Circa un miliardo e trecento milioni di persone vivono in Africa, Nel primo trimestre 2021, gli africani rappresentavano l’11.5% degli utenti mondiali di internet. Questi numeri da soli lasciano intuire quale possa essere l’interesse delle Big Tech in Africa, senza considerare lo sviluppo crescente della nuova imprenditoria africana.
E quando ci riferiamo alle Big Tech, non pensiamo solo ad Apple, Facebook, Google, Amazon e Microsoft, ma anche ad Alibaba, Netflix, Tencent, Tesla, Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), Twitter, IBM e Samsung.
Facebook e diritti umani: perché le policy non sono uguali per tutti
Queste società sono ben note per le loro innovazioni tecnologiche che hanno cambiato abitudini di vita e creato nuove professioni. Esse sembrano tutte essere attratte dall’Africa, non solo quale mercato, ma anche quale una nuova frontiera dell’innovazione tecnologica considerato lo sviluppo continuo dei mercati di numerosi paesi. Ad esempio, nel 2019, cinque dei paesi al mondo con la maggiore velocità di sviluppo dell’economia sono i seguenti paesi africani: Ghana, Sud Sudan, Ruanda, Etiopia e Costa d’Avorio. Per il 2025 le previsioni ipotizzano che il continente raggiungerà un prodotto interno lordo di circa 4,5 di trilioni di dollari USA (con una crescita di quasi i tre quarti rispetto all’attuale). In aggiunta in Africa sono attivi oltre 643 tech hub, Tutto ciò non può sfuggire alle Big Tech, i cui appetiti crescono di pari passo. Solo Google, ad esempio, sta pianificando investimenti per circa un miliardo di dollari.
Evidenziare quindi aspetti positivi ma anche interrogativi che concernono gli investimenti che si stanno eseguendo in Africa.
Investimenti e mire espansive delle big tech in Africa
A partire dal 2015, Facebook ha iniziato a investire in Africa, con la costituzione di un quartier generale a Johannesburg, Sud Africa, con l’intento di assecondare e sostenere l’espansione nel continente, con il risultato di estendere la propria rete di consumatori in Nigeria, Kenya, e Sud Africa, e l’effetto di contribuire alla crescita del prodotto interno lordo in modo rilevante. Del resto, la stessa Facebook ha rilasciato comunicati secondo i quali le aspettative di crescita dei PIL legata al suo utilizzo in Africa sono di circa 57 miliardi di dollari USA nei prossimi 5 anni (il risultato non sorprende chi conosce le realtà africane, dove le piccole e le medie imprese spesso affidano la propria conoscibilità ai canali social, senza creare pagine e siti web).
Altri importanti investimenti sono eseguiti da Google, che ha aperto il suo promo intelligence lab in Ghana, con una speciale attenzione sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale per rispondere alle esigenze economiche, politiche e ambientali. Quest’investimento è volto a fornire soluzioni pratiche a problemi concreti, quali ad esempio l’utilizzo della app conosciuta quale TensorFlow che aiuta gli agricoltori a individuare le patologie che aggrediscono i raccolti. Cionondimeno molti si interrogano su quale tipo di informazione sia effettivamente offerta agli utilizzatori sull’uso dei dati così acquisiti.
Non solo gli Stati uniti, ma anche i colossi cinesi investono in Africa. Alibaba ad esempio ha sottoscritto un memorandum of understanding con il governo etiope al fine di creare una piattaforma elettronica di vendita (eWTP), facilitando l’incontro tra imprenditori locali e la comunità internazionale.
L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre la povertà e mentre non esistono al momento report che possano indicare quali risultati sono stati raggiunti in Etiopia, Alibaba è forte di propri report che mostrano come questi risultati sono stati raggiunti in Cina, con la realizzazione della rete di vendita Taobao Wang e la creazione di circa un milione di posti di lavoro.
Importanti sono anche gli investimenti e le attività svolte da molti degli operatori dei pagamenti digitali (quali VISA, Mastercard e Salesforce), che stanno investendo in startup e sostanzialmente hanno il merito di consentire l’accesso ai servi finanziari anche ai soggetti cosiddetti “unbanked”
[Image source: Further Africa]
La figura sopra riportata indica gli investimenti delle Big Tech in Africa, attraverso la costituzione di sedi e il lancio di programmi d’investimento. Si aggiungono a essi la concessione di donazioni e gli investimenti in equity che costituiscono le forme più conosciute di supporto finanziario.
Per dare una percezione, nel 2018, le startup hanno raccolto 725 milioni di dollari USA in 458 progetti. Nel 2020, nonostante la pandemia, vi è stata un’ulteriore crescita concentrata su energie rinnovabili (greentech), sanità (healthtech) e agricoltura (agritech). La pandemia ha anzi ancora più accelerato sulla ricerca di soluzioni tecnologiche che possano ovviare ai rischi di contatto, attraverso il distanziamento sociale. Correntemente il Sud Africa ha il numero più elevato di tech hubs (59), seguito dalla Nigeria (55), Egitto (33) 3 dal Kenya (31).
Le sfide poste dagli investimenti
Come sempre, non tutto ciò che brilla è oro.
L’espansione dei giganti del Tech, con il vertiginoso incremento d’investimenti, se da un lato crea nuove occupazione e tonifica quelle esistenti, pone anche molti interrogativi.
A partire dal trattamento dei dati personali (per i quali si è parlato in Africa di neocolonialismo) sino a giungere ai temi di gender equality. Se infatti l’Africa è caratterizzata dal forte coinvolgimento delle donne nelle imprese di piccole dimensioni, le startup sembrano essere prevalentemente a ideazione e conduzione maschile (il coinvolgimento femminile giunge solo al 27%)
Briter Bridges (agenzia che svolge servizi di market insight) riporta che soltanto il 3% degli investimenti in startup dal 2013 al 2021 sono guidati da donne, mentre per quanto concerne I fondi donati, essi sono andati a favore di startup guidate da uomini per il 76%.
La necessità di creare un equo sistema digitale
L’impressione percepita in Africa è quella di sentirsi una nuova frontiera, con notevoli occasioni di prosperità e di riscatto. Com’è accaduto però in epoca colonialista anche al di là dell’Oceano Atlantico, si aprono due strade: uno sfruttamento sistematico delle risorse senza creare un valore che rimanga nel tempo, oppure la creazione di una nuova civiltà che possa assicurare un benessere equo e duraturo.
Ci piace concludere con questo interrogativo posto da Maximus Ametorgoh, un esperto di IT del Ghana, fondatore di Esports Academy and CEO di PopOut. Riferendosi alle big tech, afferma: “esse stanno soltanto assorbendo le nostre potenzialità nel loro ecosistema, giusto come un utero per la creazione di nuove idee e valori e quindi perderle in un ancor più grande gigante della tecnologia, lasciando poi il Continente a iniziare da solo di nuovo?”
La risposta non è semplice e dipenderà anche da quanto gli Africani vorranno per il loro Continente