In questo nuovo millennio, attraversato e caratterizzato dalla massiccia e pervasiva innovazione tecnologica, il conflitto tra lavoro e capitale non è per nulla scomparso.
Lo sciopero dei lavoratori Amazon, il primo in Italia, seguito da quello del 26 marzo dei riders, con l’invito rivolto anche ai consumatori a non utilizzare, almeno per quel giorno, i ciclofattorini, dimostra come sia in atto una svalorizzazione del lavoro e che il ruolo del sindacato e della contrattazione collettiva rimane centrale.
I lavoratori, sfruttati da un algoritmo, iniziano, infatti, a organizzarsi e proclamano azioni di sciopero davvero importanti e molto partecipate, mentre nel nostro paese, proprio su ricorso del sindacato si è già riconosciuto, con la sentenza di Bologna, il potenziale discriminatorio dell’algoritmo. Intanto, si è chiusa da pochi giorni l’inchiesta della procura di Milano sulle piattaforme di consegne, con l’erogazione di sanzioni per 733 milioni di euro alle piattaforme di food delivery coinvolte dopo gli accertamenti, che hanno consentito di “escludere in maniera tassativa“, secondo i pm, che i ciclofattorini siano davvero lavoratori autonomi, liberi di scegliere se e quando dare la propria disponibilità.
Contestualmente negli Stati Uniti i lavoratori dello stabilimento Amazon in Alabama votano per costituire un sindacato, mentre si costituisce l’Alphabet Workers Union dentro Google.
Nuovo capitalismo, vecchio sfruttamento
Dunque, le nuove forme di capitalismo perpetrano vecchie forme di sfruttamento e c’è bisogno di azione sindacale e di una complessiva riflessione su quale sia, oggi, l’oggetto del conflitto. In particolare, la contraddizione tra il diritto di proprietà e la libertà della persona nel lavoro.
Il lavoro è di nuovo merce “low cost”: le sfide per il nuovo decennio
Il rapporto di produzione, infatti, si è trasformato: la proprietà non sempre ha per oggetto un bene tangibile ma, sempre più spesso, si basa sul possesso di conoscenza. E qui si aggiungono alle tradizionali forme di disuguaglianza nuove fratture e nuove faglie, quelle ad esempio tra un nucleo ristretto di persone che detiene conoscenza e sapere ed è chiamato a svolgere mansioni strategiche per l’impresa e un’area sempre più ampia di lavoratori e lavoratrici che svolgono mansioni ripetitive e a rischio di obsolescenza del loro bagaglio formativo.
Pochi soggetti, in un contesto globale, possiedono risorse dall’inimmaginabile valore e sfruttano sistematicamente e proditoriamente ogni singolo clic effettuato, per qualsiasi motivo, in qualunque parte del mondo. Nello stesso tempo, utilizzando le nuove tecnologie, sfruttano i dati stessi dei lavoratori per perfezionare e imporre ritmi di lavoro insostenibili, giocando sulla pseudo autonomia dei singoli nello svolgere la loro attività lavorativa per non riconoscere diritti collettivi.
Da molte parti si cita la “ dittatura dell’algoritmo” come elemento di novità di questi ultimi anni. Il sindacato, nel rilevare la novità del metodo, ha però riconosciuto immediatamente forme di sfruttamento antiche e ha dato loro nomi conosciuti: caporalato è uno di questi e ben si attaglia ad esempio alla lunga battaglia dei ciclofattorini.
La necessità di un’azione collettiva
In fondo, la nostra convinzione è rimasta la medesima che ha motivato e sostenuto la lunga stagione di lotte sindacali del secolo scorso, ossia che l’azione collettiva è necessaria e imprescindibile per superare la naturale asimmetria tra capitale e lavoro.
Di certo non possiamo eludere la constatazione che i rapporti di produzione cambiano e si affinano, nell’organizzare ritmi e modalità di lavoro, servendosi delle enormi potenzialità della tecnologia digitale ed è per questo che, da qualche anno a questa parte, proponiamo la necessità di contrattazione dell’algoritmo.
La potenza di calcolo algoritmica, infatti, coniugata con la capacità delle macchine di auto apprendere, con il sempre maggiore utilizzo di strumenti d’intelligenza artificiale e la massiva disponibilità di dati da analizzare, costituisce uno strumento straordinario di sfruttamento.
L’implementazione della tecnologia digitale sovverte poi modalità e forme organizzative tradizionali mediante un processo di disintermediazione che rende ancora più forte la disparità tra capitale e lavoro e afferma un assetto economico caratterizzato da flessibilità, autonomia, decentralizzazione.
Dunque, bisogna intervenire a monte, perché la tecnologia non è neutra e l’algoritmo è figlio di una programmazione del tutto umana, che ne stabilisce finalità e modalità di funzionamento. Se il paradigma tecnologico digitale produce un lavoro più differenziato e le esigenze e le condizioni di lavoro si personalizzano, senza una contrattazione d’anticipo e inclusiva si rischia il mancato riconoscimento dei diritti fondamentali delle tutele e delle garanzie a tutte le lavoratrici e lavoratori.
Il voto in Alabama per il primo sindacato di Amazon
Ieri i 6mila lavoratori di uno dei maggiori magazzini Amazon, in Alabama, hanno potuto votare per il diritto a costituire il primo sindacato.
I lavoratori lamentano che l’intenso monitoraggio dei lavoratori da parte di Amazon viola la loro dignità, e la paga non è commisurata alla pressione costante che i lavoratori subiscono per produrre. A maggior ragione per la grande crescita di ricavi e profitti dell’azienda durante il covid.
Amazon ha replicato che il suo salario minimo di 15 dollari è il doppio del minimo statale, e che offre l’assicurazione sanitaria e altri benefici che possono essere difficili da trovare nei lavori a basso salario
.Qualunque sia il risultato del voto – che potrebbe non essere noto per giorni – la spinta sindacale è già riuscita a scuotere la più grande azienda di e-commerce del mondo e a mettere in evidenza le lamentele sulle sue pratiche di lavoro.
Il presidente Biden ha segnalato il suo sostegno ai lavoratori, così come molti leader progressisti.
Se la Retail, Wholesale and Department Store Union avrà successo, sarà una grande vittoria per il movimento operaio, la cui adesione è diminuita per decenni negli Usa. Una vittoria gli darebbe anche un punto d’appoggio all’interno del secondo più grande datore di lavoro privato del paese. L’azienda ha ora 950.000 lavoratori negli Stati Uniti, dopo averne aggiunti più di 400.000 solo nell’ultimo anno.
Un esito che Amazon teme – perderebbe la possibilità di fare accordi individuali, decisi unilateralmente dai manager. E ha cercato di scoraggiare in ogni modo il voto, con lettere mandate ai lavoratori, anche con minacce e intimidazioni (riporta il New York Times).
Se il sindacato prevale, tuttavia i lavoratori temono che l’azienda possa chiudere il magazzino. Amazon si è già tirata indietro da luoghi che gli procurano problemi. Nel 2000, ha chiuso un ufficio del servizio clienti che stava cercando di sindacalizzare, dicendo che la chiusura era il risultato di una riorganizzazione. Ha fermato la costruzione di una torre di uffici quando Seattle voleva tassare l’azienda, e si è tirata indietro dai piani per costruire una seconda sede a New York City dopo aver affrontato l’opposizione progressista.
Nonostante le conseguenze di breve termine che questo voto potrebbe avere, i movimenti in corso segnalano che il vento è davvero cambiato per le big tech, anche sul fronte lavoro. Le stesse sono com’è noto sotto indagine antitrust e di diversi governi nel mondo.
Redazione
La necessaria alleanza tra consumatore e lavoratore e il ruolo del sindacato
E dato che lo spazio digitale è ormai innestato nella quotidianità, è necessaria un’alleanza tra consumatore e lavoratore affinché si spezzi la catena dello sfruttamento. Del resto una società low cost, deregolamentata e parcellizzata, porta con sé necessariamente nuove forme di sfruttamento.
Dunque, il ruolo del sindacato confederale è oggi ancora più rilevante. In un sistema di produzioni e transazioni globali, in cui si fa spesso labile il confine tra consumatore e produttore di servizi tanto da introdurre la categoria dei prosumer, cioè di chi gode di servizi e nello stesso tempo li genera, solo un approccio confederale che ponga al centro l’individuo può ribaltare il paradigma tecnologico da elemento di sfruttamento a elemento di riconoscimento e risposta a bisogni e maggiore estensione di diritti.
Dobbiamo ricordare che, nella prima fase di diffusione di internet, della sharing economy e dell’economia collaborativa, si riteneva che dalla combinazione delle nuove tecnologie con le piattaforme collaborative e l’economia della conoscenza si sarebbe prodotta un’alleanza virtuosa in grado di superare persino i vecchi paradigmi di proprietà, a favore di “collaborative Commons”, migliorando complessivamente le condizioni di vita delle persone e dunque anche le condizioni dei lavoratori.
Oggi invece i casi Amazon, i riders, la complessiva gig economy che propone un modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e ancora l’intensificazione generale dei ritmi di lavoro e le conseguenze sulla vita dei singoli della potenza decisoria di algoritmi non contrattati, hanno evidenziato le sempre maggiori concentrazioni monopolistiche, lo svolgimento di pratiche anticoncorrenziali, la concentrazione di potere e ricchezza in mano di pochi e nuove forme di sfruttamento.
Noi sappiamo che dietro ad ogni piattaforma, dietro alla proposizione dell’algoritmo come datore di lavoro, c’è una concentrazione del tutto umana di potere e ricchezza.
Conclusioni
E dunque il sindacato vuole e deve svolgere un ruolo pari a quello svolto a ogni cambio di paradigma economico, e si propone come collettore di istanze collettive, propositore di un nuovo statuto dei diritti di lavoratori e lavoratrici che riconosca diritti e tutele a prescindere dalla tipologia di rapporto di lavoro, con la volontà di tutelare cittadini/lavoratori che sono parimenti oggetto possibile di sfruttamento da parte delle piattaforme, fino a una nuova idea d’impresa e di sua responsabilità sociale.
Per questo motivo, oltre all’azione conflittuale rispetto alle condizioni di sfruttamento di lavoratrici e lavoratori, oltre ai ricorsi giudiziari per il riconoscimento di diritti, vogliamo esercitare una contrattazione sociale e territoriale che preveda il governo dell’utilizzo delle tecnologie per rispondere ai bisogni dei cittadini, che riconosca ai dati prodotti dai cittadini lo status di beni comuni, di uso e proprietà collettiva, e che sappia svolgere il suo ruolo abilitante della trasformazione complessiva della società in senso ecosostenibile, solidale e inclusivo.