Nel film Blade Runner, il dottor Eldon Tyrell, fondatore della Tyrell Corporations (Joe Turkel) vedendo spiazzato il detective Rick Deckard (Harrison Ford) dal realismo della replicante Rachel (Sean Young), gli ricorda lo slogan della sua società “Più umano dell’umano”.
Come spesso capita nell’immaginario fantascientifico l’idea di un prodotto artificiale simile all’umano che fosse in grado di ingannare gli esseri umani è uno scenario che sta ormai prendendo piede in questa società del XXI secolo.
L’inganno del virtuale: il caso Emily Pellegrini
Qualche giorno fa il Daily Mail (McGuigan 2024) ha pubblicato la notizia che una ragazza digitale, Emily Pellegrini, aveva ingannato diversi spasimanti, fra cui calciatori e ricchi imprenditori, che le avevano fatto delle avances tramite messaggi su Instagram, senza che questi si accorgessero che stavano interagendo con una persona digitale. La creatrice – che ha diffuso alcune di queste chat – dichiara di aver creato il personaggio attraverso una serie di tecnologie, fra cui ChatGPT e una serie di tool per la produzione di sintografie. La notizia ha fatto il giro della rete e sono diversi a sollevare sospetti sull’effettiva affidabilità della fonte e dell’evento, ma anche se così non fosse, il caso di Emily Pellegrini non è isolato.
I precedenti di Lil Miquela e Imma
Infatti risale al 2018 il caso di Lil Miquela nominata da Time fra le 25 persone più influenti al mondo (Time 2018) oppure Imma la virtual girl con una attività social da vera influencer, diventata celebre nel 2020 grazie alle sue collaborazioni con Adidas, Puma e Nike (Lim, Lee 2023). Ma negli ultimi tempi questi casi sono aumentati grazie alla sempre maggiore accessibilità degli strumenti per la creazione di immagini generate dalla IA, le famose sintografie, e sempre più connesse al mondo dell’erotismo più o meno spinto. Come Claudia, la ragazza apparsa su Reddit con le sue foto hot (Dickson 2023) oppure le ragazze create da TheRRRealist con tanto di account su OnlyFans (Polidoro 2023). Influencer, modelle, performer: sono moltissime le identità sintetiche che stanno invadendo i social e che stanno diventando sempre più indistinguibili dagli esseri umani reali. Più umano dell’umano, proprio come voleva la Tyrell nel 1982.
Virtual Influencer: potenzialità per il marketing
Le scienze sociali hanno cominciato a studiare questi oggetti mediali da diversi anni: il termine che si usa per definirli è virtual influencer (influencer virtuali) e dai primi studi sviluppati all’interno del marketing, stanno cominciando ad apparire ricerche non più solo circoscritte alla consumer culture (Robinson 2020; Arsenyan, Mirowska 2021; Miyake 2023; Lou et al. 2023). I vantaggi dell’uso dei virtual influencer dal punto di vista del marketing sono piuttosto evidenti: si va dall’abbattimento dei costi dei contenuti, alla flessibilità nelle strategie promozionali, fino alla capacità di far percepire un brand cool poiché è sintomo di innovazione delle campagne di comunicazione (Lou et al. 2023). Molto interessante anche l’impatto dei virtual influencer sui follower, spesso studiati all’interno di un classica impostazione dello studio dei media: l’approccio usi e gratificazioni, secondo cui bisogna studiare non tanto cosa i media fanno alle persone, ma cosa le persone fanno con i media (Klapper 1963). I quattro fattori chiave che sono alla base delle motivazioni dei follower degli influencer virtuali su Instagram sono: autenticità, consumismo, ispirazione creativa e invidia (Lee et al. 2022). Se andiamo ad indagare le motivazioni che esprimono i giovani adulti (19-30 anni) nel seguire i virtual influencer, troviamo un mix di intrattenimento e information seeking: condivisione di informazioni, seguire tendenze nuove e interessanti, intrattenimento rilassante, compagnia, noia/passatempo abituale e ricerca di informazioni (Croes, Bartels 2021).
La percezione sociale degli influencer virtuali: la teoria della valle perturbante
Negli ultimi tempi sta emergendo un nuovo quadro interpretativo che cerca di mettere insieme l’attrazione che abbiamo verso le rappresentazioni umane che spesso però sfociano in un senso di inquietudine: è la teoria della valle perturbante. Questa teoria (in inglese Uncanny valley, dal grafico che ne descrive le caratteristiche) è stata messa a punto negli anni ’70 del secolo scorso da Masamiro Mori per cercare di descrivere l’effetto secondo cui le persone sono attratte dai robot somiglianti agli esseri umani, ma se questa somiglianza è eccessiva l’attrazione sfocia in un senso di inquietudine (Mori 1970). L’ipotesi alla base della teoria è stata testata anche in studi recenti (Ho, MacDorman 2010) e alcune istanze risultano in linea con le prefigurazioni delineate da Mori.
La Uncanny valley theory è stata utilizzata per comprendere alcune delle caratteristiche della percezione sociale degli influencer virtuali (per es.: Kätsyri et al. 2015; Arsenyan, Mirowska 2021; Lou et al. 2023) ed ha portato a risultati piuttosto interessanti, per quanto non definitivi.
Anime-like vs Human-like: la differenza tra tipologie di virtual influencer
Il punto di partenza è la tassonomia dei virtual influencer che possono essere organizzati essenzialmente in due tipi: anime-like (traducibile con animemorfi, ovvero la cui forma ricorda i personaggi dei cartoni giapponesi) e human-like (umanomorfi). Segnalo che ho preferito tradurre con il termine “umanomorfi”, per evitare di creare ambiguità semantiche con l’aggettivo “antropomorfo”. Gli influencer virtuali animemorfi, si presentano come degli oggetti mediali le cui caratteristiche sono antropomorfizzate per adattarsi in un social network umano, mentre gli umanomorfi sembrano molto umani in termini di apparenza e interazioni (Arsenyan, Mirowska 2021).
L’impatto della teoria della valle perturbante sui virtual influencer
I follower su Instagram, pur accettando facilmente gli influencer umanomorfi, li percepiscono come spiacevoli e irrealistici se la somiglianza è troppo accurata (Molin, Nordgren 2019) e causano anche reazioni negative se l’influencer virtuale si presenta come eccessivamente indistinguibile da un essere umano, quasi a rompere la “autentica” falsità dell’oggetto mediale (Arsenyan, Mirowska 2021). Ciononostante, non tutte le manipolazioni delle sembianze umane conducono all’effetto perturbante: esso si manifesta quando c’è una discrepanza percettiva (per es. realismo inconsistente) (Kätsyri et al. 2015).
Per essere chiari, come nel caso della errata rappresentazione delle mani nel caso delle IA generative, problema in corso di superamento. In alcuni casi l’antropomorfismo inquietante degli influencer umanomorfi ha un effetto persuasivo verso i follower, tanto da rendere la loro umanità distorta piuttosto affascinante (Block, Lovegrove 2021), anche se – in generale – al netto della percezione perturbante, i virtual influencer hanno gli stessi effetti positivi degli influencer umani (Thomas, Fowler 2021).
In questo mondo contemporaneo in cui convivono umani, cyborg e entità digitali, i virtual influencer sollevano delle domande interessanti su cosa debba considerarsi come nucleo dell’umanità o se il concetto stesso di umanità non sia culturalmente e storicamente troppo connotato da non poter più esprimere una propria specificità.
Virtual influencer: il futuro dell’interazione umana?
Al momento gli influencer virtuali sono solo delle rappresentazioni di umanità, più o meno realistiche, ma presto diventeranno agenti artificiali che potranno vantare una propria autonomia e una propria ontologia all’interno di spazi incorporati di digitale come i metaversi o la realtà aumentata. Presto quello fra fisico e digitale diventerà non più un’opposizione, ma un continuum all’interno del quale troveranno spazio entità di diversa natura e saremo noi a doverci chiedere non se chi si trova al nostro cospetto sia una macchina, ma se siamo noi ad essere veramente umani.
Sempre se saremo in grado di dire cosa voglia dire essere umani in un mondo in cui esistono artefatti “più umani dell’umano”.
Bibliografia
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