Il lavoro intellettuale sta trasformandosi. L’ambiente digitale, se da un lato ne determina la frantumazione, dall’altro si configura come incubatore di un nuovo pensiero collaborativo in grado di rigenerare forme d’impegno e d’azione collettiva che possono restituire valore alla passione delle generazioni più giovani.
E’ una domanda che si ripresenta ogni tanto. Ma sempre opportuna. Questa volta l’ha posta lo scrittore Roberto Cotroneo su La Repubblica: che fine hanno fatto gli intellettuali?
Cotroneo riconosce come in questi ultimi anni ci sia stato un florilegio di festival e iniziative culturali, che hanno dato visibilità quando non celebrità a scrittori e studiosi, ma senza che poi tali attività siano in grado di favorire il fine ultimo del lavoro intellettuale: aiutare la formazione di una classe dirigente e coadiuvare le decisioni della classe politica.
Ma forse bisogna fare un passaggio ulteriore e chiedersi: come e dove è possibile svolgere oggi quel lavoro intellettuale propedeutico agli obiettivi richiamati da Cotroneo?
Potremmo sinteticamente dire che si evidenzia un problema di spazi e di tempi.
La trasformazione dei lavoro intellettuale
Quali sono i luoghi in cui si può costruire il lavoro intellettuale? Certamente le università, che stanno fortemente innalzando i loro standard produttivi. Nonostante gli investimenti decrescenti e la conseguente diminuzione numerica, ricercatori e docenti sono sempre più competitivi a livello internazionale per quantità e qualità di produzione.
Ma tale produzione risponde a processi sempre più formalizzati, tesi a superare le griglie strette delle peer review attraverso cui si giunge a pubblicare i propri saggi, così come a raggiungere le agognate abilitazioni, propedeutiche al successo accademico. Procedure encomiabili, che stanno riducendo sensibilmente la discrezionalità, spesso discutibile, con cui in passato si costruivano le carriere universitarie. Tuttavia, tali procedure determinano il progressivo concentrarsi degli studiosi su oggetti di ricerca sempre più circoscritti, ottimamente indagati, ma senza quel respiro ampio che il lavoro intellettuale richiede. Ci si cala a testa bassa sul proprio percorso e non si ha tempo per librarsi in volo e riflettere a più ampio spettro su quello che si fa, sulle conseguenze prodotte, sugli opportuni consigli da fornire ai decision maker.
Non a caso nei festival, saloni e feste varie ruota – come osserva Cotroneo – una ristretta compagnia di giro rappresentata, per la componente universitaria, da un numero limitato di persone, quasi sempre a fine carriera e, quindi, meno impegnate in queste gare di posizionamento. Con un’indubbia sotto-rappresentazione dei più giovani, ovviamente vitali per favorire punti di vista innovativi.
Mentre le riviste culturali sono presidiate dall’immediatezza della comunicazione digitale, le riviste scientifiche sono coinvolte nell’arduo riconoscimento nei ranking e ingolfate dal lavoro di smistamento dei tanti saggi fra i valutatori delle peer review. Attività assolutamente meritorie, ma che distraggono direzioni e comitati scientifici dal lavoro culturale fatto in passato, spesso attraverso interminabili riunioni, in cui l’articolo sotto esame finiva per diventare un pretesto rispetto alla complessità dei ragionamenti che si sviluppavano.
Così si accorcia il tempo di vita della notizia
Se si passa alle testate giornalistiche si rintracciano altri problemi di tempi e di spazi. Impegnate nelle radicali trasformazioni imposte dalla rete, mostrano più di un affanno, causato sia dalla continua diminuzione del numero di copie diffuse sia dallo spostamento degli investimenti pubblicitari, a cui s’aggiungono la continua moltiplicazione di fatti, temi e soggetti che diventano notiziabili e la crescente urgenza dell’immediatezza. In altri termini, gli spazi informativi diventano sempre più densamente abitati da una maggiore varietà d’informazioni, mentre s’accorciano inesorabilmente i tempi caratterizzanti il ciclo di ogni notizia. Diventa molto difficile, in tali condizioni, attivare dibattiti e riflessioni ponderate, alla base del lavoro intellettuale.
Per quanto riguarda i partiti, è fin troppo facile osservare come le casuali quanto rapide carriere politiche si definiscano sempre meno dentro laboratori caratterizzati dal confronto, dal dibattito serrato e dalla coltivazione di un solido spirito critico. Ormai gli unici spazi del discorso politico sono quelli asfittici e circolari dei talk show, non a caso definito qualche settimana fa un genere morto da Angelo Guglielmi, che pure ha contribuito non poco a fondarlo. Discorsi che durano, al più, lo spazio di una serata.
La corsa per la conquista della “risorsa attenzione”
Per non dire di quello di post e tweet che affollano i nostri device, richiamando con incessante petulanza la nostra attenzione. Anch’essa una risorsa finita, sempre più distratta da una gran quantità di fatti, idee, opinioni, interessi prodotti da un numero crescente di soggetti che hanno bisogno di costruirsi una propria visibilità pubblica. Si determina così uno spazio pubblico tanto denso quanto continuamente caratterizzato dalla velocità di circolazione di eventi, emozioni, protagonisti che rendono difficile la sedimentazione: l’essenza del lavoro intellettuale.
Per non dire, poi, di un’altra questione spaziale. La definizione del perimetro entro cui stabilire la qualifica di intellettuale. I cantanti li possiamo inserire fra gli intellettuali? Si pensi a quanto siano importanti nella definizione dei nostri immaginari, esattamente come i registi e gli scrittori solitamente richiamati. E poi, sempre per tracciare il difficile compito di delimitazione dei confini, la facilità con cui si accede ai lavori e alle riflessioni di personaggi provenienti da tutte le parti del mondo. In che modo quest’allargamento dei contesti culturali entro cui ci muoviamo incide nella strutturazione dei percorsi intellettuali?
Digital transformation del lavoro intellettuale
Ed è proprio ragionando intorno alla labilità dei confini e delle categorie di pensiero entro cui ci muoviamo che si arriva a un altro luogo di produzione che sta consistentemente determinando la frantumazione del pensiero intellettuale: l’ambiente digitale.
Un ambiente dove si pone un enorme questione di spazio. Apparentemente infinito, ma proprio per questo perfetto per nascondere idee, progetti, protagonisti, innovatori. Uno spazio da cui facciamo emergere, per l’atavica paura del nuovo (anche se bisognerebbe smetterla di ritenere la rete e dintorni il nuovo), principalmente i fenomeni peggiori: hater, fake news, revenge porn e via discorrendo. Ma anche un luogo dove l’accelerazione temporale sembra ancora più ineludibile.
Eppure, è forse proprio lì dentro che bisognerebbe andare a guardare con maggiore attenzione per scoprire il sedimentarsi di un pensiero collaborativo che attraverso nuove strade e nuove forme – spesso passeggere e instabili – si stanno componendo idee originali, stabilendo peculiari forme d’impegno e d’azione collettiva, registrando specifiche tensioni per restituire alla centralità dei beni comuni l’intelligenza, l’impegno e la passione delle generazioni più giovani.
Forse proprio i luoghi prima descritti come classicamente riservati all’elaborazione del lavoro intellettuale dovrebbero osservarli con più attenzione. Casomai sperimentando nuove forme di collaborazione che permettano alle migliori e più efficaci fra queste specifiche e peculiari forme d’impegno di emergere e d’imporsi alla nostra attenzione, rigenerando quell’intelligenza collettiva che è il risultato principale del lavoro intellettuale.