Fino a qualche anno fa, se si parlava di realtà virtuale si stava parlando di qualcosa di fantascientifico. Matrix è l’esempio obbligato, ma l’idea di vivere in una realtà parallela e immersiva ha affascinato generazioni di scrittori fin dal 1933. Prima ancora che si parlasse del primo computer, c’era chi immaginava che in futuro si sarebbero potuti programmare i sogni e decidere di restare “addormentati” nel mondo di propria scelta.
Oggi, a 90 anni dalla prima stesura di The Man Who Awoke di Laurence Manning, la realtà virtuale è… realtà.
È ancora una nicchia, non è ancora estremamente diffusa in parte a causa dei costi (sempre più accessibili, in realtà), disponibilità dell’hardware, impegno di spazi, ma è qualcosa che è già entrato nelle case, e che ha mille applicazioni diverse. Certamente una tra tutte è quella del videogioco, ma non solo. Anche visite virtuali in città o musei, video immersivi, programmi creativi di scultura e pittura, addestramento interattivo al lavoro e terapia psicologica.
I benefici della realtà virtuale in terapia
Che benefici ha l’uso della realtà virtuale (o Virtual Reality, VR da qui in poi) in terapia? Le qualità immersive sono molto forti, e il nostro cervello risponde moltissimo agli stimoli che riceve dal mondo virtuale. Basti pensare che uno dei primi scogli che ci si trova ad affrontare, da novizi di VR, è quello della nausea. Sì perché ci sono alcune azioni dalle quali il nostro cervello si aspetta di ricevere dei feedback e, quando non li riceve, la sensazione di disorientamento può essere anche forte. Muoversi in VR, a meno che non si tratti delle nostre immediate vicinanze, vuol dire muoversi nell’ambiente virtuale ma non in quello reale. Questo crea uno scompenso e porta a una sensazione di nausea alla quale possiamo ovviare solo tramite abituazione. Non è semplice superare questa difficoltà iniziale, e alcune azioni sono di più difficile abituazione rispetto ad altre. Ad esempio? Guidare un’automobile o un aereo in VR. Consciamente sappiamo che quello che vediamo non è reale, ma affrontare una curva, dalla quale dovremmo subire spinte laterali (la famosa forza G) non può darci le stesse sensazioni, e il nostro cervello si lascia abbindolare, compensando per qualcosa che non esiste.
La realtà virtuale si pone come un mondo di mezzo tra la realtà e la nostra immaginazione. È quasi un limbo, nel quale possiamo provare in maniera vivida esperienze, fantastiche o realistiche, in un contesto in cui abbiamo il controllo e le conseguenze delle nostre azioni sono temporanee. Ma quali sono le applicazioni pratiche della VR negli ambiti della psicologia?
Le applicazioni pratiche della VR negli ambiti della psicologia
Una fra tutte riguarda la terapia di esposizione. Una tecnica formalizzata dallo psichiatra Wolpe nel 1958, e che prevede di trattare fobie e altri disturbi d’ansia tramite l’esposizione controllata allo stimolo fobico. Due metodi tradizionali prevedono l’esposizione “in immaginazione” e “in vivo”. In VR è possibile un nuovo tipo di esposizione, in cui l’ordine, intensità e tipo di stimoli è perfettamente controllabile dal terapeuta. Una realtà italiana che mette in pratica questa tecnica è IDEGO, con diverse esperienze in realtà virtuale mirate a trattare, ad esempio, fobie specifiche verso gli animali, la paura di volare, e la paura delle altezze.
La particolarità della VR è la flessibilità dello strumento, e del controllo che il terapeuta ha sugli stimoli. Gli stimoli possono essere interrotti, ripresi e ripetuti in maniera identica tutte le volte necessarie in una situazione simile a quella in vivo, ma protetta. È certamente un campo ancora nuovo e da esplorare nelle sue potenzialità, ma promettente e con implicazioni interessanti per quanto riguarda la facilità di accesso alla terapia. Ma davvero si può replicare in VR la sensazione di “blocco” che si prova, ad esempio, quando ci si sente travolti dalle vertigini e dalla paura dell’altezza? Sappiate che ci sono decine di video online di persone che tentano la Richie’s Plank Experience, una semplice app che ci vede impegnati a camminare su un’asse di legno posta ad altezze estreme tra palazzi. Potrete osservare le reazioni di decine di persone all’esperienza, il che ci dà una buona indicazione del senso di presenza che si prova (oltre a farci fare qualche risata a loro spese), nonostante consciamente sappiamo di essere ben saldi a terra.
La realtà virtuale per allenare l’empatia
A proposito del senso di presenza, un’altra possibile applicazione è quella di allenare l’empatia. Uno studio pubblicato nel 2021 ha cercato di confrontare l’effetto sull’empatia di studenti di infermieristica tramite il gioco di ruolo a computer e tramite l’utilizzo della realtà virtuale. Ne è emerso che la realtà virtuale può essere uno strumento utile, dato che nei partecipanti allo studio ai quali sono stati forniti visori Oculus GO la presenza spaziale ed empatia (misurate tramite questionari) erano maggiori rispetto a chi ha preso parte all’esperienza usando un laptop. Gli studenti in VR si sono sentiti più parte del contesto e emotivamente più investiti rispetto a chi non l’aveva usata.
Nello specifico, i partecipanti hanno giocato a una sessione di 10 minuti di That Dragon, Cancer, un videogioco narrativo che racconta la vera storia della battaglia contro il cancro di un bambino, Joel Green. Nello specifico, i partecipanti hanno giocato la sezione riguardante il momento in cui viene comunicato ai genitori di Joel che il cancro del figlio è terminale. I partecipanti hanno riportato di sentirsi come facenti effettivamente parte della situazione, come fisicamente presenti nella stanza con i genitori di Joel. Hanno inoltre riportato che avrebbero voluto fare qualcosa di concreto per aiutarli e risolvere i loro problemi.
I limiti di questo studio non permettono di prendere questi risultati come una certezza, ma guardarli insieme alle altre evidenze ci permette di iniziare a considerare la realtà virtuale come uno strumento decisamente interessante.
Realtà virtuale e mista per il training sul lavoro
Immaginiamo per un attimo un altro contesto: il training sul lavoro.
Guardando un video di addestramento si riescono a cogliere alcuni elementi del lavoro, e ad imparare alcuni compiti. Con un programma interattivo, sfruttando i benefici della gamification (l’inserimento di elementi di gioco in contesti non ludici), si riesce ad imparare meglio e in meno tempo il compito.
E con la realtà virtuale, o realtà mista? L’effetto è ancora di più amplificato in quanto la persona può essere immersa nel contesto e avere la fisicità dell’azione che poi andrà a compiere fuori dal contesto addestrativo. La persona è parte attiva nel processo di apprendimento, e non solo spettatore passivo che riceve istruzioni su come compiere un compito.
Ancora meglio, oltre al training c’è di più: tramite il visore si può avere una supervisione a distanza estremamente efficace. Uno specialista può guidare un operatore sul posto tramite il visore. Lo specialista ha accesso alla telecamera sul visore vedendo effettivamente tutto ciò che l’operatore vede in tempo reale, e può interagire con la sovraimpressione che l’operatore vede tramite il visore, fornendo non solo indicazioni a voce, ma evidenziando elementi nello spazio intorno all’operatore, fornendo indicazioni l’esatto procedimento in maniera intuitiva e chiara.
Conclusioni
Forse per quanto riguarda il mercato videoludico la VR è ancora una nicchia non profittevole, con solo pochi entusiasti disposti alla spesa e all’impegno (diverso dal semplice sedersi sul divano e iniziare a videogiocare), ma per quanto riguarda applicazioni non ludiche? Forse queste potrebbero guidare l’interesse per questa tecnologia verso utilizzi più pratici; c’è certamente bisogno di più tempo prima di poter effettivamente quantificare l’efficacia della VR nelle sue applicazioni, ma quanto visto finora è molto promettente e apre la strada a molte idee e alla semplificazione, e all’abbattimento di distanze.
Bibliografia
Ma, Zexin & Huang, Kuo-Ting & Yao, Lan. (2021). Feasibility of a Computer Role-Playing Game to Promote Empathy in Nursing Students: The Role of Immersiveness and Perspective. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking. 10.1089/cyber.2020.0371.
Sitzmann, Traci. (2011). A meta-analytic examination of the instructional effectiveness of computer-based simulation games. Personnel Psychology. 64. 489 – 528. 10.1111/j.1744-6570.2011.01190.x.