“Un’epidemia è un fenomeno sociale che ha alcuni aspetti medici” affermava Rudolf Virchow, medico tedesco e pioniere dell’anatomia patologica vissuto nel XIX secolo.
È stato lo stesso direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, a definire la pandemia da Covid-19 come una “infodemia”, termine coniato per indicare una circolazione eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.
Vaccini contro disinformazione, la partita non è persa: ecco perché
Nell’era digitale e dei social media, la circolazione virale – è il caso di dirlo – di fake news e campagne di disinformazione ha trovato terreno fertile anche grazie alla condizione di incertezza e impreparazione di fronte a una minaccia del tutto nuova e inaspettata. Incertezza che a sua volta, in determinati casi, ha alimentato uno scetticismo e una sfiducia preesistenti nei confronti delle istituzioni e della gestione della salute pubblica.
Secondo una ricerca pubblicata sul The American Journal of Tropical Medicine and Hygiene, basata su dati raccolti tra il 31 dicembre 2019 e il 5 aprile 2020, nei primi 3 mesi del 2020 quasi 6000 persone in tutto il mondo sono state ricoverate in ospedale e che almeno altre 800 potrebbero essere morte per aver dato credito a informazioni errate sul Covid-19, come quella secondo cui il virus potesse essere debellato ingerendo grandi quantità di metanolo.
Ulteriori ricerche condotte da enti come il think tank 1928 Institute e la Royal Society of Public Health, hanno evidenziato che gli individui appartenenti al cosiddetto gruppo BAME (Black, Asian, and minority ethnic) si sono rivelati meno propensi a voler ricevere il vaccino rispetto alla popolazione “bianca”. Un’analisi più approfondita del Mile End Institute della Queen Mary University ha rilevato che solo il 39% dei cittadini londinesi appartenenti a minoranze etniche fosse disposto a ricevere la dose.
Queste indagini hanno riscontrato che, in moltissimi casi, le motivazioni legate a tale tendenza sono principalmente di carattere culturale e religioso. Molte delle persone intervistate hanno infatti dichiarato di essere preoccupate che l’assunzione del vaccino possa compromettere la dieta vegetariana o che non sia “halal” (in base alla convinzione secondo cui all’interno del vaccino vi siano elementi di origine animale). Tuttavia, secondo quanto dichiarato dal dottor Ranj Singh del National Health Service, tra le ragioni della diffidenza riscontrata negli individui appartenenti alle minoranze etniche, non può non essere considerata la lunga storia di “razzismo sanitario”, che ha creato nel tempo un clima di sfiducia all’interno della comunità BAME.
I danni dell’infodemia in Africa
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Africa, i cui 1,3 miliardi di persone rappresentano il 16% della popolazione mondiale, ha ricevuto meno del 2% delle dosi di vaccino contro il Covid-19 somministrate in tutto il mondo. Il raggiungimento dell’obiettivo di vaccinare il 60% della popolazione entro la fine del 2022 potrebbe essere ostacolato dalle preoccupazioni legate alla percezione, da parte degli africani, dell’affidabilità dei lotti AstraZeneca, che sono stati resi disponibili nell’ambito del programma COVAX, finalizzato a garantire l’accesso al vaccino nei paesi in via di sviluppo.
La Costa d’Avorio è stato il secondo paese a ricevere le dosi dal programma COVAX, con più di 500.000 dosi di AstraZeneca disponibili a partire dal 26 febbraio 2021; tuttavia, dopo circa un mese, le somministrazioni si attestavano sulla soglia delle 34.388. Secondo gli esperti sanitari, la scarsa performance della Costa d’Avorio potrebbe essere il risultato di campagne di disinformazione che hanno provocato un aumento della sfiducia nella popolazione. Aissata Sanon, specialista in comunicazione per lo sviluppo dell’Unicef, ha affermato che “i nostri paesi sono abituati alle campagne di vaccinazione, ma in questo caso l’influenza dei media internazionali nella gestione delle informazioni sul vaccino sta rafforzando lo scetticismo”.
Sudafrica a rischio nuova variante senza lotta alle fake news
La disinformazione sul Covid-19 ha preso piede anche in Sudafrica, uno dei paesi più colpiti dalla pandemia nel continente africano. Secondo Hannelie Meyer, farmacista e consulente del South African Vaccine and Immunization Center (Savic), vi sarebbero circa 20.000 sudafricani, su una popolazione di 59 milioni, che risultano effettivamente attivi sulle pagine Facebook anti-vax. Uno studio risalente al 2015 ha rilevato che la maggior parte delle campagne anti-vacciniste diffusesi in Sud Africa nel corso degli anni ed esplose ulteriormente durante la pandemia, provengano in realtà dall’estero, in particolare dagli Stati Uniti, come le false affermazioni sulla correlazione tra vaccini e modifica del DNA, propagandate da un osteopata americano.
Un sondaggio internazionale di Ipsos condotto su oltre 18.000 partecipanti per conto del World Economic Forum (WEF) ha indicato che solo il 73% circa dei partecipanti in 15 paesi sarebbe disposto a ricevere i vaccini contro il Covid-19. In Sudafrica, circa il 64% dei partecipanti si dichiarava disposto a ricevere il vaccino.
Le istituzioni sudafricane stanno lavorando per arginare il fenomeno della disinformazione relativa al Covid-19 e al piano vaccinale, stilando anche un vero e proprio elenco di fake news, consultabile sul sito web ufficiale del Governo. Secondo il ministro dell’istruzione superiore, della scienza e dell’innovazione Blade Nzimande, particolarmente pericolose sono le teorie del complotto, che spesso inficiano il processo decisionale sia a livello individuale che di gruppo, portando a compiere azioni come la distruzione delle antenne per il 5G in alcune parti del paese. Un professore presso il Consiglio di ricerca sulle scienze umane (HSRC), Priscilla Reddy, ha confermato che la pandemia ha avuto un profondo impatto sociale sui cittadini sudafricani, e che se il fenomeno delle fake news non verrà affrontato, è possibile che la copertura vaccinale nel paese sarà inferiore all’obiettivo previsto del 67%, favorendo inoltre la potenziale diffusione di una nuova variante.
I social e la diffusione di disinformazione sul covid in India
Nel continente asiatico, le dinamiche osservate sono risultate estremamente simili. L’India, con più di 19 milioni di casi di contagio registrati nei primi giorni di maggio 2021, ha visto un picco del consumo di contenuti sui social media, in concomitanza con le rigorose misure restrittive imposte dal governo nel marzo dello scorso anno per controllare la diffusione del virus.
Principali canali di diffusione della disinformazione sul Coronavirus sono stati proprio i social, insieme alle piattaforme di messaggistica come WhatsApp, che conta oltre 500 milioni di utenti nel paese. Osservatori e attivisti affermano che le autorità indiane non hanno intrapreso azioni sufficienti per arginare il fenomeno della disinformazione tra la popolazione, ed anzi, alcuni personaggi pubblici e alti funzionari sono risultati essi stessi responsabili della diffusione di fake news, come nel caso di un alto funzionario governativo che a metà aprile, quando il numero di casi di Covid aveva raggiunto l’apice, aveva raccomandato alla popolazione di affidarsi a terapie alternative in caso di sintomi lievi o asintomaticità.
Il Pakistan e il vaccino “haram”
In Pakistan, molti cittadini di fede islamica hanno sviluppato la convinzione che il vaccino fosse “haram” (non lecito, secondo i dettami dell’Islam), a causa di false affermazioni secondo cui il vaccino conterrebbe gelatina di maiale e tessuti di feti umani. Anche in questo caso, la principale fonte di disinformazione è risultata essere WhatsApp, utilizzato dal 39% della popolazione del paese, oltre ad alcuni popolari social media come YouTube e Facebook.
Lo scetticismo verso i vaccini in Sud America
La campagna vaccinale ha subito gli effetti della disinformazione anche in Sud America. In Bolivia, una delle sfide che deve affrontare il Governo, che deve far fronte a un’ondata di nuove infezioni, è rappresentata dalle fake news che stanno alimentando lo scetticismo della popolazione; come nel caso di alcuni volantini distribuiti da gruppi anti-vax, in cui si afferma che i vaccini conterrebbero materiale “satanico”. Gli operatori e i funzionari sanitari hanno espresso preoccupazione per la bassa affluenza in alcuni siti di vaccinazione, affermando che molte dosi rischiano di andare sprecate. La Bolivia, come gran parte del Sud America, è martoriata da una nuova ondata di contagi, con un totale di 340.000 infettati e 14.000 morti registrati nella seconda metà di maggio.
La disinformazione sul Covid-19 e sui vaccini ha raggiunto anche villaggi remoti dell’Amazzonia, ancora una volta principalmente tramite WhatsApp.Secondo gli esperti, tra le ragioni della bassa adesione alla campagna vaccinale in Brasile vi è, anche in questo caso, la presenza di fake news che circolano sulla nota applicazione di messaggistica, gran parte delle quali provengono da politici e leader religiosi, come lo stesso presidente Jair Bolsonaro, che lo scorso settembre aveva affermato che nessuno avrebbe potuto convincerlo ad assumere il vaccino, dichiarando inoltre che “il popolo brasiliano non sarà la cavia di nessuno”. La diffusione di messaggi e contenuti multimediali tramite l’applicazione WhatsApp aveva già avuto un ruolo fondamentale nella campagna elettorale del 2018, da cui il leader brasiliano era uscito vittorioso.
Conclusioni
Attualmente, uno degli sforzi più significativi per arginare il dilagare di questa “infodemia” è rappresentata dalla serie di iniziative messe in campo dall’OMS, in collaborazione con il governo del Regno Unito, finalizzate alla creazione e diffusione di contenuti per combattere la disinformazione attraverso una serie di campagne di comunicazione, come “Stop the Spread”, concepita con lo scopo di aumentare la consapevolezza del pubblico incoraggiando le persone a verificare le informazioni, limitando così il danno e la diffusione di notizie false; o come “Reporting Misinformation”, lanciata lo scorso agosto, con il proposito di spingere le persone non solo a verificare le informazioni, ma a segnalare le eventuali fake news alle varie piattaforme social. Quest’ultima campagna ha raggiunto milioni di persone in tutto il mondo, e poco dopo il suo lancio è diventata la seconda pagina più visitata sul sito web dell’OMS in relazione al Covid-19.