Con la caduta del Governo Draghi è tramontata anche la possibilità di vedere finalmente varata una legge sulla regolamentazione del lobbying.
Dopo una storica approvazione alla Camera il 12 gennaio di quest’anno, l’iter di questa travagliata legge fallisce per la novantasettesima volta in 50 anni, a un passo dalla votazione a Palazzo Madama fissata per fine luglio. Con la differenza, però, che nei passati 96 tentativi la legge non superò mai la Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, mentre questa volta grazie alle pressioni delle 40 associazioni della società civile che compongono la coalizione Lobbying4change, e il sostegno di 42 accademici di varie nazionalità, si era quasi arrivati all’approvazione in Senato.
Legge sul lobbying, tutte le pecche del testo in discussione: come migliorarlo
Le resistenze che hanno rallentato i lavori
Ad aver rallentato i lavori, è stata principalmente la dibattutissima questione dell’esclusione di Confindustria e dei sindacati dagli oneri di trasparenza che la legge prevedeva per tutti i portatori d’interessi, a cui si è aggiunta l’allergia al provvedimento da parte di Fratelli d’Italia e della Lega.
Con la mancata approvazione della legge, in Italia continuerà a vigere una sostanziale opacità dei rapporti tra i portatori d’interessi e i decisori pubblici, problema più volte evidenziato negli ultimi anni dalle principali istituzioni internazionali (Commissione Europea, OCSE, OSCE e Consiglio d’Europa) che hanno chiesto al nostro Paese di porre rimedio. A dover affrontare la questione saranno ora il nuovo Governo e il nuovo Parlamento. Nei programmi elettorali di tutte le forze politiche, tuttavia, alla regolamentazione del lobbying non è dedicata alcuna attenzione se non dal Movimento 5 Stelle. L’approvazione di una legge sul lobbying sarebbe tuttavia urgente perché il PNRR – cioè la più grande iniezione di fondi pubblici dai tempi del Piano Marshall – richiederebbe una piena trasparenza dei rapporti tra il settore privato e quello pubblico.
Evitiamo gli errori del passato
La legge che stava per essere approvata al Senato non era la migliore che ci potessimo augurare, ma perlomeno si trattava di un primo, timido, tentativo di liberare l’attività di lobbying da quei pregiudizi che la collegano alla corruzione e al malaffare. Sarebbe stato un primo passo avanti, che riconosceva l’attività di rappresentanza di interessi legittima e necessaria per la nostra democrazia, andando inoltre a unificare e ordinare tutte le disposizioni approvate da regioni, comuni, autorità indipendenti e ministeri in assenza di un quadro normativo nazionale. Poteva essere inoltre il primo passo per rendere più trasparente e inclusivo il processo decisionale, nonostante alcune forze politiche abbiano cercato di escludere Confindustria e i sindacati dall’obbligo di iscrizione al Registro della trasparenza. Nella prossima legislatura non si devono ripetere gli errori e gli accordi politici al ribasso della precedente, ma bisogna rispettare le linee guida e le raccomandazioni degli organismi sovranazionali sopracitati per avere una legge chiara, completa e al passo coi tempi.
L’iscrizione al Registro della trasparenza
Per avere una normativa efficace occorre dunque partire dal Registro della trasparenza, la cui iscrizione deve essere obbligatoria per tutti i portatori d’interessi, nessuno escluso. Questo strumento è utilizzato dalle istituzioni europee ed è stato introdotto da molti Paesi, tra i quali la Francia, la Germania o l’Irlanda. Chi intende presentare proposte di legge o emendative alle istituzioni (possono farlo aziende, associazioni di categoria, ONG e organizzazioni non profit, sindacati, società di consulenza, istituti di ricerca e think tank) ha l’obbligo di iscriversi al Registro. Chi non si iscrive ma continua a svolgere la professione illegalmente viene sanzionato (le sanzioni sono un elemento essenziale per far rispettare la legge). Nel Registro, consultabile in rete, si possono ritrovare informazioni relative all’attività di lobbying svolta dai portatori d’interessi come, per esempio, i dossier politici su cui si è lavorato, gli incontri svolti, le risorse a disposizione per influenzare le politiche pubbliche.
Le Agende degli incontri
Al Registro della trasparenza dovrebbero affiancarsi le Agende degli incontri: come succede nella Commissione UE, i Commissari e i direttori generali pubblicano periodicamente sulla loro pagina istituzionale chi è stato incontrato e per quale ragione.
Il testo che stava per essere approvato dal Senato prevedeva le Agende a carico dei portatori d’interessi, ma sarebbe stato un onere burocratico non indifferente e soprattutto le responsabilità sarebbero ricadute solamente sui lobbisti. L’attività di rappresentanza di interessi però si fa in due, i lobbisti e i decisori pubblici, e gli oneri dovrebbero ricadere su entrambi i soggetti. Nel nostro Paese, in assenza di una legge, soltanto il Ministero dello Sviluppo Economico dispone di un Registro della trasparenza e di Agende degli incontri. L’altro soggetto del governo che pubblicava le agende, grazie ad un Decreto ministeriale dell’ex ministro Sergio Costa, era il Ministero della Transizione Ecologica, che però con l’arrivo del Ministro Roberto Cingolani sono state rimosse e mai più rese disponibili online. A niente sono serviti i nostri appelli e le nostre lettere. Alla transizione ecologica viene destinata una fetta enorme dei fondi del PNRR, ciononostante si è deciso di non rendicontare gli incontri con gli attori con i quali vengono decise politiche pubbliche che avranno un peso sulla vita di ciascuno di noi, in una fase cruciale di crisi climatica ed energetica.
Le consultazioni proattive obbligatorie degli iscritti al Registro della trasparenza
Il terzo elemento che non può essere nuovamente frutto di un compromesso al ribasso sono le consultazioni proattive obbligatorie degli iscritti al Registro della trasparenza. L’accordo uscito da entrambe le Commissioni Affari Costituzionali del Parlamento prevedeva consultazioni facoltative. Crediamo invece che servano degli incentivi per iscriversi al Registro, oltre ad esempio alla possibilità di consultare le bozze preparatorie degli atti normativi, come la certezza di venire consultati nei processi decisionali. L’ascolto di tutti gli attori in grado di portare il loro punto di vista, siano essi del settore privato o di quello non profit, contribuisce a norme efficaci ed efficienti nonché evita lo spreco delle risorse pubbliche. Le consultazioni sarebbero infine, soprattutto per noi organizzazioni del terzo settore spesso tenute fuori dalla fase istruttoria dei processi decisionali, uno strumento per superare le asimmetrie informative che da sempre denunciamo.
Conclusioni
Il prossimo Parlamento ha la strada tracciata per produrre la migliore legge sul lobbying possibile. Se venissero ascoltate queste richieste, sostenute dalle oltre 20.000 firme alla petizione e da 40 organizzazioni di #Lobbying4Change e in linea con le raccomandazioni degli autorevoli organismi sovranazionali, l’Italia farebbe un enorme passo avanti verso la trasparenza dei rapporti tra la politica e i portatori d’interessi.