Il panico morale è un fenomeno antecedente alla nascita dei social network e delle chat, eppure è proprio all’interno di tali ambienti digitali che è divenuto più semplice alimentarlo, coinvolgendo quante più persone possibili. Nella faticosa lotta per la conquista dell’attenzione del pubblico, sono diversi i media e gli esperti disposti ad adottare una comunicazione dai toni sensazionalistici, “cavalcando” ogni singola ondata di allarmismo pur di ottenere like ed interazioni e, di conseguenza, più facili guadagni.
In relazione al digitale, nello specifico, che si tratti di videogiochi, social network, chat, challenge, o serie televisive, la strategia adottata sembra sempre lo stessa: individuare le angosce genitoriali connesse (anche solo potenzialmente ed indirettamente), per alimentarle a proprio vantaggio. Analizzando tale meccanismo, è possibile rilevare la paradossalità di una campagna contro il digitale portata avanti proprio all’interno di tale dimensione.
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Pandemia, distanziamento e “boom” digitale
Le misure di distanziamento e sicurezza degli ultimi anni hanno forzato anche i più restii a sperimentare le opportunità offerte dal digitale. A partire da marzo 2020, con il primo lockdown allo scoppio della pandemia, il digitale è divenuto parte integrante e sostanziale della vita di ciascuno di noi – quasi – nessuno escluso: dovendo rispettare varie misure di distanziamento e sicurezza, anche i più refrattari hanno infatti avuto occasione di sperimentare le infinite opportunità di relazione, lavoro, apprendimento ed intrattenimento offerte dai dispositivi digitali.
Anche i videogiochi – specialmente quelli multiplayer online – hanno rivestito un ruolo decisivo nel promuovere la socialità ed il benessere in tale complesso periodo storico. Persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha promosso, durante il lockdown, la campagna #PlayApartTogether valorizzando tutto ciò, nonostante la sua precedente scelta, da più parti contestata, di includere la dipendenza da videogiochi (gaming disorder) tra le altre patologie.
Per alcuni adulti poco avvezzi al digitale, ritrovarsi, per un lungo periodo di tempo, nelle condizioni di dover testare in prima persona i benefici derivanti dall’utilizzo dei dispositivi digitali ha dato origine a vere e proprie entusiasmanti scoperte. Per molti altri, invece, tale avvicinamento forzato alle cosiddette “nuove tecnologie” non ha prodotto l’auspicabile effetto di superamento dei pregiudizi e degli stereotipi ad esse legati.
Agli occhi dei suddetti adulti, il digitale resta infatti la principale minaccia al sano sviluppo e al benessere psico-fisico di bambini e adolescenti: minaccia da eliminare ad ogni costo, al minimo accenno di difficoltà, senza ripensamenti e senza mezze misure. Nonostante gli avvenimenti recenti, dunque, il digitale, nelle sue diverse espressioni, rappresenta tuttora l’oggetto privilegiato del panico morale.
Panico morale: opportunità di guadagno per media ed esperti
Con la definizione di “panico morale” si indica tutta una serie di reazioni di allarme ingiustificate, fondate cioè più su pregiudizi e stereotipi che su validi studi scientifici, le quali tendono a manifestarsi in risposta alla comparsa ed alla diffusione di innovazioni con le quali si ha ancora poca, o nessuna, familiarità.
Essendo solitamente le giovani generazioni le prime ad “appropriarsi” delle novità, e dunque ad “entrare in confidenza” con esse, tale intensa preoccupazione è sperimentata più che altro dagli adulti.
Sensazionalismo mediatico: una strategia di divulgazione dalle prospettive limitate
Il sensazionalismo mediatico fondato sul panico morale necessita di “soffiare sulle braci” quasi senza sosta pur di coinvolgere attivamente, e il più a lungo possibile, il pubblico cui si rivolge. Ciò vuol dire che chi sceglie di adottare questa strategia di divulgazione ha più interesse a far emergere alcuni temi, piuttosto che altri.
Su Netflix, ad esempio, non è presente solo “The Social Dilemma”, il docufilm reso celebre dai dibattiti appassionati stimolati in Italia, così come nel resto del mondo, relativamente all’influenza degli algoritmi social sulla nostra vita. La piattaforma ospita infatti anche “High Score” una docuserie di tutt’altro tenore, in quanto incentrata sulla storia reale, e non stereotipata, dei videogiochi, dei loro sviluppatori e dei videogiocatori. Pur essendo tale docuserie funzionale alla creazione di un’opinione maggiormente obiettiva e consapevole riguardo al mondo videoludico – o forse proprio per questo -, essa non riscuote però lo stesso interesse tra media ed esperti che per lo più, infatti, sembrano tuttora ignorarne l’esistenza.
In relazione a “The Social Dilemma”, in particolare, lo psicologo Andrew Przybylski, professore all’Università di Oxford, in una dichiarazione rilasciata nel 2020 a Business Insider, denuncia proprio l’assenza, già da parte dei registi del docufilm, di tentativi di dialogo con scienziati portatori di un diverso
punto di vista sulle questioni affrontate al suo interno.
Il risultato di ciò è stato che, seppur alcune dinamiche descritte da “The Social Dilemma” possano effettivamente trovare un parziale riscontro nella realtà, queste sono state comunicate con toni sensazionalistici miranti a impressionare gli spettatori, più che a sensibilizzarli e a responsabilizzarli: toni e obiettivi decisamente differenti rispetto a quelli rintracciabili in “High Score”.
L’evitare dibattiti, prospettive e prove che dimostrino l’infondatezza di certe affermazioni riguardo a contenuti ed ambienti digitali, ha come facile effetto il rafforzamento del panico morale e dunque l’innesco di reazioni molto accese nei genitori. Ciò, come osservato, sembra essere un bene per alcuni media ed alcuni esperti, perché le loro opportunità di guadagno vengono molto accresciute da tali reazioni.
Ma siamo certi che ciò sia un bene anche per i genitori?
Gli effetti del sensazionalismo mediatico e del panico morale sui genitori
Quando media ed esperti virano verso il sensazionalismo, difficilmente essi riescono a proporre ai genitori strategie di educazione digitale realmente applicabili nella vita quotidiana: ad emergere, in questi casi, sono piuttosto idee di censura – si pensi, ad esempio, alla petizione lanciata per la rimozione di “Squid Game” dal catalogo Netflix – che, nel concreto, si rivelano poco sostenibili. Anche quando è presente un qualche tentativo di fornire linee guida di altro tipo, comunque, queste risultano spesso poco efficaci.
La quotidianità di un genitore è costellata da diversi impegni, incombenze ed esigenze che devono essere tenute adeguatamente in conto se si desidera accrescere le speranze di successo di una qualsiasi strategia di intervento. Ciò è possibile solo quando si ha il tempo di effettuare un’analisi critica e consapevole che miri ad individuare innanzitutto le reali problematiche a cui è necessario far fronte, le esigenze di ciascuna delle persone coinvolte e le risorse a disposizione, e solo successivamente le azioni più idonee da provare a mettere in atto.
Il panico morale non concede però questa possibilità, ostacolando proprio questo genere di riflessioni, orientando l’attenzione dei genitori verso le minacce sbagliate, e richiedendo con urgenza un intervento poco ragionato come sedativo per le emozioni spiacevoli suscitate: grande enfasi viene posta così su questioni poco o per nulla rilevanti, a scapito di altre ben più importanti, ma meno visibili.
La confusione provocata dal panico morale pare evidente ogniqualvolta venga comunicata in maniera sensazionalistica la diffusione – frequentemente sovrastimata – di una nuova challenge estrema: gran parte del mondo adulto sembra ignorare infatti che tristezza, ansia, paura ed angoscia sono sentimenti spesso presenti anche in infanzia ed in adolescenza per tutta una serie di motivazioni – incluse difficoltà relazionali, conflitti familiari e problematiche scolastiche – che prescindono dalle challenge.
Tali motivazioni vengono tenute poco in considerazione anche quando si parla di uso disfunzionale dei videogiochi: la tendenza è infatti quella di interrogarsi poco o nulla riguardo le frustrazioni della vita reale che spingono il videogiocatore verso tale direzione.
Qualunque intervento originato all’interno di un’ondata di panico morale pare così, più facilmente di altri, destinato al fallimento. È facile immaginare come il susseguirsi di simili fallimenti possa compromettere ulteriormente la fiducia riposta dai genitori nelle proprie capacità di tutelare il benessere psico-fisico dei propri figli: ansia, angoscia, frustrazione e stress sono tutti sentimenti che si aggravano in tali condizioni, con gravi ripercussioni sul benessere psico-fisico dei genitori stessi e delle loro famiglie.
Gli effetti sui figli
Quando i genitori sono troppo spaventati e sfiduciati, le loro scelte educative possono divenire eccessivamente incoerenti e/o eccessivamente estremistiche, nel tentativo di contenere l’ansia e la frustrazione suscitate dal sensazionalismo mediatico. Tali atteggiamenti possono generare nei figli, a loro volta, confusione e frustrazione: in entrambi i casi, questi ultimi faticano a percepire i genitori come validi interlocutori sul digitale e, soprattutto, ad affidarsi ad essi in caso di dubbio o necessità in tale ambito.
Se, infatti, i genitori nutrono poca fiducia nel digitale, oltre che in se stessi, quanto possono sperare bambini ed adolescenti di ricevere apprezzamento per i successi conquistati all’interno degli ambienti digitali? Ma, soprattutto, quanto possono sperare essi di ricevere comprensione e supporto relativamente a problematiche connesse a tali contesti di vita?
Crescendo in una società “onlife”, di fronte al panico morale adulto attualmente l’unica “scelta” che sembra rimanere a bambini e ad adolescenti è quella di fare esperienza del mondo digitale in totale autonomia, a loro rischio e pericolo. D’altronde, tramite i coetanei, è per loro abbastanza agevole accedere a contenuti o ambienti digitali, anche in assenza di smartphone personale, o in presenza di programmi di Parental control.
Tale scelta costituisce però una minaccia molto più concreta di quelle discusse dai divulgatori del panico morale: per i bambini ed i ragazzi lasciati da soli nel web aumenta infatti considerevolmente il rischio di incorrere in tutte le potenziali drammatiche conseguenze legate ad un uso distorto ed inconsapevole dei dispositivi digitali.
Conclusioni
Posti di fronte a sfide inedite e complesse, ogni giorno sono tantissime le madri e tantissimi i padri in difficoltà che si affidano a media ed esperti per comprendere come educare positivamente, e come tutelare efficacemente, i propri figli online. Nel comunicare ai genitori informazioni riguardanti anche solo indirettamente il digitale, media ed esperti dovrebbero dunque essere sempre guidati dalla consapevolezza che quanto da loro detto o scritto avrà, in un modo o nell’altro, importanti ripercussioni sul benessere psico-fisico di bambini ed adolescenti, oltre che dei loro genitori. Tale consapevolezza richiede una decisa assunzione di responsabilità e di conseguenza l’abbandono di strategie divulgative di stampo sensazionalistico.
Evitare una comunicazione dai toni sensazionalistici è però possibile solo accettando di aprirsi all’ascolto di punti di vista diversi, in particolare modo di chi fa esperienza diretta, nella propria quotidianità, dei fenomeni di cui si intende discutere. Viola Nicolucci, psicologa e psicoterapeuta, ha preso proprio questa direzione scrivendo “Game Hero. Viaggi nelle storie dei videogiocatori”, un libro nato dall’ascolto di varie persone che, per passione o per lavoro, conoscono profondamente il mondo del gaming ed il suo potenziale arricchente.
Allo stesso modo, è auspicabile che anche i genitori comincino a porsi maggiormente in ascolto dei propri figli, delle loro esperienze e dei loro vissuti all’interno degli ambienti digitali. L’adozione di questo atteggiamento può infatti aprire nuovi canali di comunicazione tra genitori e figli, con importanti benefici per ciascuno di loro.
Da una parte, infatti, i primi potranno percepirsi maggiormente competenti ed efficaci nel ruolo di educatori digitali, così come più consapevoli riguardo agli interessi ed alle abitudini di vita dei propri figli; mentre dall’altra, i secondi potranno sviluppare una maggiore fiducia nei propri genitori, oltre che una maggiore stima di se stessi, essendo le loro passioni digitali non più squalificate e temute dalle loro famiglie, bensì comprese e valorizzate.