Nelle scorse settimane, Instagram ha dovuto affrontare la rivolta dei creator che ogni giorno popolano la piattaforma di video, meme e foto. Al grido ironicamente trumpiano di “Make Instagram Instagram again”, alcuni tra i principali produttori professionali di contenuti hanno firmato e diffuso una petizione che chiedeva a Menlo Park di bloccare la mutazione del social network verso il ruolo di clone di TikTok. Più fotografie e meno video, più post di amici e meno reels di sconosciuti “suggeriti”, queste le rivendicazioni per tornare alle radici di un luogo elettronico che adesso sembra perduto nell’inseguimento dei modelli vincenti ma aggressivi di ByteDance.
L’esistenza di una “borghesia” dei social network
Pur con il velo di ironia e ambivalenza che caratterizza la vita in rete, la petizione ha avuto il merito di portare all’attenzione del pubblico l’esistenza di una “borghesia” dei social network, una classe di operatori che sulle piattaforme crea reddito, posti di lavoro, favorisce gli investimenti pubblicitari e che sulla base di questo contributo attivo chiede di istituzionalizzare il proprio ruolo. “A platform that listens to creators!” è la richiesta della prima firmataria, la fotografa e modella diciannovenne Tati Bruening: “Sembra sbagliato cambiare l’algoritmo per creators che si sono guadagnati da vivere e hanno contribuito alla community, costringendoli a cambiare direzione ai contenuti e allo stile di vita per obbedire ad un nuovo algoritmo. Prendete in considerazione i nostri pensieri e le nostre richieste”[1]. La creazione di valore spinge i creators a verbalizzare una forma embrionale di “capacità di aspirare”[2], la potenzialità concreta di immaginare, progettare e proiettarsi in un futuro più desiderabile che, secondo l’antropologo statunitense di origine indiana Arjun Appadurai, è indicatrice del grado di libertà e agibilità democratica concesse ad un soggetto in una comunità politica.
La capacità di aspirare
La capacity of aspire è caratterizzata da tre elementi[3]: consapevolezza culturale del proprio contributo alla collettività, possibilità materiali di sostenere le azioni con le risorse adeguate e, infine, la “voice”, la presa di parola di fronte agli altri per rappresentare le proprie istanze che, secondo Hirschman, è condizione indispensabile per definire una soggettività politica. Superata l’irruenza della disruption che, nella fase di espansione della rete, ha sconvolto le rendite di posizione e sovvertito le gerarchie in nome di un progresso “necessario” animato da creatività e dell’innovazione dei linguaggi, la petizione mostra la volontà di rallentare la distruzione creatrice perpetua per preservare relazioni economiche non più estemporanee ma strutturali, che necessitano di continuità negli investimenti per mantenere la centralità acquisita nelle scelte di consumo. La rivoluzione permanente professata dalle corporation deve trovare un argine nella volontà dei creator di dotare la loro attività di un orizzonte temporale stabile. Lo status economico e la rappresentazione sociale prestigiosa acquisiti danno loro forza per prendere parola pubblicamente, riconoscersi come un soggetto sociale e reclamare spazi di autonomia.
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Perché Instagram e gli altri social sono “monarchie assolute”
L’inedita coscienza politica dei content creators, però, deve scontrarsi con il territorio in cui essi vorrebbero esercitarla. Instagram, come le altre piattaforme, è una “monarchia assoluta” che non riconosce relazioni alternative all’alleanza tra utente singolo e corporation. Non c’è voice che possa condizionare la governance, l’unica forma di libera espressione contemplata è quella dell’iscritto nella creazione e nella pubblicazione del contenuto, mai nelle modalità di diffusione o selezione che restano coperti da segreto industriale. Il modo in cui il meme della petizione è stato rilanciato nelle stories è indicativo della sproporzione tra azienda e operatori: “pretty please” è la frase scelta da Chiara Ferragni e Kim Kardashian, un eloquente “pleaseeeee” è il testo del secondo profilo più seguito al mondo, quello di Kylie Jenner. Non avremmo difficoltà ad inserire le tre figure appena citate nel novero delle più esclusive élite globali. Eppure, il loro immenso potere d’influenza è tarato da un’intima debolezza: di fronte all’irremovibile piattaforma che rende possibile la loro attività e la conseguente celebrità, non c’è altra arma di protesta di un innocuo “per piacere” fatto circolare ovviamente sulla piattaforma stessa.
Un cambiamento a favore degli small creator?
La risposta di Instagram ai “moti” nei giorni successivi ha confermato la volontà ferrea di mantenere una distanza che preservi la concentrazione di potere. Il ceo Adam Mosseri ha sottolineato[4] la necessità di favorire con la riproduzione algoritmica di contenuti suggeriti, gli small creators che ogni giorno inondano il social di contenuti senza i vantaggi e il prestigio della “borghesia”.
La quantità e l’eterogeneità dei contenuti dei micro-produttori è utile per migliorare la granularità della profilazione di ogni utente, rispetto alla canalizzazione dell’attenzione verso profili “forti” che rischiano di riprodurre modalità di fruizione passiva da media tradizionale. In questo modo, Instagram ha mandato un segnale politico che potremmo definire “populista” nell’individuare un legame diretto tra corporation e popolo della rete che scavalca e indebolisce qualunque élite che voglia porsi come corpo intermedio. La casa madre non può non sapere cosa è giusto per i suoi iscritti ed esercita il più classico dei divide et impera.
Inoltre, l’apparente concessione alle richieste della petizione si è rivelata in sostanza l’annuncio di una breve pausa nelle sperimentazioni per poi ritornare con maggiore convinzione sulla strada dei video che sembra segnata dalle nuove capacità tecniche di elaborazione e archiviazione: “Lo constatiamo ogni volta, per persone o paesi diversi in tutto il mondo – ha commentato Mosseri – quando le reti accelerano, quando i dati diventano più economici, gli utenti si spostano sempre di più sui video. Quindi si, andiamo in quella direzione. Per me non ha senso nuotare controcorrente”.
Conclusioni
Nell’ideologia californiana, l’innovazione tecnologica è un flusso che si può solo assecondare. La direzione è chiara: come annunciato dal dirigente di Google Prabhakar Raghavan, “circa il 40 per cento dei giovani quando cerca un bar non va su Google o su Google Maps, ma su Instagram e TikTok”[5] e Mark Zuckerberg ha confermato che l’offerta di video brevi su Meta aumenterà fino al 30%[6].
Anche le piattaforme in fondo sono fragili, e l’inseguimento affannoso della “lepre” TikTok lo dimostra. Di fronte ai numeri appena citati non c’è spazio per una “riforma” della community che redistribuisca il potere. La scelta è tra adeguarsi ai cambiamenti o aspettare che nel flusso si apra il varco inatteso di un nuovo territorio digitale su cui migrare credendo per l’ennesima volta alla promessa di maggiore libertà.
Note
- https://www.change.org/p/make-instagram-instagram-again-saveinstagram ↑
- Appadurai, A., Le aspirazioni nutrono la democrazia, et al. Edizioni, 2011 ↑
- Per un’analisi esaustiva del concetto, si veda De Leonardis O., Deriu M., (a cura di), Il futuro nel quotidiano. Studi sociologici sulla capacità di aspirare, Egea, 2012 ↑
- https://www.theverge.com/2022/7/28/23282682/instagram-rollback-tiktok-feed-recommendations-interview-adam-mosseri ↑
- www.internazionale.it/magazine/gaia-berruto/2022/07/21/oltre-la-mappa ↑
- https://www.theverge.com/2022/7/27/23281451/facebook-instagram-meta-recommendation-discovery-engine-ai ↑