I disturbi parafilici rappresentano condizioni cliniche in cui l’eccitazione sessuale è persistentemente stimolata in modo ricorrente, protratto per un periodo minimo di sei mesi, da oggetti o attività sessuali insolite. L’etimologia del termine parafilia ha le sue radici nella parola “para”, che suggerisce una deviazione rispetto agli schemi di attrazione sessuale normale, comunemente denominati “philia”. All’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), sono state riconosciute e categorizzate nove forme specifiche di disturbi parafilici, ognuna caratterizzata da manifestazioni specifiche di comportamento sessuale non convenzionale.
Questi disturbi, che tendono a verificarsi più frequentemente tra gli individui di sesso maschile, comprendono una serie di comportamenti parafilici, tra cui il voyeurismo, l’esibizionismo, la pedofilia, il frotteurismo, il sadismo ed il masochismo sessuale, il feticismo, il disturbo da travestimento nonché altre manifestazioni non altrimenti specificate. Inoltre, come opportunamente indicato da Fisher & Marwaha (2020), l’insorgenza di questi disturbi può manifestarsi già in precoce età, talvolta anticipando persino la pubertà.
Diagnosi di un disturbo parafilico
La diagnosi di un disturbo parafilico richiede sia la presenza di angoscia personale, che non sia derivante esclusivamente dalla disapprovazione sociale, sia una compulsione sessuale capace di causare disagio sia psichico che fisico a un’altra persona coinvolta a sua insaputa. Tuttavia, è importante sottolineare che l’analisi di questi nove disturbi non può coprire completamente la vasta gamma di comportamenti parafilici descritti in letteratura.
Le manifestazioni specifiche dei disturbi parafilici secondo il DSM-5
Alcune di queste azioni, a causa delle loro implicazioni negative per l’individuo o per gli altri, possono sfuggire alla definizione di disturbo parafilico, come specificato dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013). Pertanto, la questione sui disturbi parafilici rimane un campo complesso che richiede un’attenta valutazione clinica e l’utilizzo di strumenti di valutazione sempre più avanzati per identificare con precisione la differenza tra comportamenti sessuali normali e patologici.
Un’indagine preliminare pubblicata nella rivista scientifica “Psychology of Consciousness: Theory, Research, and Practice” (Ambler et al., 2017) ha suggerito che il BDSM consensuale possa indurre “piacevoli stati alterati di coscienza.”
La ricerca ha coinvolto 14 esperti praticanti BDSM, suddivisi in dominanti e sottomessi, e ha rilevato che tali attività non solo favoriscono stati di flow in linea con la teoria di Csikszentmihalyi (1991), ma riducono anche lo stress psicologico e aumentano il benessere sessuale. Studi aggiuntivi indicano che i praticanti del BDSM sono caratterizzati da meno nevroticismo, maggiore estroversione, apertura a nuove esperienze, maggiore coscienziosità e una maggiore percezione di benessere soggettivo (Van Assen & Wismeijer, 2013).
Eziologia dei disturbi parafilici: traumi emotivi e esperienze sessuali precoci
Sebbene l’eziologia dei disturbi parafilici rimanga in gran parte enigmatica, diverse teorie sono state avanzate per gettare luce sulla manifestazione di tali abitudini.
La teoria dell’apprendimento sociale sostiene che una considerevole parte del comportamento sessuale umano, incluso il manifestarsi di comportamenti parafilici, sia prevalentemente influenzata da processi di apprendimento e modellamento derivanti da interazioni sociali e influenze familiari. (Kaplan & Krueger, 1997; Laws & Marshall, 1990).
In aggiunta, numerose teorie e modelli hanno avanzato l’ipotesi che esperienze negative durante l’infanzia, come violenze genitoriali o relazioni disfunzionali tra genitori e figli, possano costituire precursori rilevanti di comportamenti sessuali devianti, sia con che senza una manifesta parafilia (Marshall & Barbaree, 1990; Lussier et al., 2005). Studi concentrati su specifici disturbi parafilici hanno suggerito una possibile correlazione tra l’abuso sessuale subito in età infantile e comportamenti sessuali pedofili in età adulta (Dhawan & Marshall, 1996; Freund et al., 1990; Bagley et al., 1994; Seghorn et al., 1987; Lee et al., 2002).
Tuttavia, nonostante alcuni rapporti indichino una prevalenza elevata di abusi sessuali infantili tra autori di reati pedofili (Dhawan & Marshall, 1996; Freund et al., 1990; Bagley et al., 1994; Seghorn et al., 1987; Lee et al., 2002; Garland & Dougher, 1990; Hanson & Slater, 1988; Haywood et al., 1996), non è stato stabilito in modo conclusivo un legame causale tra l’abuso infantile e la comparsa della pedofilia in età adulta.
Tre meccanismi fondamentali che possono contribuire all’insorgenza delle parafilie
George R. Brown, eminente psichiatra, ha delineato con precisione tre meccanismi fondamentali che possono contribuire all’insorgenza delle parafilie. In primo luogo, egli enfatizza la rilevanza di precoci traumi emotivi, i quali possono interferire in maniera significativa con il tipico sviluppo psicosessuale di un individuo. In seconda battuta, egli identifica l’esposizione precoce a esperienze sessuali intensamente cariche come un fattore che potenzialmente rafforza l’associazione tra tali esperienze e il piacere sessuale nell’individuo. Infine, l’acquisizione di modalità di eccitazione sessuale legate a oggetti simbolici e condizionanti rappresentano un ulteriore elemento che potrebbe contribuire alla formazione delle parafilie (Brown, 2021).
Sebbene i fattori psicologici possano influenzare la manifestazione o la repressione degli impulsi sessuali devianti in un individuo, è verosimile pensare che anche i fattori biologici siano predisponenti e modulatori nel determinare tali comportamenti sessuali devianti.
Diverse evidenze scientifiche suggeriscono la possibile implicazione di fattori genetici nello sviluppo della pedofilia e del disturbo pedofilico. Uno studio recente, focalizzato sulla neurotrasmissione nei disturbi parafilici, ha fornito prove che suggeriscono un ruolo centrale della dopamina nella patogenesi dei disturbi parafilici e nella regolazione generale del comportamento cosciente. Le analisi condotte in uno studio recente hanno rivelato un aumento dei livelli di serotonina e norepinefrina, accompagnato da una diminuzione della concentrazione di acido 3,4-diidrossifenilacetico (DOPAC) nelle urine dei partecipanti affetti da disturbi parafilici. Questi risultati hanno permesso di stabilire una correlazione tra la serotonina e la norepinefrina con i disturbi ossessivi e, al contempo, un’associazione tra il DOPAC e i disturbi affettivi e dissociativi (Kamenskov & Gurina, 2019).
La tecnosessualità
Nella società contemporanea di oggi, il soddisfacimento delle fantasie sessuali ha subito una notevole evoluzione, con la transizione dalla sfera fisica e tangibile a quella digitale.
Il termine “tecno-sessuale,” coniato per la prima volta nell’edizione del New York Magazine del 18 maggio 1970, denota una forma di parafilia in cui l’eccitazione sessuale è costantemente innescata, amplificata o condotta attraverso l’impiego della tecnologia (Waskul, 2015). La tecnosessualità si manifesta in due concetti principali: il primo interpreta la tecnologia come una forza culturale che influenza o plasmata la sessualità umana, mentre il secondo riguarda l’attrazione sessuale esplicita che gli esseri umani possono nutrire verso la tecnologia stessa.
È di fondamentale importanza sottolineare però come essa non rientri in una categoria specifica di orientamento sessuale, ma piuttosto si presenta in una diversificata gamma di manifestazioni e sfaccettature. Questo fenomeno sfida le nozioni tradizionali riguardanti la sessualità umana e apre nuove frontiere di ricerca nell’epoca digitale, mettendo in evidenza come la tecnologia possa influenzare in profondità le dinamiche emotive e sessuali delle persone (Foucault, 1993). La ricerca sulla tecnosessualità si è concentrata su una serie di aspetti complessi e interconnessi, tra cui le interazioni fisiche con la tecnologia, la rappresentazione online dell’identità sessuale, nonché le pratiche sessuali emergenti e gli atteggiamenti influenzati dalle innovazioni tecnologiche in questo campo.
L’uso della pornografia in realtà virtuale
Negli ultimi anni, l’uso della pornografia in realtà virtuale (VR) ha registrato una notevole crescita. Le evidenze indicano che questo incremento è dovuto principalmente alla percezione di una maggiore intimità rispetto alla pornografia tradizionale e all’illusione di interagire con gli attori porno (Dekker et al., 2021). In uno studio condotto da Arne Dekker e colleghi, cinquanta uomini eterosessuali sani, con un’età compresa tra 18 e 60 anni, sono stati coinvolti in una ricerca sulla percezione della pornografia in VR. In questo studio, è stata esaminata anche la funzione del neuropeptide ossitocina (OXT) nel facilitare l’intimità e nel modulare le interazioni sociali attraverso l’aumento del contatto visivo con gli occhi (Guastella et al., 2008).
Durante l’esperimento, tutti i partecipanti hanno visionato due film pornografici, uno in realtà virtuale e uno bidimensionale (2D), in giorni successivi. Entrambi i film avevano una durata di 25 minuti e presentavano scene di rapporti sessuali eterosessuali in prima persona tra un uomo e due donne. I partecipanti sono stati assegnati casualmente a quattro gruppi con diverse sequenze di visione dei film. Inoltre, sono stati raccolti campioni di saliva cinque minuti prima dell’inizio del film (T1) e immediatamente dopo la sua conclusione (T2) per valutare i livelli di ossitocina di ogni partecipante. Nella condizione VR, i partecipanti hanno indossato un visore HTC Vive e cuffie per la cancellazione del rumore (Bose QuietComfort35), mentre nella condizione 2D, la visione del film è avvenuta in una stanza priva di distrazioni utilizzando un monitor piatto e le medesime cuffie Bose.
La percezione della pornografia in VR è stata valutata attraverso una serie di questionari autovalutativi, somministrati durante e dopo la visione dei film, riguardanti l’eccitazione sessuale e il desiderio per le attrici. Successivamente, i partecipanti hanno esaminato immagini delle attrici presenti nei film, fornendo giudizi su vari aspetti, tra cui la percezione di interazione con le pornostar e l’esperienza vissuta in prima persona (es. “Mi guardava negli occhi”, “Flirtava con me”, “Lei farebbe di tutto per i soldi”, “Mi sono sentito come se stessi usando le attrici”). I risultati dello studio hanno dimostrato che nella condizione VR, i partecipanti hanno riportato una maggiore eccitazione sessuale e un maggiore desiderio per le pornostar rispetto alla visione del film in 2D. È interessante notare come una significativa presenza di ossitocina nei livelli salivari sia correlata a una maggiore percezione di contatto visivo con le attrici virtuali. Alla luce dei risultati ottenuti da questa sperimentazione, emerge chiaramente come la realtà virtuale sia un potente strumento in grado di ricreare con efficacia esperienze sessuali intime.
Il mondo degli assistenti vocali
Parallelamente alle indagini svolte sulla realtà virtuale, una ricerca denominata “Speak easy” realizzata dall’agenzia pubblicitaria statunitense J. Walter Thompson (2017), ha voluto esplorare il mondo degli assistenti vocali coinvolgendo oltre 1.000 utenti maggiorenni di smartphone e 100 possessori di dispositivi Amazon Echo presenti nel Regno Unito. Dai risultati della ricerca è emerso che il 37% degli utenti coinvolti ha espresso un forte attaccamento ai propri assistenti vocali, arrivando persino a desiderare che fossero persone reali. Ancora più sorprendente, il 26% ha dichiarato di aver avuto fantasie sessuali legate alle voci dei propri assistenti vocali.
Questa dinamica, in cui le persone sviluppano una connessione affettiva e sessuale con le voci degli assistenti vocali, sta emergendo come un fenomeno sempre più preponderante all’interno della cultura contemporanea. Sebbene sia importante notare che la comprensione delle relazioni tra gli esseri umani e l’intelligenza artificiale è ancora in evoluzione, Skjuve et al. (2021), basandosi sulla teoria della penetrazione sociale (Social Penetration Theory, SPT), hanno concluso che le relazioni tra gli esseri umani e l’intelligenza artificiale possono effettivamente svilupparsi, evolversi e dissolversi in modo simile a quelle tra individui umani.
La teoria della penetrazione sociale (SPT) postula che, con lo sviluppo di una relazione, la comunicazione interpersonale si sposti da livelli superficiali e non intimi a livelli più profondi e intimi. Il progresso nella relazione avviene principalmente attraverso la rivelazione di sé, ovvero quando le persone condividono deliberatamente informazioni personali come motivazioni, desideri, sentimenti, pensieri ed esperienze con gli altri. Man mano che le persone si avvicinano l’una all’altra, le interazioni positive e il rinforzo positivo permettano loro di raggiungere livelli più profondi di intimità.
Le ricerche condotte su chatbot sociali, quali XiaoIce (Shum et al., 2018) e Replika (Ta et al., 2020), insieme a quelle focalizzate su chatbot destinati alla gestione della salute mentale, come Woebot (Fitzpatrick et al., 2017) e Tess (Fulmer et al., 2018), offrono evidenze significative riguardo alla capacità dei chatbot di stabilire una percezione di relazione con gli utenti. Tali studi si sono avvalsi dell’analisi delle risposte degli utenti e delle loro recensioni, rivelando che i chatbot sono in grado di fornire un supporto emotivo e instillare un senso di compagnia percepito dagli utenti. Nell’indagine su Replika condotta da Ta et al. (2020), l’analisi delle recensioni degli utenti ha evidenziato frequenti menzioni relative al supporto emotivo e alla compagnia fornita dal chatbot. Gli utenti hanno riconosciuto l’accettabilità del chatbot e la sua capacità di soddisfare le loro esigenze di comunicazione, considerandolo un partner virtuale adatto all’instaurazione di una relazione.
La progettazione di tratti caratteriali, quali l’empatia, è stata identificata come un elemento cruciale per aumentare la probabilità di instaurare relazioni a lungo termine con i chatbot (Bickmore et al., 2010). Inoltre, è emerso che le risposte empatiche e le competenze sociali dei chatbot, come osservato nel caso di XiaoIce, costituiscono elementi chiave per mantenere relazioni durature con gli utenti (Zhou et al., 2018).
La tecnosessualità e le nuove frontiere dell’espressione sessuale
La tecnosessualità può condurre all’insorgenza di Attività Sessuali Online (OSA). I fattori che rendono il sesso su Internet un mezzo potente sono l’accessibilità, la comodità e l’anonimato. Questa triade che caratterizza le attività sessuali online è definita come “The Triple A Engine” da Cooper, Scherer, Boies e Gordon (1998a).
Il termine “cybersesso“, noto anche come “netsex”, “mudsex” o “cybering”, fa riferimento a pratiche in cui due o più individui partecipano a giochi di ruolo sessuali in un ambiente virtuale, con o senza coinvolgimento della masturbazione (Daneback et al., 2005). Un aspetto intrigante di questa pratica è la creazione di avatar ideali o fantastici, che consente agli individui di abbandonare temporaneamente la loro identità fisica per partecipare a incontri sessuali virtuali con altri utenti che agiscono attraverso avatar personalizzati. Secondo la classificazione proposta da Cooper, Putnam e Boise (1998a), esistono tre tipologie di utenti di netsex. La prima categoria comprende gli “utenti ricreativi o non patologici” che utilizzano il web principalmente per esplorare la propria sessualità, soddisfare la curiosità o scopi educativi. Il numero di piattaforme e siti web dedicati a tali interessi è in costante aumento, come dimostra l’esempio del social network FetLife, incentrato sulla comunità BDSM, fetish e kinky, che aveva oltre 10.000 iscritti solo a novembre 2022, con una vasta collezione di contenuti sessuali. Serie TV, film e libri, come “Cinquanta sfumature di grigio,” hanno contribuito a diffondere e normalizzare fantasie sessuali “non convenzionali,” portando a un aumento delle ricerche su pratiche di bondage e feticismo durante la pandemia.
La seconda categoria di utenti netsex comprende individui che, oltre a mostrare comportamenti sessuali compulsivi, manifestano pratiche sessuali “non convenzionali” o disturbi parafilici elencati nel DSM-V. Queste persone possono intraprendere fantasie sessuali coinvolgendo “vittime” non consenzienti, con rischi crescenti di intensificazione dei comportamenti e conseguenze negative, come arresto, detenzione o contrazione di malattie sessualmente trasmissibili. (Krueger et al., 2009)
La terza e ultima categoria comprende individui che, pur avendo risorse interne per gestire comportamenti sessuali compulsivi offline, possono sperimentare una temporanea perdita di queste capacità a causa del loro coinvolgimento nel netsex. Questo gruppo si suddivide in due sottotipi: il sottotipo “depressivo,” caratterizzato da utenti depressi, distimici o ansiosi, e il sottotipo “reattivo allo stress,” in cui gli individui utilizzano il sesso su Internet per affrontare lo stress o evadere da certi sentimenti (Kraut et al., 1998).
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