Una delle principali fonti di stress lavorativo è la sensazione che non ci sia mai abbastanza tempo. E quando c’è un problema, l’essere umano risponde con la soluzione più semplice, che in questo caso, in ossequio al “rasoio di Occam”, consiste nel mettere in pratica le migliori tecniche di time management.
È così che ci si ritrova a comprimere riunioni di un’ora in sprint di mezz’ora o a inserire piccole attività più piccole negli spazi vuoti del nostro calendario per ridurre al minimo il tempo improduttivo.
La trappola della gestione del tempo
Eppure, paradossalmente, la gestione del tempo spesso aumenta lo stress invece di ridurlo. Man mano che diventiamo più efficienti, recuperiamo nuovo tempo per ancora più attività e sentiamo ancora più pressione.
Il passaggio al lavoro a distanza durante la pandemia di Covid-19 ha reso evidente questo paradosso. Le persone affermano che lavorare da casa fa risparmiare tempo, riducendo il pendolarismo e i viaggi di lavoro, e molti lavoratori dichiarano di essere più produttivi. Nonostante questi risparmi di tempo e la sensazione di maggiore produttività dichiarata, i dati della software house Atlassian mostrano che la giornata lavorativa media è aumentata di ben 30 minuti a livello globale, l’opposto di quanto ci si aspetterebbe da persone che utilizzano il proprio tempo in modo più produttivo.
Abbiamo sempre avuto e abbiamo tutt’ora una cultura legata al tempo e alla sua suddivisione in task e compartimenti stagni, nei quali siamo portati a conformarci alla always-on culture (cultura secondo cui un dipendente deve essere sempre disponibile anche fuori dall’orario di lavoro standard).
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Dal time management all’attention management
Esiste però una soluzione a questa problematica. Un suggerimento ci viene dato da una nuova metodologia di gestione della nostra produttività, chiamata attention management – o gestione dell’attenzione.
Una definizione di attention management data da Adam Grant, esperto di psicologia del lavoro, professore e scrittore, è “arte di concentrarsi sulle attività da fare nel momento e nel luogo giusto e avendo chiari priorità ed obiettivi”.
Si tratta quindi della modalità moderna di autogestirsi con disciplina, essendo consapevoli che bisogna incanalare correttamente la produttività, e riconoscendo che in tutta una giornata lavorativa ci sono orari per collaborare, orari per pensare ed energie creative da sfruttare al meglio, perché limitate.
Le prime tecniche di attention management nascono circa 20 anni fa e nelle librerie si sono visti diversi best-seller sull’argomento. Uno dei più noti è “La settimana lavorativa di 4 ore” dell’imprenditore americano Tim Ferriss, che solo apparentemente si concentra su come comprimere il lavoro settimanale in pochissimo tempo. Nella realtà il consiglio numero uno di Ferriss consiste proprio nel privilegiare l’efficacia all’efficienza, dedicandosi di volta in volta alle attività che, in quel momento e con le energie che abbiamo, consentono di ottenere i maggiori progressi lavorativi, suggerendoci di fatto che organizzare bene il tempo non serve a nulla se non sappiamo prima gestire le nostre energie mentali.
Cosa ci insegnano le neuroscienze
Senza arrivare però ad una rivoluzione completa del proprio lavoro come il citato Timothy Ferris, ci vengono in aiuto le neuroscienze per comprendere quanto sia importante gestire le proprie attività sulla base dell’attention management.
Prima di tutto, gli studi neuroscientifici suggeriscono come il benessere mentale sia fondamentale per poter essere concentrati, produttivi e non cadere in errori e scorciatoie cognitive.
Difatti, secondo lo psicologo e Premio Nobel Daniel Kahneman, nei processi decisionali il nostro cervello sfrutta due sistemi, uno più razionale, lento e volontario e uno più istintivo, emotivo, irrazionale e involontario.
Il secondo sistema è quello che si rischia di mettere in moto quando le energie del nostro cervello risultano limitate, rischiando di incappare in errori e valutazioni scorrette.
Di conseguenza, prendere delle pause tra le riunioni, idratarsi, mangiare e dormire una quantità di ore sufficiente (tra le 7 e le 9 ore) rappresentano abitudini da mettere in pratica nella gestione corretta della propria produttività.
Un altro suggerimento che ci forniscono le neuroscienze è il cosiddetto Motivation Cycle: se non si riesce a contenere la propria motivazione e si finisce nel loop della cultura always-on di cui parlavamo in precedenza, si rischia di diventare dipendenti dal lavoro e di non riuscire a stabilire delle corrette priorità all’interno delle proprie abitudini professionali.
Infine, gli studi neuroscientifici ci insegnano che esistono tre fasi del pensiero creativo:
- Il primo step, detto mind wandering, rappresenta la fase in cui la mente è libera di viaggiare tra pensieri inconsci;
- Il secondo step, detto focused thinking, rappresenta la fase in cui si focalizza il pensiero su qualcosa di specifico;
- Il terzo step, detto selective attention, rappresenta la fase in cui ci stiamo concentrando un singolo pensiero.
Se non permettiamo però alla mente di inoltrarsi nella prima fase del processo creativo, e quindi non concediamo al nostro cervello dei momenti “di distrazione” e “di pausa”, sarà molto difficile riuscire ad essere innovativi e creativi.
Conclusioni
In conclusione, l’attention management e la definizione degli orari atti a diverse tipologie di attività risultano le metodologie più adatte per non farsi inghiottire dalle nuove abitudini lavorative, dalle riunioni infinite e dal sovraccarico delle agende, e le neuroscienze da questo punto di vista ci offrono degli spunti interessanti per iniziare concretamente a mettere in pratica delle abitudini positive.