sociologia

La risposta della legge italiana al cyberbullismo

Anche questo fenomeno appare ormai come un continuum tra l’offline e l’online, pur conservando peculiarità nelle dimensioni sociali e temporali. Analizziamolo alla luce della letteratura scientifica internazionale

Pubblicato il 02 Dic 2016

Nicola Strizzolo

docente associato Sociologia Università di Teramo

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L’importanza della nuova legge in materia (da settembre) è che è la prima, in Italia, a dare una definizione di bullismo e di cyberbullismo (comma 2 e 3 art 1; da Meazza, 2016):

– «con il termine “bullismo” si intendono l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, a danno di una o più vittime, anche al fine di provocare in esse sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni e violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni, anche aventi per oggetto la razza, la lingua, la religione, l’orientamento sessuale, l’opinione politica, l’aspetto fisico o le condizioni personali e sociali della vittima»;

– «con il termine “cyberbullismo” si intende qualunque comportamento o atto, anche non reiterato, rientrante fra quelli indicati al comma 2 e perpetrato attraverso l’utilizzo della rete telefonica, della rete internet, della messaggistica istantanea, di social network o altre piattaforme telematiche. Per cyberbullismo si intendono, inoltre, la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione on line attraverso la rete internet, chat-room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali, effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operati mediante mezzi informatici e la rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, ovvero di pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima».

Legge sul cyberbullismo, impatto su dimensioni temporali e sociali

La vittima (anche maggiorenne, se minorenne attraverso un genitore o chi ne esercita la responsabilità) può rivolgersi direttamente al gestore del sito web, del social media, del servizio di messaggistica o altra rete per l’oscuramento, rimozione e blocco dei contenuti. Questi inoltre dovrà dotarsi di specifiche procedure per la gestione di tali istanze.

Vi si aggiunge la procedura di ammonimento e l’aggravante della sostituzione di identità, della diffusione di dati sensibili, informazioni private e la registrazione di fatti di violenza e di minacce (con una pena che può arrivare fino a 6 anni). Inoltre viene predisposta la confisca per gli strumenti utilizzati per questo reato.

Sono anche previsti referenti e percorsi mirati nelle scuole e un tavolo tecnico presso la presidenza del consiglio “con il compito di redigere un piano di azione integrato per contrastare e prevenire il bullismo e realizzare una banca dati per il monitoraggio del fenomeno” [Altalex 2016].

La proposta di legge ha sollevato dibattiti sulla eccessiva rigidità e tendenza ad una diffusa censura. Eppure realmente, oltre a tutelare così, anche drasticamente, la vittima del crimine, è un tentativo pratico – ovviamente la pratica non sarà mai perfetta quanto le obiezioni e le alternative teoriche – di agire su due dimensioni che, anche sulla base di letteratura internazionale, parrebbero essere quelle che rendono peculiare il cyber bullismo: quelle sociali e temporali.

Se infatti una dimensione, interna alla persona, presenta conseguenze, non molto dissimili dal bullismo tradizionale, con alcune varianti nella letteratura, come depressione, calo dell’autostima, ansia, distress, bassa rendita nello studio, difficoltà di concentrazione, abbandono scolastico fino a correnti suicidogene, quella che cambia nella versione cyber è la dimensione sociale e temporale del fenomeno.

Nella dimensione sociale del cyber bullismo una discriminante è l’esposizione, non poche volte virale, dei soprusi e violenze (non è un caso che la legge ponga in questo l’aggravante), che rendono l’insicurezza della persona colpita potenzialmente replicabile in ogni contesto per il semplice fatto che può ipotizzare che molti, tanti abbiano visto la sua umiliazione riprodotta e divulgata nel web. Si pensi se poi nota ad altri potenziali bulli pronti ad attivare la violenta dialettica con la vittima, che viene così etichettata nella condivisione sociale estesa. Rammentiamo la testimonianza, da un caso analogo, ma non precisamente di bullismo, della ragazza che si è suicidata dopo la divulgazione di sue performance erotiche: riportava l’aggressione verbale di sconosciuti che la bersagliavano di insulti a carattere sessuale (visibili allora anche online).

L’altra dimensione che questo disegno di legge in qualche maniera cerca di riparare dal danno è quella del tempo, ovvero attraverso la cancellazione dei contenuti, di limitare l’esperienza drammatica al vissuto offline e non alla memoria digitale che altrimenti renderebbe potenzialmente perpetua (e socialmente diffusa) la pubblica umiliazione della vittima.

Cyberbullismo, chiedere aiuto ai professionisti

Rimangono ovviamente e pur sempre i danni interni alla persona, che devono venire affrontati da professionisti, per non incidere sul lungo termini o riaffiorare in contesti futuri, sulla sua esistenza e di chi intorno a lui.

Abbiamo preso in considerazione letteratura internazionale sull’argomento che cerca di comprendere se vi siano differenze tra il bullismo tradizionale e quelle cyber: rispetto al primo, rilevano nel cyberbullyng una maggiore presenza femminile nelle vittime (come anche da dati italiani), un maggior numero di “carnefici” del gentil sesso e un aspetto di delusione e conseguente sfiducia maggiore nei rapporti, in quanto gli attacchi vengono da persone che si presentavano, almeno nei social, da amici. Infine, anziché la forza fisica del bullo in classe, quello che è preponderante, nel web, è la popolarità, che diventa schiacciante negli attacchi verso chi è nei social, meno popolare e così più indifeso, se non anche, attaccabile dagli amici del bullo online. Infine e ovviamente, tutti gli aspetti di anonimato, di poter simulare l’identità, rendono più facile e appetibile, il praticare bullismo online che quello offline. Ma, generalmente, i testi sono per lo più concordi a definire il cyber bullismo online come un sotto tipo di quello tradizionale e le ricerche a rilevare, grosso modo, una sovrapposizione tra le due forme, sia per la fusione dell’offline che con il web, continuazione l’uno dell’altro, sia proprio per l’evidenza del dato incrociato (ovvero vittime e carnefici tendono a coincidere, se non per le sovrammenzionate differenze).

Per cui, molto probabilmente, questa proposta di legge non sbaglia a trattare insieme i due crimini e per quanto riguarda gli aspetti paventati, potrà essere sicuramente perfettibile, anzi si auspica sempre di ogni prodotto legislativo in funzione anche del mutare dei fenomeni che regola, ma –  considerazione personale – è preferibile sapere una potenziale vittima in più difesa da questo crimine che qualche insulto – e non stiamo parlando di informazione – in meno nel web.

Riferimenti:

Altalex (2016): www.altalex.com/documents/news/2016/09/21/bullismo-e-cyberbullismo

Meazza L. N. (2016), Cyberbullismo e bullismo, proposta di legge approvata alla Camera, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 9 in www.giurisprudenzapenale.com/2016/09/21/bullismo_cyberbullismo/

Kowalski R.M., Limber Susan P. (2013), Psychological, Physical, and Academic Correlates of Cyberbullying and Traditional Bullying , Journal of Adolescent Health 53 (2013) S13eS20,

Waasdorp T.E., Bradshaw C.P. (2015), The Overlap Between Cyberbullying and Traditional Bullying, Journal of Adolescent Health 56 (2015) 483e488

Horner S., Asher Y., Fireman G. (2015), The impact and response to electronic bullying and traditional bullying among adolescents, Computers in Human Behavior 49 (2015) 288–295

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