Avete mai avuto la sensazione che la tecnologia ci stia sfuggendo di mano? Vi è mai capitato di essere entusiasmati e confusi dalle possibilità che intuite nel digitale, ma insieme frustrati dai benefici reali che riuscite a mettere a terra? E avete mai avuto l’impressione che il “fattore umano”, il vero ingrediente segreto di ogni progetto di successo, sia anche a volte il problema maggiore? Vi sono mai sorti dubbi etici su alcune applicazioni della tecnologia?
L’evoluzione (o la trasformazione) digitale è un fenomeno nuovo e antichissimo insieme. Infatti, mentre il digitale è certamente una novità, il concetto di evoluzione o trasformazione è qualcosa con cui conviviamo da sempre. La novità semmai è nella velocità e nel livello di interconnessione che stiamo vivendo.
A lezione di trasformazione digitale dai monasteri benedettini
Un pattern per districarci nell’evoluzione digitale
Credo comunque che sia possibile trovare dei pattern, nel presente e nel passato, che ci aiutino a districarci in questa ascesa (sono per natura un ottimista) entusiasmante e pericolosa che stiamo vivendo. Dato che ci sono tanti presenti (ogni organizzazione, paese o cultura sta viaggiando con velocità diverse nel futuro dell’evoluzione digitale), per la maggior parte di noi è possibile anche attingere al futuro delle realtà che sono più avanti su una strada che verosimilmente percorreremo anche noi nei prossimi anni. È una specie di “manovra a tenaglia temporale” alla TENET.
Usare le informazioni del futuro e del passato per interpretare e guidare il presente. L’uomo e la natura da sempre si sono confrontati con trasformazioni o evoluzioni disruptive, quella digitale è solo l’ultima arrivata. Allora forse si possono trovare spunti per interpretare l’evoluzione digitale negli Haiku di un poeta sconosciuto del ‘700 giapponese, che ho trovato fortuitamente in un volumetto acquistato sul lago di Como e che userò per introdurre ogni tema della rubrica, ma anche dai monasteri benedettini, dai broccoli romaneschi, dal Bushido, dalle esperienze di chi è già nel futuro, dalla Divina Commedia, da due medici sperduti nel Vietnam rurale e dalle cattedrali romaniche.
Se avrete la pazienza di seguirmi per i prossimi 12 Haiku… capirete cosa c’entrano tutte queste cose con l’evoluzione digitale, l’intelligenza artificiale e, perché no, il metaverso!
Se le rondini
Potessero scegliere
il loro ciclo
Mi sono imbattuto nel manoscritto per caso, in un mercatino delle pulci a Bellagio, sul lago di Como. Era un volumetto un po’ sgualcito, una stampa piuttosto vecchia. O forse dovrei dire antica. Dentro, le pagine si alternavano: una era in caratteri Kanji, l’altra (evidentemente la traduzione) in inglese del ‘700. Forse il libricino era arrivato con qualche carovana di turisti inglesi, forse era stato scovato in qualche soffitta di una delle dimore nobiliari del lago. Cominciai a scorrere le pagine e capii subito che si trattava di brevi poesie in stile Haiku. La forma sembrava essere piuttosto originale, un po’ grezza e non esattamente corrispondente ai canoni della poesia Haiku, ma non saprei dire se questo sia dovuto al gioco di doppia traduzione (dal giapponese all’inglese arcaico del primo traduttore, tradotto poi in italiano da me), perché non ho ancora trovato qualcuno che sappia leggere direttamente il Kanji. Mi colpì subito però la freschezza di alcune immagini e soprattutto la loro attualità. Ero e sono in una fase della mia vita in cui, dopo quasi 30 anni a convivere con la tecnologia, cerco dei pattern che mi aiutino a raccapezzarmi in questo mondo caleidoscopico e complesso che chiamiamo evoluzione digitale. So bene che il nostro cervello cerca pattern anche dove non esistono[1], però in alcuni di questi Haiku ci sono delle risonanze sbalorditive con i principi a cui l’esperienza mi ha insegnato a restare attaccato quando navigo tra le secche e i vortici impetuosi del digitale.
Strano? Meno di quel che si potrebbe credere. Infatti, io penso che ciò che sta avvenendo è già stato. Non sto parlando di metempsicosi o di qualche altra teoria metafisica, ma piuttosto del fatto che l’uomo da decine di migliaia di anni (o milioni se andiamo indietro ai primi ominidi) si confronta con contesti che, dopo periodi più o meno lunghi di stabilità, cambiano improvvisamente e vengono caratterizzati da attributi che si riassumono nell’acronimo V.U.C.A.[2] (Volatility, Uncertainty, Complexity & Ambiguity). Ciò significa che l’uomo e la natura da sempre si sono confrontati con trasformazioni o evoluzioni disruptive: l’ultima (per ora) è quella digitale. Allora forse si può imparare dagli Haiku del ‘700, ma vedremo che questo vale anche per i monasteri benedettini, il Bushido, la Divina Commedia e le cattedrali romaniche.
Prendiamo ad esempio il primo Haiku del libro. La mia “traduzione della traduzione” recita più o meno così:
Se le rondini
Potessero scegliere
il loro ciclo
Non sapremo mai veramente cosa volesse dire il poeta, ma provo a darne una mia interpretazione. Non l’unica possibile, ma quella che sento più vicina. Mi sono immaginato il poeta che guardava le rondini tornare a primavera e fantasticava sul fatto che, lui e le rondini, avrebbero forse potuto gustare quell’armonia più volte l’anno. Dal punto di vista logico una follia. Le rondini hanno evidentemente un ciclo annuale. Prima di ogni inverno partono dall’Europa e intraprendono un viaggio di 11.000 Km per arrivare entro Natale in Sud Africa. Poi dopo Natale fanno il percorso inverso e tornano a primavera nelle regioni del nord. In Giappone avviene qualcosa di simile, ma vanno a svernare nelle Filippine, in Malesia o in Indonesia e poi tornano in Giappone per nidificare durante la fioritura dei ciliegi. Ovviamente le rondini non hanno molta scelta, né in Europa né in Giappone: il loro ciclo è legato alle stagioni.
Ma seguiamo il ragionamento del poeta: se per assurdo potessero scegliere, cosa farebbero? Se i ciliegi fiorissero 3 volte l’anno e il Giappone e le zone limitrofe avessero un clima più mite, così da richiedere spostamenti più brevi per evitare il freddo? Forse le rondini non tornerebbero più volte? Forse non eviterebbero quel lungo ciclo fatto di mesi e di migliaia di chilometri prima di “deliverare” e concretizzare il “valore” più grande per la specie, ossia la riproduzione? Certamente se potessero limitare i rischi insiti nelle grandi migrazioni, dove migliaia di uccelli muoiono e vengono feriti gravemente, con cicli più brevi lo farebbero. E non solo per la bellezza di ritrovare i ciliegi in fiore, come forse pensava il poeta, ma anche per ragioni molto pratiche.
C’è qui una legge di natura, che vale anche per l’evoluzione digitale. Per contenere il rischio e massimizzare il valore, bisogna abbreviare il più possibile (ma non di più) il ciclo tra un “rilascio” e l’altro. Spesso ci sono dei limiti naturali, come nel caso delle rondini, che costringono ad un approccio che nel mondo del software si chiama waterfall. Ma spesso i vincoli sono nella nostra testa: ci inventiamo progetti in cui per mesi si analizza, si progetta, si realizza senza mai rilasciare e mettere a terra il valore.
Ogni percorso, anche digitale, ha il suo ciclo
Questo non è solo rischioso, è profondamente innaturale e sbagliato. Ogni percorso, che sia digitale o meno, ha un suo ritmo e un suo ciclo naturale. Nel mondo del software, uno dei cardini della filosofia Lean/Agile è quello di insistere su cicli di analisi/progettazione/sviluppo (dette anche iterazioni o sprint) brevi: un mese al massimo, ma se possibile meglio una o due settimane. Addirittura l’approccio Lean (che sia applicato allo sviluppo software o all’erogazione di un servizio) prevede un flusso continuo di valore[3]. Questo riduce i rischi, massimizza il valore e permette di gestire le caratteristiche V.U.C.A. del mondo attuale. Questo è uno degli insegnamenti più importanti del movimento Agile e Lean ed è anche uno dei più fraintesi, perché spesso si pensa sia applicabile solo ai progetti di sviluppo software che utilizzano SCRUM o framework simili. In realtà, il principio è una filosofia di vita più che una metodologia di sviluppo software. Trovare il ritmo o il ciclo giusto è uno degli aspetti più delicati di ogni percorso di evoluzione digitale. E anche uno dei più sottovalutati. In alcuni casi si può arrivare al “flusso continuo di valore” previsto dal Lean, in molti altri ci sono dei vincoli di opportunità o strutturali per cui non si può andare sotto una durata minima, come per le rondini. Però siatene certi: se le rondini potessero scegliere, certamente accorcerebbero il loco ciclo!
Note
- “How we believe” – M. Shermer – Ed. Times Books ↑
- Acronimo coniato dal Prof. B. Narus e W. Berris ↑
- https://www.pmi.org/disciplined-agile/lifecycle#Lifecycles ↑