla conclusione che saremo sollevati da quello che riteniamo ci abbia definito nel corso di millenni: la capacità di ragionare.
Se l’umanità ha dimostrato qualcosa è la capacità di adattarsi ai mutamenti sociali ridefinendo costantemente sé stessa e la propria percezione. Non sono sicuro di cosa penserebbe un uomo nato solo duecento anni fa se venisse teletrasportato nel nostro tempo, ma già il me degli anni ’80 farebbe fatica oggi, dove praticamente tutto quello che faccio quotidianamente non esisteva quarant’anni fa.
L’impatto sulla strutturazione e sull’organizzazione del lavoro
Ritengo che si possa sostenere che l’AI generativa ha, e avrà sempre di più, impatto sui lavori che richiedono ragionamento e creatività. Basti guardare come molti reel di Instagram oggi usino come sfondi immagini chiaramente generate da modelli a diffusione di AI generativa. L’impatto sulla strutturazione e sull’organizzazione del lavoro come oggi la percepiamo sarà significativo, ma questo non significa che chi verrà dopo di noi si riconoscerà negli stessi valori e cercherà le stesse gratificazioni, e in fondo se le macchine dovessero sostituirci integralmente nel lavoro assicurandoci la sopravvivenza potremmo dedicarci ad attività gratificanti in una sorta di civiltà basata sulla “schiavitù” delle macchine (certo, se poi queste si comportano come in Matrix potremmo avere non pochi problemi).
Di cosa dobbiamo preoccuparci oggi?
Ma tutte queste sono speculazioni e se il mondo che verrà sarà utopico o distopico lo scopriremo, ma invece di cosa ci dobbiamo preoccupare oggi?
Ritengo che l’AI generativa abbia già un impatto su alcuni pilastri della società moderna: il valore della scrittura e della lettura è già cambiato negli ultimi cinquant’anni e negli ultimi due anni ancora di più.
La velocità con cui operiamo è costantemente cambiata grazie alle tecnologie digitali, e queste nuove tecnologie non fanno altro che accelerare il processo, sia nella manipolazione di informazioni che nella trasformazione del mondo grazie ai robot (basti al recente video del robot Neo di 1X che fa il caffè con una macchinetta espresso pressando la polvere).
Oggi ritengo che il problema principale sia quello di alfabetizzare tutti all’uso consapevole delle tecnologie di AI generativa, perché è un fatto che chi usa l’amplificatore AI è più produttivo di chi non lo fa.
Dobbiamo non solo preoccuparci di normare queste tecnologie, ma anche capire come assorbire quelle sacche di disoccupazione che saranno inevitabilmente create dall’automazione di processi che richiedevano lavoratori. Per molti anni si è dibattuto sulla condizione di lavoro dei call center, la maturazione dell’interazione vocale di questi modelli AI lascia pensare che in poco tempo il primo livello del call center potrà essere interamente sostituito dalla macchina.
L’impatto sarà inevitabilmente più alto su quei lavori il cui contributo umano è minore e il rischio nella sostituzione con l’AI è più basso, liberando forza lavoro che sarà centrale riqualificare.
Se consideriamo che il lavoro non cambi allora sicuramente chi non sarà letteralmente eliminato dal ciclo produttivo potrebbe sentirsi frustrato perché l’AI ridurrà la capacità discrezionale come sostiene l’Economist, ma ritengo che sia poco probabile che questa trasformazione non cambi la struttura stessa del lavoro.
La velocità a cui tutto questo sta avvenendo però non dà il tempo alle vecchie generazioni di concludere il proprio ciclo produttivo e alle nuove di crescere. Questo è il punto cruciale, e in Italia, quantomeno, si sta facendo molto poco in merito.
Conclusioni
Il rischio concreto che vedo è quello di costruire una società come quella nel film di Blade Runner, in cui pochi che si appropriano della tecnologia governano di fatto i molti che non hanno accesso alle tecnologie. Nel mentre aspettiamo di vedere se la singolarità si verificherà durante la nostra vita non posso che consigliare di leggere o rileggere “L’era delle macchine spirituali” di Ray Kurzweil, oggi mi sembra molto meno fantascientifico di quando lo lessi venticinque anni fa…