Warfare 2025-2035

L’Europa di fronte alla sfida militare: quale modello per la difesa comune



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La crisi ucraina evidenzia l’urgenza di una strategia di difesa europea unitaria, che consenta di superare l’affidamento sugli Stati Uniti. Innovazione e coordinamento sono essenziali per affrontare le nuove sfide geopolitiche e tecnologiche

Pubblicato il 6 mar 2025

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione



difesa ue 2030

Precipita la crisi Ucraina e, con il ritiro americano, la stessa difesa europea. Le nuove tecnologie definiscono nuovi orizzonti: essi impongono di non attardarsi in “ammodernamenti” e “migliori coordinamenti” degli eserciti nazionali europei.

Serve all’Europa una strategia, una scelta innovativa nei sistemi d’arma, una nuova capacità organizzativa e operativa. L’Ucraina ne è componente essenziale. È un cammino lungo, ma da avviare con la massima urgenza.

La crisi ucraina e il ritiro americano: un punto di svolta per la difesa europea

“La decisione del presidente Donald Trump di sospendere tutti gli aiuti statunitensi all’Ucraina è un duro colpo, non solo per Kiev, ma anche per gli alleati europei che hanno fatto pressioni sull’amministrazione statunitense affinché continuasse a sostenerla”.[1] Anche nel 2024 ci vollero mesi prima che l’impatto del blocco fosse percepito sul campo di battaglia, e comunque oggi l’Europa fornisce almeno il 60% degli armamenti all’Ucraina.

Tuttavia i sistemi più complessi di telecomunicazioni (Starlink) di intelligence e di missilistica di difesa  (Patriot, NASAMS) e di attacco (HIMARS e ATACM) sono nelle mani americane, che si stanno ritirando.
Gli Stati Uniti potrebbero impedire ai paesi europei di inviare le attrezzature prodotte negli Stati Uniti, tanto che, quando l’Europa ha fornito gli F-16 all’Ucraina, ha dovuto chiedere l’approvazione di Washington. Senza il sostegno degli Stati Uniti, l’Ucraina dovrà lottare per la sopravvivenza ancora più duramente.

La fine del modello di difesa NATO-centrico: verso una nuova strategia europea

Ma la crisi Ucraina dimostra anche che è compiuto il ciclo dell’Europa difesa dagli Stati Uniti/NATO. La NATO guidata dagli Stati Uniti di Trump non sarà al servizio della difesa dell’Europa, ma al servizio della strategia di potere di Trump.

È anche finita (lo era già da tempo) la storia degli eserciti nazionali europei e con essa la questione in vero senza senso dell’aumento della percentuale di PIL speso nella difesa. Come vedremo non è questione né di percentuale né di quantità, ma di strategia politica, di organizzazione militare e di definizione di priorità nelle scelte dei nuovi sistemi d’arma e delle capacità di gestirli e utilizzarli in modo efficace.

È paradossale, ma l’Ucraina che rischia la dura sconfitta, ha acquisito una esperienza unica nell’uso delle nuove armi e si rivelerebbe una risorsa preziosa all’interno di un sistema difensivo come la NATO o come il sistema di difesa europeo e darebbe indicazioni preziose anche a chi, come Musk, freme per dispiegare la potenza dei nuovi sistemi d’arma, il cui impatto lui stesso non conosce, se non in laboratorio.

Innovazione tecnologica e fattore umano: le nuove frontiere della difesa

Intervenendo al Parlamento europeo per “aggiornare” il suo rapporto sulla competitività[2], Mario Draghi ha criticato il principio di precauzione che guida la produzione normativa europea, volta a tutelare in primo luogo i diritti dei cittadini, senza tuttavia proteggerli dal predominio delle grandi aziende tecnologiche: “il FMI stima che le nostre barriere interne equivalgano a una tariffa di circa il 45% per la produzione e del 110% per i servizi. E abbiamo scelto un approccio normativo che da
priorità alla precauzione rispetto all’innovazione, soprattutto nel settore digitale. Ad esempio, si stima che il GDPR abbia aumentato i costi dei dati del 20% per le aziende dell’UE. Abbiamo anche molti risparmi in Europa che potremmo utilizzare per finanziare l’innovazione”.

I limiti degli eserciti nazionali: verso un modello di difesa comune europeo

Nel Rapporto, la posizione sulla difesa era ancor più netta: “L’industria della difesa è troppo frammentata, il che ostacola la sua capacità di produrre su scala, e soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la capacità dell’Europa di agire come una potenza coesa.

Ad esempio, in Europa vengono prodotti dodici diversi tipi di carri armati, mentre gli Stati Uniti ne producono solo uno…l’Europa sta sprecando le sue risorse comuni. Abbiamo una grande capacità di spesa collettiva, ma la diluiamo in molteplici strumenti nazionali e comunitari. Ad esempio, non stiamo ancora unendo le forze nell’industria della difesa per aiutare le nostre aziende a integrarsi e a raggiungere una scala.

Gli acquisti collaborativi europei hanno rappresentato meno di un quinto della spesa per l’acquisto di attrezzature per la difesa nel 2022.

Inoltre, non favoriamo le aziende europee competitive nel settore della difesa. Tra la metà del 2022 e la metà del 2023, il 78% della spesa totale per gli acquisti è stata destinata a fornitori extra-UE, di cui il 63% agli Stati Uniti… La pace è il primo e principale obiettivo dell’Europa.

Ma le minacce alla sicurezza fisica sono in aumento e dobbiamo prepararci. L’UE è collettivamente il secondo Paese al mondo per spesa militare, ma questo non si riflette nella forza della nostra capacità industriale di difesa”.

Spendere di più o spendere meglio nella difesa europea, questo è il dilemma

Già in queste parole della Prefazione al Rapporto, scritte di pugno da Draghi, troviamo il passaggio cruciale del ragionamento che vogliamo  sviluppare. Nella figura1 è rappresentata la spesa per la difesa in moneta costante. Come si vede, dopo il crollo della spesa negli anni successivi alla fine della guerra fredda, l’Europa occidentale spende oggi più del doppio della Russia, nonostante quest’ultima abbia elevato negli anni del conflitto la quota al 16% del prodotto interno lordo, molto più elevata di quelle europee, che mediamente sono inferiori al 2%.  Ma il problema viene affrontato, nella narrazione del nostro e di altri governi europei, in modo del tutto fuorviante. L’attenzione si concentra sulla percentuale del PIL spesa per la difesa, e ci si arrabatta per elevarla, oppure si insiste sulla necessità che la spesa della difesa sia finanziata dall’Europa (ovvero da emissioni di debito europee)[3].

<un problema di strategia, di strumenti, di organizzazione

Certamente l’amministrazione americana ha tutta la convenienza a chiedere non un esercito europeo, ma il semplice aumento della spesa. All’industria americana va benissimo che gli europei spendano di più: è ciò che serve per assicurare maggiori vendite all’industria americana. Ma il problema, come abbiamo visto, è primariamente un problema di strategia, di strumenti, di organizzazione.

La spesa diventa efficace non perché aumenta la sua incidenza sul PILo il suo volume, ma perché obbedisce ad un progetto strategico di cambiamento del warfare e della condotta militare, un cambiamento che gli scossoni geopolitici in atto e l’impennata dell’innovazione tecnologica, impongono.

Come dimostra il riquadro proposto, il futuro vedrà una crescita dell’importanza dell’informazione e della sua capacità di interconnettere comando, intelligence, controllo, riconoscimento. Nel confronto prevarrà che saprà meglio e più rapidamente raccogliere informazioni vitali su di sé e sull’avversario, le saprà analizzare e rapidamente distribuirle all’interno dell’organizzazione con adeguate e rapide istruzioni[4].

Una visione estrema del tema dell’innovazione nella conduzione della guerra, sottolinea il fatto che l’innovazione non è soltanto un fatto tecnologico: questo sposso viene rapidamente adottato dall’avversario, con l’effetto di ridurre il vantaggio competitivo derivante dalla disponibilità delle innovazioni tecniche. Più importante ai fini del successo sul campo è la capacità dell’organizzazione di reagire in modo adattivo alle innovazioni dell’avversario e alle proprie. Conta il fattore umano e le capacità di reazione  della struttura organizzativa, la sua flessibilità nel saper indirizzare in modo nuovo il proprio operare e nello sfruttare il rapido cumularsi di esperienze e la conoscenza acquisita dei punti di debolezza e di forza in campo[5].

I limiti degli eserciti nazionali: verso un modello di difesa comune europeo

Il fattore cruciale per utilizzare al meglio le armi che le innovazioni tecnologiche potranno mettere in campo, consiste nel modo in cui verranno dispiegate e utilizzate, ovvero se diventeranno parti integranti di sistemi e di azioni coordinate e monitorate.

Il contesto in cui debbono essere utilizzate, anche se si tratta di una azione locale, deve fare i conti con le informazioni che la rete globale può fornire.

La duplice strada per la difesa europea

Se torniamo allora alla questione cruciale della difesa europea, possiamo indicare ora che la strada da percorrere sia duplice. Da un lato, come indicano alcuni, occorre valorizzare l’esperienza di coordinamento e di comunicazione maturata in sede NATO, perché è la struttura di competenze dio esperienze organizzative più globale che ci sia a livello mondiale. Ciò significa che la difesa europea deve svilupparsi all’interno della NATO, con una identità europea, ossia continentale, ovvero con strutture operative che dipendono da un comando federale, che acquistano prodotti standard, che, nelle loro singole unità operative, fanno parte di una forza armata comune. Per raggiungere questo obiettivo ineludibile, se vogliamo dotarci della necessaria capacità di autonoma difesa, l’impegno maggiore è politico, non finanziario.

L’Europa deve darsi una strategia, sapendo che, per molti anni, la politica americana è semplicemente volta all’annichilimento della forza di gravità federale europea: meglio, per Washington, trattare con i singoli staterelli. Draghi sottolineava che le forze armate europee dispongono di 12 tipi diversi di carri armati, con mancate economie di scale, difficoltà di reperimento dei ricambi e delle officine di riparazione, diversità delle istruzioni di guida delle macchine e diversità dei sistemi d’arma. È assai probabile che una strategia aggiornata di difesa ridimensioni drasticamente il ruolo dei carri armati, spostando l’enfasi su un nuovo progetto di difesa comune, piuttosto che su un aggiornamento-coordinamento dei sistemi nazionali esistenti.

Iniziative e prospettive: la cooperazione strutturata permanente (PESCO)

Non mancano le iniziative per ammodernare i sistemi d’arma e per coordinare meglio le forse disperse negli eserciti nazionali.

L’UE ha intensificato le operazioni congiunte e promosso esercitazioni militari coordinate per integrare le forze armate nazionali. L’esercitazione EUFOR mira a migliorare la prontezza operativa e le capacità di risposta alle crisi,  aumentano gli investimenti in tecnologie avanzate. Il Fondo europeo per la difesa finanzia la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie militari, tra cui la guerra dei droni e i sistemi di difesa informatica.
La cooperazione strutturata permanente (PESCO)  promuove l’integrazione europea concentrandosi sullo sviluppo di capacità di difesa collettive, sul coordinamento degli investimenti e sul miglioramento dell’interoperabilità delle forze armate nazionali.
Gli obiettivi della PESCO includono l’aumento progressivo della spesa per la difesa e il rafforzamento della capacità di rapida mobilitazione delle unità militari, senza costituire forze permanenti. La revisione strategica, approvata dal Consiglio europeo nel novembre 2024, mira a rafforzare la PESCO, adattandola alla nuova realtà geopolitica  rendendo l’Europa più coesa e resiliente[6].

Queste iniziative non rappresentano ancora l’avvio di una nuova strategia di difesa, ma sono esempi di iniziative che segnalano l’esigenza di cambiamento.

Una forza armata comune, sul modello della NATO, costerebbe  molto meno a parità di efficacia, o sarebbe molto più efficace a parità di spesa rispetto alla sommatoria dei sistemi nazionali. Questi ultimi sono incapaci di disporre della risorse e del know how per gestire e utilizzare le nuove tecnologie. La difesa degli eserciti nazionali è difesa dello status quo, sotto il profilo organizzativo e sotto il profilo tecnologico. La difesa degli eserciti nazionali non è una strategia di difesa, ma la difesa corporativa delle posizioni di potere, quando va bene, degli orticelli, se si vuol pensar male.

Note


[1]) Jonathan Beale, What pause in US military aid could mean for Ukraine, BBC, March 4th 2025-

[2]) Il futuro della competitività Europea. Parte A. Una strategia di competitività per l’Europa, Settembre 2024, d’ora in avanti Rapporto.

[3]) Domenico Moro, La difesa europea e il problema del suo finanziamento, Centro studi sul federalismo, 29 marzo 2024.

[4]) Global Trends, The Future of the Battlefield, National Intelligence Council, March 2021.

[5]) Matthew Tattar, Innovation and Adaptation in War, Belfer Center Studies in International Securit, The MIT Press, in uscita a maggio 2025.

[6]) Simone Chiusa, Lorenzo Fedrigo, Redefining European Defense: EU Security Policy in the Trump Era, Geo-Political Monitor, Backgrounders – February 19, 2025.

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