Spesso abbiamo parlato dei lati positivi del gaming, compreso del potenziale pro-sociale e di promozione della comunità. È però necessario ricordare quanto i MMO siano luoghi di odio, molestia, violenza, bullismo. Secondo una serie di studi, i ragazzi cyberbullizzati hanno ben due volte in più la possibilità di suicidarsi.
Le piattaforme di gaming, dunque, non solo devono affrontare la sfida della prevenzione del cyberbullismo, ma anche quella dell’implementazione di strumenti efficaci per combatterlo. Spirit AI propone una soluzione innovativa basata sull’intelligenza artificiale, mentre Roblox cerca di implementare un controllo parentale più efficace. Ma queste soluzioni saranno sufficientemente incisive? E come possono essere integrate in modo da creare un ambiente virtuale sicuro e inclusivo? E, soprattutto, chi sono i bulli delle piattaforme del gaming?
Dietro allo schermo non troviamo adolescenti anomici ma 34enni che si divertono a perseguitare gamers poco skillati, donne, individui non-binari, trasformando il gioco in qualcosa di molto poco divertente.
Donne e minoranze le vittime preferite del bullo del gaming
Qualche tempo fa avevo parlato del fenomeno del #metoo che riguardò anche la gameindustry, sulla scia delle accuse nel mondo del cinema. Circa il 50 percento dei giocatori sono donne, pertanto non si può ignorare quello che subiamo, tra commenti, persecuzioni e svilimenti per quello che ci piace giocare. Il gioco è genderless. Non ha più senso relegare Animal Crossing all’utenza femminile, come qualunque casual game, tra cui clash of clans, perché l’utente maschio che apprezza la tipologia finisce per sentirsi inappropriato. Vergogna per non rientrare tra i classici giocatori di Destiny e COD. Così una gamer che di converso apprezzasse fps e altri giochi per veri machi, non può sentirsi dare della strana o subire persecuzioni di continuo. Perché questo è. E’ un problema enorme, dilagante quello della misoginia.
Quante volte ci sentiamo tutt’oggi trattare come giocattoli per il piacere dei maschi. A loro uso e consumo, con commenti disgustosi e ricatti, sui social come sul lavoro. E ignorare la cosa, sminuirla, o colpevolizzare la persona che non risponde a tono al volo, ma ha paura e rimane come il gatto davanti ai fari delle auto, beh, è fare il loro gioco.
#Metoo nel gaming: la denuncia di Nathalie Lawhead
A incominciare il #metoo del gaming è stata proprio una denuncia di un ricatto sessuale sul mondo di lavoro. Nathalie Lawhead è una game designer che accusò di stupro un noto compositore di soundtrack, Jeremy Soule. Nel 2008 il musicista fece forti pressioni sulla donna, minacciandola che la avrebbe estromessa dal lavoro se non si fosse concessa a lui sessualmente. A questa rivelazione si unirono altre donne, tra le quali Zoë Quinn, già nota per un episodio di misoginia e minacce subìto nel 2014. Questa pubblicò un gioco sulla depressione, Depression Quest attirandosi una serie di commenti sessisti per aver proposto un genere da “femminucce”. Siccome non rimase in silenzio, testimoniando quello che stava subendo, si attirò addosso brutalità ancora peggiori. Un ex fidanzato pubblicò rivelazioni sulla vita privata della Quinn, cercando di squalificare le parole della donna, accusandola di aver sfruttato una relazione amorosa con un giornalista per ottenere buone recensioni. Le ragazze, per queste ragioni, tendono ancora a vergognarsi di essere gamer. Passivamente, allora, finiscono per accogliere il compito di spettatrici, quello che da sempre rivestono anche nel settore analogico, dove, al più, è concesso loro di essere graziose cheerleaders intente a tifare per la squadra maschile dell’istituto.
Roblox dando la possibilità di creare un ambiente ad hoc, anche alternativo ai gusti dominanti, nel quale raccogliersi insieme ad altre giocatrici (e giocatori), costituisce un incentivo per le ragazze, le quali finalmente possono sentirsi realizzate in base alle proprie preferenze, senza cedere a compromessi. Anzi, la loro identità di genere diventa, in questo contesto, una ricchezza capace di trovare consenso da parte di altri utenti.
La tossicità delle piattaforme di gaming
Le donne subiscono moltissimo, ma non solo loro. L’ambiente delle piattaforme di videogame (e anche i corollari di Discord, forum, youtube associati ai videogame) è tossico per tutti. “Internet funziona così” dicono. In effetti come si legge dal seguente paper, l’ambiente delle piattaforme online è un luogo aggressivo e discriminatorio perché, in buona sostanza, ci si può nascondere dietro a un nickname; non solo, l’aggressività e il linguaggio oltre le righe e le norme morali è considerato dai gamers parte delle regole stesse.
Ricorre quanto detto prima per “drama” il fatto di non leggere come cyberbullismo le aggressioni perpetuate o subite. Numerosi studi hanno dimostrato che il cyberbullismo è un problema sociale pervasivo che sta peggiorando e che assume diverse forme a seconda della piattaforma online coinvolta.
Il cyberbullismo va declinato in base al contesto online e agli utenti che lì hanno costruito pratiche diverse e che cambiano aspettative, presupposizioni, accettabilità morale.
Per quando concerne il gaming alle volte il concetto di hating e di scherzo sono oltremodo sfumati. Per molti giocatori fa parte delle norme non scritte che si sono andate definendo. Far perdere le staffe allo sfidante con ogni mezzo è una via comune, per questo la maggior parte dei gamer né sente di subire bullismo né vorrebbe un’epurazione da una tossicità, che il più delle volte è sentita da esterni al gioco o nuovi partecipanti.
Il comportamento dei griefer
Troviamo, oltre ai molestatori più spinti, i cosiddetti griefers: gamer che portano avanti l’obiettivo di disturbare e rovinare l’esperienza online agli altri giocatori. Rientrano tra i troll e i provocatori in generale, in quella zona grigia tra il trickster di ogni cultura, da Ermes a Seth, da Loki ad Anansi.
Paragonare il griefer al trickster ha una valenza antropologica, di cui vorrei spendere alcune parole. Lewis Hyde in Trickster Makes the World, definisce una il trickster come una divinità ingannevole posta alle porte dei confini sociali e sacrali della comunità. Insomma, il griefer è collocato egli stesso alle porte, tra ciò che è virtuale e ciò che è reale, in quel confine ibrido tra scherso e dolo. Il trickster, dice Hyde, presiede ai confini attraverso cui i gruppi articolano la loro vita sociale.
Distinguiamo costantemente giusto e sbagliato, sacro e profano, pulito e sporco, maschio e femmina, giovane e vecchio, vivente e morto, e ogni volta l’impostore varcherà la linea e confonderà le distinzioni. Egli incorpora dunque l’ambiguità e l’ambivalenza, la doppiezza e la duplicità, la contraddizione e il paradosso. Il griefer è proprio questo, è l’indefinibile che ci scaraventa fuori dalle regole del gioco usando proprio quelle; come per farci rendere conto quanto sia fallace la serietà e quanto sia serio il gioco.
Il comportamento dei griefer può trovare varie modalità di esercizio, a seconda della piattaforma. Tra i più noti griefer c’era TheCapoBastone: linguaggio molto scurrile, voce contraffatta e attacchi ai mondi degli altri su Minecraft. Spedizioni punitive contro chi aveva dedicato ore e ore a posizionare i blocchi e che si ritrovava tutto il proprio spazio demolito. Il mega presidente arcangelo dei griefer è il cosiddetto servergrief. In questo caso il divertimento sta tutto nel sovraccaricare il server provocando un crash. Altre pratiche note sono per esempio appostarsi nei punti di spawn per ammazzare immantinente i gamer che entrano in game.
La correlazione tra gamer e bullismo
Secondo quanto riporta cyberbullying.org, essere gamer ha delle correlazioni con gli atti di bullismo, causati e subiti. Gli studenti che si identificavano come “giocatori” rispetto ai non-gamer hanno affermato con una maggior probabilità di aver commesso atti di bullismo o cyberbullismo nei confronti di altri nei 30 giorni precedenti. È da notare che i giocatori hanno anche maggiori probabilità rispetto ai non giocatori di essere vittime di bullismo a scuola (40,7% rispetto a 27,2%) e di bullismo online (25,9% rispetto a 15,7%). Quindi, a prima vista, sembra esserci una connessione tra videogiochi e bullismo.
In realtà come si esplicita nell’articolo seguente, la correlazione tra videogame e nello specifico il cyberbullismo, subito o infierito, sembra riguardare il tipo di gioco: i giochi di battaglia online multiplayer così come i giochi sparatutto in prima e terza persona. I MMO è ovvio che contengano più cyberbullismo: lì si incontrano altri giocatori con cui giocare e subire.
Per il resto la mia domanda è la seguente: chi sceglie quel tipo di giochi è più propenso a essere un bullo oppure sono quei giochi che fomentano derive caratteriali aggressive? E soprattutto correlazione non vuole dire causa. C’è anche una correlazione tra maggior tempo sui giochi e più probabilità di incorrere in cyberbullismo. E di nuovo il motivo mi pare ovvio. Più stai nel fienile, più rischi di pungerti con l’ago. Ad ogni modo, al di là del fatto che videogame e aggressività possano essere correlati, o dipendano soprattutto da altre variabili non incluse nell’analisi come per esempio la famiglia, le esperienze personali, lo status socio economico, eccetera, è bene risottolineare le ricerche che mettono in luce gli effetti prosociali, per l’intelligenza emotiva, per la cognizione in generale dei videogame. Quindi demonizzarli è assurdo; è come chiudere le scuole perché gran parte delle violenze sono accadute lì, o proibire la famiglia di default.
Proposte per contenere comportamenti tossici nel gaming
Nella community di gamer sono diffuse anche una serie di pratiche, per così dire, analogiche. Si tratta di prank, anche piuttosto pericolosi, che hanno fatto già registrare delle vittime. Nel testo di medium [7] si legge di questo “scherzo” in cui si chiama la polizia denunciando casi gravi che richiedono l’intervento delle teste di cuoio. Durante lo streaming, si vede la SWAT entrare in cam e fermare il gamer colto tra lo stupore e la preoccupazione.
Jane McGonigal, direttrice della ricerca e dello sviluppo dei giochi presso l’Institute for the Future, ha riassunto una serie di proposte per contenere simili comportamenti estremamente tossici. In buona sostanza viene portata avanti la tesi per cui giocare ci rende migliori e la gamification rende il mondo migliore.
La gamification è la croce e delizia dei videogiocatori. Da un lato si sentono estasiati dall’onore di avere ragione a videogiocare, visto che la struttura del gaming è adottata dai più disparati settori come buona pratica per coinvolgere e mantenere l’attenzione. Dall’altro lato pensano che la gamification sia la rovina del concetto stesso di videogame, ridotto a una serie di badge e punti.
Tale semplificazione finisce spesso per rovinare i giochi stessi e i mobile game del resto non sono altro che scuse per acquisti in-app e per pubblicità moleste. McGonical partendo da quanto tempo migliaia di giocatori spendono negli open world a craftare e acquisire livelli sempre maggiori, divertendosi, socializzando e mantenendo un umore rilassato, propone di adottare quel sistema anche nel mondo esteso. Quando si studia, si fa ginnastica, si fanno i lavoretti in casa. La challenge e la creatività trasformano tutto in attività più leggere. Certo, a meno che non arrivi il griefer o l’utente che inizia ad attaccarti in quanto minoranza, o semplicemente perché inesperto\a. In particolare sono le donne a subire la maggior parte di insulti e molestie nelle community di gaming.
Tanto che le preoccupazioni per gli ambienti virtuali riguardano proprio la barriera che potrebbe venire meno e che trasformerebbe queste violazioni alla propria persona in reali, troppo reali. Già è doloroso avere il flow di gioco costantemente rovinato da chi, per merito dell’anonimato, si permette di lasciar correre l’Es e la propria ignoranza, ma immaginiamo se la molestia la sentiamo con il tatto simulato! I videogame, lo sappiamo, conservano un potenziale molto alto di beneficio, ma perché i pregiudizi a danno di questa arte vengano distrutti una volta per tutti, permettendo il loro ingresso dalla scuola alle conversazioni nelle cene di lavoro, è necessario vincere la tossicità che si portano dietro.
Il ruolo delle piattaforme nella prevenzione del cyberbullismo
Le varie software house hanno cercato strategie per epurare le chat da atteggiamenti molesti e persecutori. Sistemi automatizzati di filtro e censura, ban degli account violenti; tuttavia siamo ancora lontani da una soluzione. In molti casi le aziende si nutrono della proliferazione di utenti fake e quindi non sembra facciano molto per risolvere la questione. Da un lato si chiede più controllo genitoriale, screen time limitato; dall’altro punizioni più severe ai bulli e soprattutto alle compagnie di gaming. E la scuola? Forse bisognerebbe far tornare tra i banchi il 34enne bullo, per fargli seguire qualche corso (o percorso) di gentilezza, di empatia e di controllo della dopamina.
Ultimamente era uscita la proposta di utilizzare una intelligenza artificiale per le piattaforme da gaming, con il compito di controllare che molestie e attacchi abbiano fine [10]. Il punto è si riesce a istruire una IA perché comprenda il contesto e distingua tra gioco e molestia? Tra drama e bullismo?
La proposta di Spirit AI: l’Intelligenza Artificiale contro il bullismo online
Spirit AI propone un sistema di rilevamento e intervento degli abusi chiamato Ally. Sarebbe in grado di riconoscere molestie verbali e abusi non verbali, come quelli menzionati in precedenza, tra chi si apposta nei punti di spownaggio e chi stalkerizza. Ally appena nota comportamenti inappropriati controlla i precedenti scambi e se sono sconosciuti i player, invia un avatar virtuale a domandare alla vittima se è tutto ok. Nel caso in cui il giocatore tranquillizzasse il bot per il fatto che si trattava di uno scherzo, l’IA registra il nuovo dato. Questo sistema potrebbe essere utile per intervenire individualmente, discriminando tra utenti che vogliono il linguaggio aggressivo nei MMO e quelli che lo vivono come una situazione inaccettabile, senza piallare tutto in nome di una pulizia priva di sarcasmo o di lasciar correre liberamente come la giungla che in effetti ora è.
Il caso di Discord
Molte proposte sono provenute dalle community stesse e dal loro auto-regolarsi, un po’ come su Discord, come si legge in questo articolo di tempo fa. Altre, invece, dalle piattaforme stesse. Vediamo alcuni esempi.
Discord è una app molto nota tra i gamer, ma non solo. Ognuno può crearesi un suo spazio basato su qualche interesse o entrare in una community tematica. Si può scrivere o comunicare oralmente. La possibilità di interagire senza tastiera è ciò che la trasformò in un luogo perfetto per i gamer, che potevano finalmente comunicare tra i compagni continuando a giocare in uno spazio dal design molto intuitivo e ordinato.
Alcune critiche mosse a tale piattaforma hanno riguardato ovviamente l’uso di gergo molesto, la presenza di gruppi che non rispettano le regole civili e il fatto che molti utenti non avevano l’età legale di tredici anni. La moderazione e la manutenzione della piattaforma sono diventati più difficili con l’aumentare della sua complessità e diffusione. Recentemente è stato scoperto che Slack e Discord sono stati utilizzati da hacker e malware per rubare dati sensibili degli utenti. Il consiglio più ovvio è quello di astenersi dal scaricare qualsiasi cosa, compresi i file e i link che sembrano completi e sicuri.
“C’è un po’ di slang su Discord”, osserva un soggetto che rispose a una mia indagine di qualche tempo fa in merito a tale piattaforma. “Ma la folla che frequento è spesso amichevole”. Inoltre va detto che su Discord è più facile moderare rispetto ad altri luoghi più feudali, per così dire. Essendo concessi ampi poteri agli amministratori, essi riescono a moderare abbastanza facilmente la community, bilanciando l’anonimato. Su Facebook, Instagram, Youtube ogni segnalazione cade spesso a vuoto, oppure l’algoritmo interviene a sproposito bloccando arte e poesia. Ricordo di aver subito 30 giorni di restrizioni per una poesia dedicata a Esenin. Ovviamente trattava il suicidio, ma c’è differenza contestuale tra arte e incitamento alla violenza.
L’auto-sorveglianza dei membri del gruppo è un fattore chiave di Discord. Essi possono decidere di far valere regole più o meno flessibili (quando si accede a un server bisogna accettare una serie di regole decide dagli admin) e, nel caso, ogni utente resta libero di decidere di abbandonare un gruppo per entrare in spazi di cui si condivide maggiormente la politica dei moderatori. Infine la frequentazione costante di un server porta i membri a conoscersi più a fondo, questo finisce per rendere inutile l’anonimato e la leggerezza a violare norme di comportamento.
Anche il CEO di Core Games, Frédéric Descamps, enfatizza la necessità di sviluppare una comunità collaborativa capace di autoregolarsi. Questo obiettivo richiede un chiaro delineamento preventivo tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è. Affinché gli utenti rispettino le direttive, è indispensabile che queste siano stabilite prima che si renda necessario moderare i comportamenti. Inoltre, come sottolineato da Wittgenstein in merito al linguaggio, le norme devono essere soggette a un controllo pubblico al fine di valutare sia i comportamenti che i giudizi ad essi associati. In mancanza di regole condivise e trasparenti, verrebbe meno un criterio per determinare cosa sia permesso o vietato. Ogni azione potrebbe essere arbitrariamente autorizzata o vietata senza un fondamento. Le norme potrebbero essere manipolate ad hoc in qualsiasi momento e da chiunque, senza un adeguato controllo. In assenza di garanzie, qualsiasi atto di moderazione rischierebbe di trasformarsi in una pratica arbitraria. In conclusione, gli stessi utenti della piattaforma necessitano di confini chiari per agire in modo responsabile all’interno dell’autoregolamentazione. Il problema, aggiunge Descamps, riguarda sempre le situazioni intermedie, quelle che anche con l’intelligenza artificiale si vuole affrontare. Se con gli estremi è facile moderare, più difficile è intervenire nelle situazioni “grige”. Ironia o hate speech? Libertà o Giustizia? Domande che affondano le radici nella storia della filosofia. L’etica da sempre si è rese conto del fatto che quotidianamente affrontiamo dilemmi, cioè situazioni in cui i poli dell’aut aut sembrano entrambi giusti. La soluzione è un compromesso in divenire.
Per affrontare queste scelte poco nette, sono stati proposti interventi centrati sull’utente, come un hide button, cioè il blocco simil instagram e facebook o stanze più piccole e variegate nei giochi MMO. La dimensione più piccola, con meno utenti, rende più facile l’attività di auto-moderazione. Le stanze differenti, invece, vanno incontro alle diverse necessità degli utenti, che potranno prendere parte agli ambienti che meglio si confanno alla loro idea di divertimento: quindi stanze in cui la libertà è a fori più larghi del setaccio o in cui vigono regole più rigide. Sono state proposte anche stanze-carcerarie in cui punire per un po’ di tempo gli utenti molesti, con l’aggravante di essere recidivi e con il blocco per tentativi di entrare con profili diversi. Un’altra soluzione non è solo punire l’utente, che forse serve a poco, ma premiare il virtuoso.
Roblox e il controllo parentale: una soluzione efficace?
In passato, Roblox, menzionato in precedenza, ha affrontato diverse situazioni di molestie, suscitando una serie di critiche da parte dei genitori che hanno assistito ai loro figli subire vari tipi di attacchi e abusi. Questa piattaforma rappresenta anche un mezzo attraverso il quale è possibile esplorare la creazione di mondi e collaborare alla realizzazione di giochi. Qualche tempo fa, si è verificato un caso in cui una bambina è stata vittima di un episodio virtuale di natura sessuale all’interno della piattaforma. Alcuni avatar avevano creato contenuti inappropriati e, attraverso di essi, avevano simulato un abuso sessuale. Inoltre, nell’ambito della sua economia, gran parte dei guadagni proviene dalle microtransazioni. In relazione a questo, si sono verificati numerosi casi in cui bambini hanno agito senza controllo sui pagamenti, spingendo i genitori a incorrere in spese non previste a causa di popup che promuovevano acquisti aggiuntivi. Per prevenire la ricorrenza di ulteriori situazioni simili, gli sviluppatori di Roblox hanno implementato un parental control che impedisce ai bambini di accedere a videogiochi non approvati da Roblox stesso. Questo è stato fatto anche per evitare la creazione di mondi in cui la violenza e il contenuto sessuale potrebbero avere un ruolo predominante.