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Lavoratori per l’IA sfruttati e malpagati: la denuncia che mette nei guai le Big Tech



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Salari bassi e scadenze irragionevoli, tali da comportare molte difficoltà a svolgere correttamente il proprio lavoro per garantire che i bot non causino danni. La denuncia è stata presentata al National Labor Relations Board (NLRB) contro Appen, che fornisce decine di migliaia di lavoratori a contratto per le aziende Big Tech

Pubblicato il 23 giu 2023

Antonino Mallamaci

avvocato, Co.re.com. Calabria



Le sfide della Smart Mobility nell'era del Data Act

Una nuova grana per le big tech, in particolare per quelle che stanno lavorando alacremente e in furiosa competizione tra loro per lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale. La vicenda si iscrive nel più ampio problema del lavoro esternalizzato, molto spesso mal pagato.

Nel campo dell’intelligenza artificiale un impegno meno che certosino fa aumentare il rischio, già denunciato da più parti – come sappiamo – che questa tecnologia porti più problemi che vantaggi. Nei giorni scorsi, un gruppo di lavoratori a contratto incaricati di addestrare il nuovo chatbot IA di Google ha dichiarato di essere stato licenziato per aver denunciato salari bassi e scadenze irragionevoli, tali da comportare molte difficoltà a svolgere correttamente il proprio lavoro per garantire che i bot non causino danni.

La denuncia contro la Appen

La denuncia è stata presentata al National Labor Relations Board (NLRB) nei confronti dal loro datore di lavoro Appen, che fornisce decine di migliaia di lavoratori a contratto per le aziende Big Tech.

Cosa fa Appen

La Appen, secondo quanto si legge sul suo sito, mette a disposizione dei suoi clienti un’offerta di prodotti di dati LLM (large language model, modello linguistico computerizzato costituito da una rete neurale artificiale con decine di milioni o miliardi di parametri, addestrata su grandi quantità di testo senza etichetta, utilizzando l’apprendimento auto-supervisionato o l’apprendimento semi-supervisionato) e combina “la tecnologia IA, la garanzia basata sul rischio e l’adattamento del modello di base con l’esperienza del dominio per far sì che gli LLM funzionino davvero per le aziende”. Secondo la Appen, l’80% degli sforzi per sviluppare l’intelligenza artificiale è dedicato alla gestione dei dati. La Appen garantisce di supportare i suoi clienti nell’approvvigionamento dei dati, nella loro preparazione e nella valutazione del modello realizzato in rapporto alla realtà; il committente, così facendo, potrà avviare con sicurezza i propri progetti, risparmiando tempo che potrà dedicare alle sue attività principali.

Sempre secondo la Appen, le aziende che ad essa si affidano per tali compiti passano dal progetto pilota alla produzione 3 o 4 volte più velocemente.

Le condizioni dei lavoratori della Appen

Il punto è che i suoi lavoratori hanno iniziato a reclamare ritenendo il loro lavoro troppo delicato e pieno di responsabilità per essere retribuito come fa la Appen. Per un anno hanno tentato di ottenere qualcosa sul piano retributivo e delle condizioni di lavoro, senza successo. Alla fine, sono stati licenziati due settimane dopo aver inviato la lettera al Congresso nella quale paventavano il rischio che la loro situazione avrebbe potuto ripercuotersi su Bard, il chatbot di Google per il quale stavano prestando la loro opera, aumentando i pericoli che l’IA può generare.

Due di questi lavoratori hanno cercato l’appoggio dell’Alphabet Workers Union, il sindacato dei dipendenti della società madre di Google. L’Alphabet Workers Union ricorda che il motto di Google (fino al 2015, quando alla nascita di Alphabet fu cambiato in “Fai la cosa giusta, Do the right thing) era “Don’t be evil”, “Non essere cattivo”, e assicura che il suo compito principale è proprio quello di far rispettare quel motto.

La reazione di Alphabet

“Faremo in modo che Alphabet agisca in modo etico e nel migliore interesse della società e dell’ambiente. Siamo responsabili della tecnologia che portiamo nel mondo e riconosciamo che le sue implicazioni vanno ben oltre Alphabet. Lavoreremo con le persone interessate dalla nostra tecnologia per garantire che serva il bene pubblico. Useremo il nostro potere per controllare ciò su cui lavoriamo e come viene utilizzato”. Con queste parole viene presentata la Mission del sindacato, che aderisce al CWA (Communications Workers of America) con 700.000 iscritti. È evidente che la sindacalizzazione dei lavoratori non è vista di buon occhio in un mondo abituato ad agire per di più in assenza di regole.

Ora, la Alphabeth ci tiene a precisare che “Appen è responsabile delle condizioni di lavoro dei propri dipendenti, inclusi retribuzione, benefici, cambiamenti di impiego e compiti loro assegnati”. Il portavoce di Google ha assicurato che la big tech rispetta il diritto di questi lavoratori di aderire a un sindacato o di partecipare ad attività organizzative, ma è una questione che devono affrontare col loro datore di lavoro, Appen”. Nella lettera al Congresso, i due rappresentanti sindacali hanno scritto che i lavoratori che valutano i chatbot “spesso non hanno abbastanza tempo per valutare risposte più lunghe”, e che “il fatto che i valutatori siano così sfruttati potrebbe portare a un prodotto difettoso e in definitiva più pericoloso”. La Appen ha motivato i licenziamenti con non meglio precisate “condizioni commerciali”.

L’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società

Adesso, con tutti gli allarmi lanciati a proposito dello sviluppo galoppante dell’Intelligenza artificiale, quella che inizialmente era una lotta per assicurarsi migliori condizioni di lavoro è diventata qualcosa di più: l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società.

La sfida tra Google e la rivale Microsoft per sviluppare e vendere strumenti di intelligenza artificiale e inserire la tecnologia nei prodotti esistenti, da Google Search a Microsoft Word, ha determinato il sempre maggiore ricorso a lavoratori esterni, parte degli enormi eserciti di lavoratori a contratto accumulati negli anni per fare di tutto, dalle mense gestite alla scrittura di codici per computer. I lavoratori forniti da Appen hanno contribuito per anni a migliorare la ricerca di Google, valutando i suoi risultati in termini di utilità e accuratezza. Ancor prima di marzo, quando ha messo a disposizione del mondo il suo chatbot, Google si è appoggiata a questi lavoratori a contratto. Una delle licenziate ha lamentato la drammaticità della situazione, con i valutatori che hanno un risicato limite di tempo per portare a termine i propri compiti: cinque minuti, ad esempio, per valutare una risposta dettagliata sulle origini della Guerra Civile, cosa che nessun essere umano può essere in grado di fare. Nel 2019, Google ha dichiarato che avrebbe iniziato a chiedere agli appaltatori di migliorare le retribuzioni dei propri dipendenti, ma sembra che, in conclusione, la situazione non sia cambiata di una virgola, mettendo insieme tutti gli elementi che concorrono alla determinazione complessiva delle prestazioni lavorative.

Lavoratori fantasma

Con la denuncia al National Labor Relations Board, i lavoratori stanno intensificando la lotta, attirando maggiore attenzione sulla realtà del lavoro a bassa retribuzione che sta dietro gli sviluppi dell’intelligenza artificiale all’avanguardia. La mole di lavoro del Board è però imponente, e quindi l’esame del ricorso potrebbe richiedere molto tempo. Ciò a conferma che negli ultimi anni il sistema delle Big Tech ha sfruttato enormemente la possibilità del ricorso ai lavoratori esterni.

Secondo i sindacalisti, essi sono “lavoratori fantasma”, non riconosciuti per l’enorme valore che forniscono a Google e alle altre società tecnologiche. Tanto da affermare che, senza il loro apporto, l’Intelligenza artificiale oggi non esisterebbe.

Conclusioni

Certo pensare che le società più potenti e ricche del pianeta abbiano fatto e facciano ricorso allo sfruttamento anche in un campo così delicato, sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica e dei governanti per gli enormi pericoli in esso insiti, non può che destare ancora maggiore preoccupazione e inquietudine. Con la speranza che ciò serva ad accelerare i processi di regolamentazione, a livello globale, che si sono messi in moto e dei quali si avverte vieppiù l’urgenza.

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