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Lavoro on-site, hybrid o remoto? Come determinare l’idoneità allo smart working

Non tutte le attività sono adatte per il lavoro a distanza, così come non tutti i lavoratori sono idonei a lavorare da remoto. Cosa fare per capire in maniera puntuale e non approssimativa quali attività (e quali lavoratori) sono idonei al lavoro a distanza

Pubblicato il 11 Feb 2022

Cinzia Ciacia

Sociologa del lavoro, Docente di Sociologia generale presso l’Università di Roma Tor Vergata, Past Direttore generale SIT – Società Italiana Telelavoro

Employee Experience

Chi pensava che lo smart working dettato dall’emergenza avrebbe funzionato solo per un breve periodo ha dovuto ricredersi: come affermano numerose indagini e testimonianze, in un’epoca di profondi cambiamenti e insicurezze come quella attuale, ciò che è certo è che lo smart working è qui per rimanere[1].

Bisogna però chiedersi come determinare l’idoneità al lavoro a distanza, perché non tutti i profili e le posizioni lavorative sono adatte e non sempre i lavoratori sono pronti per lo smart working. Ma come fare? Quali sono i fattori da considerare e le analisi da effettuare?

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Perché determinare l’idoneità al lavoro a distanza

Il passaggio a un’organizzazione del lavoro più flessibile rappresentata dal lavoro a distanza, avvenuto nel corso degli ultimi due anni, è stata sì una necessità dettata dalla pandemia, ma non ha fatto altro che accelerare un processo già in atto da tempo ma che fino ad allora aveva interessato solo le organizzazioni maggiormente innovative, che avevano puntato sulla flessibilità per ottenere il giusto equilibrio tra la libertà dei lavoratori e la necessità di mantenere e addirittura migliorare la produttività[2].

Nel contesto odierno, in cui è diventato indispensabile interrogarsi su come cambiare l’organizzazione del lavoro in modo che i lavoratori possano contribuire con le loro idee e conoscenze al raggiungimento degli obiettivi comuni, sempre e ovunque, i problemi da affrontare sono diversi e riguardano sia fattori tecnologici, sia umani e organizzativi, tutti implicati nell’introduzione delle nuove modalità di lavoro.

In pochissimo tempo, lo smart working, grazie ai governi che l’hanno sostenuto per proteggere la salute senza causare danni irreparabili all’economia[3], è diventato una realtà condivisa da un gran numero di persone ed organizzazioni a livello globale. Nel nostro paese, nel periodo in cui le zone rosse tingevano la geografia italiana, il lavoro agile diventava una realtà per il 40%[4] dei lavoratori che si sono ritrovati da un giorno all’altro a svolgere le funzioni, di cui si occupavano in ufficio, presso la loro abitazione utilizzando diversi device tecnologici, di cui molti per la prima volta. La diffusione di questa innovativa modalità di lavoro, che ha coinvolto circa il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni e il 58% delle piccole e medie imprese[5] italiane, è avvenuta in un lasso di tempo così breve da non consentire ai datori di lavoro, ai manager e ai lavoratori di prepararsi adeguatamente.

I fatti, oltre che i ragionamenti, mostrano che laddove le nuove modalità lavorative erano già sviluppate è stato più facile adattarsi all’emergenza, mentre nei paesi come il nostro – da sempre all’avanguardia dal punto di vista normativo[6] ma meno pronto nella pratica all’introduzione delle modalità di lavoro flessibili – nonostante lo sforzo di accelerazione alla transizione digitale[7], si manifestano notevoli difficoltà da parte dei lavoratori e delle organizzazioni, si denunciano ritardi, inefficienze, inefficacia, in particolar modo nei servizi all’utenza e non soltanto in quelli legati al welfare e alla salute, dipendenti soprattutto dall’accresciuta richiesta di cure e prestazioni derivanti dalla pandemia. Le cause e il perdurare di queste problematiche nella maggior parte dei casi possono ricondursi, oltre che all’impreparazione inziale, alla mancata riorganizzazione del lavoro resa necessaria dall’introduzione del lavoro a distanza, che ora però occorre affrontare con immediatezza, non solo perché l’emergenza Covid-19 non è – purtroppo – affatto finita, ma anche perché ormai è molto difficile tornare indietro: il lavoro a distanza è infatti diventato una realtà per un gran numero di persone ed organizzazioni nel nostro paese come nel mondo: questi, dopo una prima fase di assestamento, hanno intravisto in questo cambiamento una vera e propria opportunità per migliorare la produttività e la qualità del lavoro e della vita delle persone.

Oggi, mentre nel nostro paese si producono “Linee guida” per regolare il lavoro agile all’interno delle strutture pubbliche[8] e si preannuncia a breve un nuovo regime normativo per il Lavoro agile[9], le imprese più pronte al cambiamento si sono già organizzate mentre le altre lo stanno facendo considerando il lavoro a distanza ormai parte imprescindibile della “new normality”, non solo e non tanto perché purtroppo l’emergenza non è ancora finita, ma anche e soprattutto perché sia per i lavoratori che si sono abituati alla flessibilità e alla libertà che il lavoro a distanza permette, sia per le organizzazioni che hanno compreso le opportunità offerte da questa innovativa modalità lavorativa.

Come determinare l’idoneità al lavoro a distanza

Come accennato, una serie di fattori incide sulla possibilità che un determinato lavoro possa essere svolto a distanza o meno. Numerosi studi[10] sulla quantità di forza di lavoro che può essere destinata al lavoro a distanza in tempi normali, hanno misurato l’incidenza del lavoro da casa in paesi con livelli diversi di sviluppo economico ed hanno messo in evidenza come la struttura economica ed occupazionale, l’accesso alla rete Internet a banda larga e il possesso di un computer siano indispensabili per lo smart working e come, con l’aumento dello sviluppo economico, aumenti la possibilità di lavorare a distanza. I paesi in cui una significativa parte della forza lavoro è occupata in settori che si avvalgono delle TIC, i servizi, la finanza, le assicurazioni e la pubblica amministrazione, possono destinare un numero maggiore di addetti al lavoro a distanza, mentre i paesi con una più ampia occupazione nei settori Agricolo, Manifatturiero, l’Edilizia e il Turismo, sono limitati in tal senso[11].

Per determinare l’idoneità al lavoro a distanza, non basta però tenere conto solo di questi fattori che valgono in generale, occorre effettuare un’analisi specifica finalizzata a individuare, caso per caso, i profili professionali, le posizioni lavorative e le persone adatte al lavoro a distanza. Tale analisi aiuta a capire se i lavoratori che sono stati temporaneamente autorizzati al lavoro a distanza a causa della pandemia si trovano in posizioni che si prestano ad esso e in caso affermativo quale tipologia di lavoro a distanza sia più idonea rispetto alle loro caratteristiche e condizioni personali.

Il punto da cui partire per la nostra analisi è dunque l’assunto centrale che non tutte le attività sono adatte per il lavoro a distanza, così come non tutti i lavoratori sono idonei a lavorare a distanza. Non di meno, dobbiamo tenere conto che esistono diverse soluzioni organizzative che consentono di modulare l’intensità del lavoro a distanza e che ognuna di queste può prestarsi più o meno delle altre alle diverse esigenze che di volta in volta vanno a manifestarsi.

Più avanti utilizzerò un case study che ho preparato su come determinare l’idoneità al lavoro a distanza. Ovviamente non essendo questo un contesto didattico, per cui solitamente viene utilizzato un caso di studio, la descrizione qui riportata rappresenta solo un esempio di applicazione pratica su come effettuare l’analisi della idoneità al lavoro a distanza, che nel caso specifico è rappresentato da una situazione reale.

Prima di procedere alla descrizione del caso di studio, procederò alle spiegazioni relative all’impianto metodologico utilizzato, che permettono di inquadrare in tutta la complessità l’analisi realizzata e, allo stesso tempo, la replicabilità in contesti analoghi.

Impianto metodologico

Come accennato in precedenza, le organizzazioni che già svolgevano lavoro a distanza, si sono riorganizzate più rapidamente rispetto alle altre e quelle che non l’avevano fatto prima si stanno riorganizzando adesso, sempre attraverso le metodologie e gli strumenti propri della progettazione organizzativa. Tra le prime e le seconde, quelle più attente nei confronti delle potenzialità offerte dalle nuove modalità lavorative, l’hanno fatto o lo stanno facendo utilizzando metodiche proprie dell’analisi organizzativa, con l’obiettivo anzitutto di capire di quali strumenti hanno bisogno i lavoratori per essere efficaci, autonomi e responsabili sempre, anche in modalità a distanza. Questa analisi, per essere efficace, si sviluppa su tre livelli:

  • Il primo relativo ai profili professionali o Analisi del lavoro;
  • il secondo relativo alle posizioni lavorative o Job Analisys;
  • il terzo e ultimo livello riguarda l’Idoneità dei lavoratori al lavoro a distanza.

Il documento che ne deriva è particolarmente completo e interessante e permette di tenere conto delle diverse modalità di lavoro a distanza, di cui di seguito effettuerò una rapida analisi per offrire un inquadramento generale.

L’analisi per tipologia di lavoro a distanza

Il lavoro a distanza si riferisce al tipo di modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, ma anche al tipo di organizzazione del lavoro e al modo di utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. A livello europeo la definizione di lavoro a distanza – su cui sono basate le statistiche ufficiali – riguarda le attività lavorative che potrebbero essere svolte presso la sede del datore di lavoro e sono invece svolte al di fuori di tali locali, attraverso le ICT, da casa, presso centri satellite/coworking o in modalità mobile, su base regolare[12] ovvero nell’ambito di un contratto/rapporto di lavoro, come definito dall’Accordo europeo[13]. In base a questa definizione, che prende in considerazione esclusivamente il lavoro subordinato[14] possiamo ricavare due tipologie principali di lavoro a distanza:

  • smart working al 100%, o Remote working, ovvero quello che si è affermato in piena pandemia, quando i lavoratori si sono ritrovati a svolgere il proprio lavoro dalla loro abitazione utilizzando i device tecnologici a loro disposizione;
  • il lavoro a distanza parziale, o Hybrid smart working o Hybrid working, che consiste nell’alternarsi del lavoro a distanza e in presenza, in pratica, un mix tra lavoro da casa e giornate in azienda; questa, oltre ad essere la modalità maggiormente consigliata dagli esperti, è solitamente preferita sia dalle imprese che dai lavoratori[15] perché facilita la comunicazione e il coordinamento organizzativo nonchè lo sviluppo delle relazioni professionali e interpersonali tra i lavoratori.

A queste occorre però aggiungere un’ulteriore tipologia, quella dello smart working occasionale[16], svolto senza regolarità e quindi non considerato dalle statistiche relative al lavoro a distanza in quanto al di fuori di un contratto/accordo di lavoro. Quest’ultima opzione è particolarmente interessante dal mio punto di vista, poiché consente un ulteriore livello di flessibilità organizzativa che può essere utilizzata nei casi in cui il lavoratore non può recarsi sul posto di lavoro per cause di “forza maggiore” a causa di necessità personali o altri imprevisti (cura di un familiare malato, condizioni atmosferiche particolarmente avverse, ecc. ecc.).

Ne risulta una ripartizione in cui, come sintetizzato di seguito (si veda Infografica Tipologie di lavoro a distanza) in corrispondenza di ognuna delle tre tipologie cambiano le caratteristiche in relazione alla frequenza del loro utilizzo, che vanno dal poco frequente del lavoro a distanza “occasionale”, al lavoro a distanza “parziale” o “ibrido”, fino al 100% del lavoro “remoto”.

Nessuna di queste tipologie è migliore dell’altra, nessuna corrisponde a modelli predefiniti: ogni organizzazione può assumere quella che più si adatta alle proprie esigenze, tenendo conto che ciascuna di esse comporta, come rappresentato di seguito, indicazioni diverse in relazione ai profili professionali, alle posizioni lavorative e ai soggetti maggiormente idonei al suo impiego.

Requisiti e aree di applicazione

Il primo aspetto da prendere in considerazione per determinare le attività che possono essere svolte a distanza è la natura delle mansioni lavorative. L’esempio classico che si fa per intenderci è quello dell’addetto all’altoforno presso una fabbrica siderurgica: infatti è immediatamente evidente a tutti come, in questo caso, non essendo decentrabili né l’impianto, né le materia prime, si tratti di un lavoro che non può essere svolto a distanza. Un esempio analogo nei servizi è rappresentato dall’attività di front-office, poiché richiede un rapporto “face-to-face”, necessariamente basato sulla presenza fisica. Difatti, anche se le attività di front-office classiche si vanno riducendo grazie all’utilizzo delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC), è tuttavia indispensabile, per alcuni servizi rivolti ad un’utenza generalizzata, consentire anche a coloro che non dispongono delle tecnologie e delle capacità idonee, di accedere a tali servizi in presenza. Ciò non toglie la possibilità, come avviene già nella maggior parte dei casi, che tali servizi vengano erogati in modalità Hybrid, ovvero sia a distanza che in presenza, per consentire a tutti di accedervi.

In generale, tutte le attività di tipo intellettuale, legate all’informazione e alla conoscenza, possono essere svolte a distanza. Una posizione tipica adatta allo smart working è quella che prevede responsabilità che possono essere condotte a distanza, utilizzando le TIC più diffuse (Internet, chat, videoconferenza, ecc.) senza influire sulla qualità del servizio o sulle operazioni organizzative.

Analisi del lavoro e Job Analysis

Per capire in maniera puntuale e non approssimativa quali attività sono idonee al lavoro a distanza, occorre ricorrere all’Analisi del lavoro, definita dal punto di vista metodologico come un esame organizzato, molto approfondito, basato sull’osservazione, la ricerca e lo studio, condotto per raccogliere informazioni su una determinata attività lavorativa, relativa alla natura e ai requisiti principali di un lavoro specifico. Essa permette di ottenere le seguenti indicazioni[17]:

1. attività svolte nell’ambito lavorativo;

2. modalità di esecuzione delle attività lavorative;

3. qualità richieste per l’effettuazione del lavoro.

È fondamentale, quindi, che l’analisi sia svolta per ogni specifica posizione interna al posto di lavoro. L’analisi del lavoro si accompagna quindi alla Job Analysis centrata sulle posizioni lavorative, con lo scopo di individuare i requisiti e le componenti delle specifiche posizioni che si prestano al lavoro a distanza. In particolare, si definiscono idonee al lavoro a distanza tutte quelle attività lavorative che rispondono ai seguenti requisiti:

– possono essere svolte in autonomia;

– possono essere organizzate e programmate dal singolo lavoratore;

– consentono con facilità il controllo e la valutazione dei risultati;

– implicano bassa frequenza di comunicazione face-to-face con colleghi e superiori.

In sostanza, le attività lavorabili a distanza sono tutte quelle che prevedono un approccio alle attività di tipo project oriented, organizzate cioè su specifici progetti, in modo da consentire la necessaria autonomia per chi le realizza ed una facilità di controllo e di valutazione per le organizzazioni; si basano sulla creazione, l’elaborazione e la trasmissione di dati, informazioni e prodotti a distanza (articoli, relazioni, traduzioni, progetti …), nonchè su prestazioni lavorative, scadenze e risultati ben definiti, misurabili con criteri certi e non approssimativi in modo da poter pianificare l’attività lavorativa; permettono, infine, una soddisfacente comunicazione con i colleghi e con i clienti anche per mezzo delle ICT.

Perché la Job analysis e l’Analisi del lavoro non bastano

La valutazione della posizione adatta per il lavoro remoto o ibrido deve però basarsi oltre che sulle mansioni lavorative, anche sulle competenze possedute dal lavoratore e sulla prontezza per il lavoro a distanza. Non sempre i lavoratori sono adatti per il lavoro a distanza: neo-assunti e altro personale che non ha raggiunto un grado elevato di autonomia, ad esempio, possono non essere adatti allo smart working; alcuni dipendenti poi per caratteristiche personali possono essere più pronti di altri a gestire il lavoro a distanza. Il soggetto tipicamente adatto al lavoro a distanza, sia Remote che Hybrid, è un soggetto capace, competente e auto-motivato, che sa svolgere il proprio lavoro in autonomia, che ha un alto rendimento e che è stimolato dall’operare in un ambiente di lavoro indipendente (si vedano infografiche Remote work e Hybrid work).

Tra le due tipologie di smart worker, quello che cambia sono sostanzialmente le competenze: nel caso dello smart worker Remote, il lavoratore non possiede competenze critiche per il funzionamento dell’unità organizzativa, a differenza di quello Hybrid che invece possiede competenze che richiedono la sua parziale presenza per l’ottimale funzionamento dell’unità di cui fa parte.

Ovviamente, nel caso in cui le mansioni non si prestino ad essere svolte a distanza, come può essere per esempio per l’addetto all’assistenza infermieristica in un ospedale tradizionale (altra cosa, ovviamente è una struttura innovativa, come ad esempio un net hospital[18], dove l’assistenza si svolge, almeno in parte, a distanza), dove le competenze del lavoratore sono critiche per il funzionamento dell’unità in presenza, il lavoro deve necessariamente svolgersi on-site. In questo caso il lavoratore può non aver maturato le conoscenze, motivazioni e capacità di rendimento, né essere stimolato nel lavorare in un contesto indipendente, qualità che come visto sono invece necessarie per il lavoro a distanza (si veda Infografica 4 – On-site work).

Case study

Un caso particolarmente interessate di applicazione delle metodologie di cui si è detto nei paragrafi precedenti è rappresentato dall’Università di Washington[19] (Seattle, Washington), la quale ha realizzato una sorta di guida[20] ad uso dei diversi District universitari per agevolare l’individuazione di quali attività lavorative possano continuare a svolgersi a distanza anche in caso di rientro post-pandemia. In tale documento sono infatti descritti i profili professionali e le posizioni lavorative per i quali è/non è raccomandato il lavoro a distanza. A questo proposito la guida dell’Università di Washington si rivolge a tutti i lavoratori, anche i liberi professionisti, il personale impegnato per periodi temporanei e altri profili non classificati, che operano all’interno dell’organizzazione.

Le indicazioni da usare per la definizione dell’idoneità del lavoro a distanza

In merito alle mansioni svolte dai diversi profili professionali, a seconda delle informazioni raccolte, la guida fornisce ai responsabili dei diversi servizi le seguenti indicazioni da poter utilizzare ai fini della definizione della idoneità del lavoro a distanza:

  • tipicamente idonee al lavoro a distanza – quando le mansioni lavorative del profilo professionale in genere si prestano al lavoro a distanza;
  • non tipicamente idonee al lavoro a distanza – quando le mansioni lavorative del profilo professionale in genere non si prestano al lavoro a distanza (in questa tipologia sono compresi tutti i profili di lavoro “temporanei” a causa della loro breve durata);
  • indeterminate – quando le mansioni lavorative del profilo professionale non sono abbastanza specifiche per determinare se il lavoro è in genere idoneo al lavoro a distanza (ad esempio, “Aiutante temporaneo del personale” o “Posizione nell’ambito di un progetto di personale professionista”). In questi casi la determinazione deve essere effettuata dal responsabile a livello di specifica posizione.

Le posizioni che non si prestano al lavoro a distanza

Sulla base dell’analisi delle posizioni lavorative l’Università distingue tra posizioni che non si prestano al lavoro a distanza e posizioni che si prestano al lavoro a distanza; quelle che non si prestano al lavoro a distanza sono le seguenti:

  • posizioni le cui mansioni lavorative richiedono l’accesso a personale specifico, file in loco o spazi/attrezzature/tecnologie specializzate al fine di svolgere efficacemente il lavoro;
  • posizioni che avevano regolari interazioni di persona con l’utente/studente pre-COVID e che sono diventate meno efficienti o efficaci in un ambiente remoto;
  • posizioni le cui mansioni lavorative richiedono la partecipazione a riunioni o presentazioni in loco;
  • posizioni in cui il lavoro a distanza rende necessari al datore di lavoro costi aggiuntivi, ad esempio, la duplicazione di apparecchiature per ufficio;
  • posizioni in cui il continuo lavoro a distanza dei dipendenti abbia un impatto negativo sulle prestazioni del team.

Le caratteristiche delle posizioni che si prestano al lavoro a distanza

Le posizioni che si prestano al lavoro a distanza hanno le seguenti caratteristiche:

  • le mansioni lavorative possono essere svolte al di fuori del luogo di lavoro;
  • il lavoro a distanza non influisce sulla qualità del servizio o sulle operazioni organizzative;
  • il lavoro a distanza non aggiunge costi aggiuntivi al datore di lavoro;
  • il lavoro a distanza non influisce negativamente sulle prestazioni del team.

Il documento indica, in definitiva, quali profili professionali del personale interno ed esterno sono in genere adatti al lavoro a distanza. Queste indicazioni sono intese come “guida generale” per orientare le unità organizzative su quali posizioni del personale contrassegnare come tipicamente adatte e quali no al lavoro a distanza, in base alle mansioni e alla posizione lavorativa. Quando si assumono nuovi dipendenti o i dipendenti attuali sono interessati a nuovi accordi lavorativi, non vi è il divieto di prevedere accordi di lavoro a distanza per i dipendenti del personale in posizioni “Non tipicamente idonee al lavoro a distanza “, ma in questo caso si raccomanda di considerare attentamente questi indicatori.

Per quanto riguarda nello specifico l’ultima parte della Job Analysis basata sul livello di posizione, i risultati non sono pre-determinati ma indicati dalle specifiche Unità organizzative, e prendono in considerazione sia le caratteristiche delle mansioni lavorative che le caratteristiche delle specifiche posizioni lavorative. In base a ciò, i valori indicati dalle Unità organizzative includono le seguenti tipologie di posizioni:

  • tipicamente idonea al lavoro a distanza (remoto/ibrido), quando i compiti della posizione in genere si prestano a una certa quantità di lavoro a distanza.
  • non tipicamente idonea al lavoro a distanza, quando i compiti della posizione in genere non si prestano a nessuna tipologia di lavoro a distanza.

Nel valutare una nuova richiesta di lavoro a distanza o una richiesta di estendere un accordo di smart working preesistente, l’Università di Washington invita i manager a considerare se il dipendente ha livelli di prestazioni soddisfacenti sul posto di lavoro e se ha dimostrato capacità di:

  • assegnare priorità al fine di rispettare le scadenze lavorative;
  • autodisciplina e svolgimento delle mansioni lavorative con supervisione/direzione minima;
  • seguire costantemente le politiche universitarie e le norme del team indipendentemente dal luogo di lavoro;
  • comprendere il suo ruolo e le aspettative del lavoro;
  • organizzazione, disciplina e auto-motivazione;
  • comunicazione e coordinamento in modo efficace con clienti, parti interessate e componenti del team tramite telefono, e-mail e Zoom /Teams;
  • gestione del tempo in modo efficace;
  • soddisfacimento delle prestazioni lavorative e/o i livelli di produttività, sia in loco che a distanza.

L’Università invita quindi i manager, prima di approvare una richiesta di lavoro a distanza, a considerare eventuali modifiche necessarie per garantire che il loro team continui a raggiungere i suoi obiettivi e assicurarsi che sia lo smart worker che il prodotto del suo lavoro siano gestiti in modo efficace allo stesso modo che in presenza.

Ulteriori aspetti che l’Università invita a considerare riguardano:

  • lo spazio di lavoro di cui il dipendente dispone al di fuori del luogo di lavoro, in quanto influenza il successo dello smart working;
  • riunioni regolari in presenza o interazioni di persona tra cliente/cliente/studente, a seconda della loro frequenza e dal grado in cui sono gestite direttamente dal dipendente, possono precludere un accordo ibrido (ad esempio, mentre un consulente o un formatore può essere in grado di pianificare incontri nei giorni in cui è sul posto di lavoro, un consulente a disposizione degli studenti o un dipendente che svolge attività di front office al servizio clienti non è in grado di svolgere il lavoro a distanza ibrido).

Gli accordi di lavoro Remoto all’Università di Washington sono supportati dalla presenza di politiche e di requisiti specifici e basati sulla presenza di determinate competenze o circostanze di salute o di assistenza familiare.

Oltre a considerare i criteri del lavoratore di cui sopra per lo smart working ibrido, l’Università invita i manager a valutare le prestazioni del dipendente rispondendo alle seguenti domande aggiuntive:

  1. le prestazioni lavorative e/o la produttività del dipendente durante il lavoro a distanza COVID sono rimaste stabili o migliorate?
  2. si tratta di un dipendente-chiave per l’organizzazione in quando dispone di una significativa conoscenza istituzionale o possiede competenze uniche difficili da sostituire/replicare?
  3. il costo del reclutamento e della formazione di un nuovo dipendente sono in grado di ovviare all’impatto sulla cultura del lavoro in team e su eventuali sfide che il lavoro a distanza può comportare?
  4. il dipendente gestisce un team grande o complesso? il continuo lavoro a distanza del dipendente metterà a repentaglio le prestazioni del team?

Conclusioni

Al termine di tale esame la decisione sull’accordo di lavoro a distanza tra l’Università e il lavoratore può prevedere che lo smart working sia delle seguenti tipologie:

  • accordo di lavoro remoto (lavoro a distanza al 100%), in cui i dipendenti lavorano da remoto;
  • accordo di lavoro a distanza ibrido ibrido (3 giorni o più/settimana), in cui i dipendenti lavorano a distanza tre o più giorni per settimana lavorativa;
  • accordo di lavoro a distanza ibrido (2 giorni o meno/settimana), in cui i dipendenti lavorano a distanza due giorni o meno per settimana lavorativa;
  • lavoro a distanza occasionale consentito, ai dipendenti non in smart working, durante sospensioni operative o in caso di eccezionali esigenze personali è consentito, previa approvazione del manager, lo smart working occasionale.

Le determinazioni finali in materia di smart working sono a discrezione della direzione, che le prende in modo ponderato, coerente e trasparente, sulla base dei molteplici fattori considerati, dando priorità all’equità e al coinvolgimento dei dipendenti.

Tali determinazioni sono inoltre riviste con il dipendente per eventuali modifiche o aggiornamenti almeno una volta all’anno.

Note

  1. Cfr. Microsoft (2021) Work Trend Index, Annual Reports, The Next Great Disruptions Is Hybrid Work, 22 Marzo 2021.
  2. Cfr. ILO (2020, Il telelavoro prima e dopo la pandemia di Covid-19. Una guida pratica, Roma, Organizzazione Internazionale del Lavoro.
  3. Baldwin, R., Di Mauro, B., W., (2020) “Introduction”, in Baldwin, R., Di Mauro, B., W., (eds), Economics in the Time of COVID-19 [4], a VoxEU.org eBook, CEPR Press.
  4. Cfr. Ciacia, C., (2021), Lo smart working prima e dopo la pandemia: nuovi modelli di lavoro per non tornare indietro, Agendadigitale.eu. 19 novembre 2021.
  5. Dati Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano https://www.osservatori.net/it/ricerche/comunicati-stampa/smart-working-emergenza-covid19-new-normal.
  6. Nel nostro paese il Lavoro agile è disciplinato dalla Legge n.81 del 22/05/17.
  7. Cfr. Ciacia, C., (2021), Lo smart working prima e dopo la pandemia: nuovi modelli di lavoro per non tornare indietro op.cit.
  8. “Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 1, comma 6, del decreto del Ministro per la pubblica amministrazione recante modalità organizzative per il rientro in presenza dei lavoratori delle pubbliche amministrazioni”, pubblicate il 30 novembre 2021.
  9. Nel nostro paese il Lavoro agile è disciplinato dalla Legge n.81 del 22/05/17.
  10. Hatayama, M., Heran, W., Mariana, V., (2020), Jobs’ Working from Home: evidence from skills surveys from 53 Countries, Working Paper 9241, World Bank Policy Research; Dingel, J., Neiman, B., (2020), How many jobs can be done at home? Working Paper 26948, NBER; OIL, (2020), Lavorare da casa: stimare il potenziale mondiale. Sintesi programmatica di aprile, Roma, Organizzazione Internazionale del Lavoro.
  11. ILO, (2020), Il telelavoro prima e dopo la pandemia di Covid-19. Una guida pratica, Roma, Organizzazione Internazionale del Lavoro.
  12. Cfr. Eurofound Teleworking, 21 december 2021 (europa.eu).
  13. L’Accordo europeo sul Telework del 16 luglio 2002 è stato recepito nel nostro paese con Accordo interconfederale del 9 giugno 2004.
  14. In tale definizione non è compreso il lavoro a distanza svolto dai professionisti o lavoratori autonomi, in parte considerato nelle statistiche del lavoro a domicilio dell’OIL.
  15. Secondo il sondaggio CEO Outlook Pulse 2021 di KPMG solo il 50% si sente a proprio agio a lavorare interamente da casa (home.kpmg).
  16. Il lavoro a distanza “Occasional Smart work o Telework” è a livello europeo oggetto di statistiche diverse rispetto a quello regolare, parziale (Hybrid) o totale (Remote) e non ha niente a che vedere con il lavoro occasionale inteso come fattispecie giuridica.
  17. Cfr. Prien, E. P., Goodstein, L. D., Goodstein, J., (2009), “A Practical Guide to Job Analysis”, Pfeiffer & Company; Costa G., Gianecchini M., (2009), “Risorse umane: persone, relazioni e valore”, McGraw-Hill.
  18. Il Mercy Virtual Hospital di Chesterfield, negli USA, è il primo ospedale virtuale al mondo e rappresenta un interessante caso di telemedicina: un ospedale di quattro piani, senza neanche un letto, dove vi lavorano 330 fra medici e infermieri che gestiscono da remoto circa 2.400 pazienti. In Israele la telemedicina è ormai una realtà molto diffusa: le strutture sanitarie utilizzano normalmente piattaforme intelligenti che permettono di condividere dati, condurre visite e perfezionare diagnosi in remoto, piattaforme di monitoraggio basate su sensori capaci di prevenire eventi clinici acuti o peggioramenti drastici.
  19. L’università di Washington è una struttura pubblica fondata nel 1861 a Seattle nello Stato di Washington, Stati Uniti d’America, è la più grande del Nord-Ovest americano e una delle più antiche della West Coast. L’università di Washington è dotata di tre campus, il più grande dei quali è quello dell’University District di Seattle mentre gli altri si trovano a Tacoma e a Bothell (Washington).
  20. La Guida è pubblicata sul sito https://hr.uw.edu/returntowork/planning-for-fall-quarter-return/determining-eligibility-for-hybrid-or-remote-work.

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