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L’IA ci ruberà il lavoro? Salvarsi con la “metacognizione”



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Da sempre l’uomo ha introdotto nuove tecnologie per migliorare la propria vita. E, dall’insorgere di nuove tecnologie, una serie di figure lavorative sono scomparse, sostituite da nuove figure professionali. Ecco l’impatto dell’intelligenza artificiale sui lavori di oggi e il ruolo dell’intelligenza emotiva

Pubblicato il 18 ago 2023

Francesco Russo

Esperto in economia dell'attenzione



Entro il 2033, l’Intelligenza Artificiale svolgerà metà dei lavori

Nel contesto attuale del progresso tecnologico e delle prospettive future, l’introduzione dell’intelligenza artificiale suscita riflessioni sulla sua relazione con l’intelligenza emotiva umana. Mentre quest’ultima rappresenta un insieme di competenze che l’IA non può ancora replicare, è innegabile che l’avanzamento dell’IA stia già determinando un impatto significativo sul fronte occupazionale: dai creativi ai lavoratori della logistica.

Proviamo allora a capire l’impatto dell’IA nel mondo del lavoro e la differenza fra l’intelligenza emotiva nello sviluppo e l’IA.

L’impatto dell’IA sul mondo del lavoro

Da molti anni la ricerca tecnologica sta investendo energie, tempo e denaro per lo sviluppo di soluzioni sempre più all’avanguardia.
Nel settembre 2013 uscì un interessante studio, condotto da Carl Benedikt Frey and Michael A. Osborne, ricercatori della Oxford Univerity, dal titolo “The Future of Employment: How Susceptible Are Jobs to Computerisation?”, dove gli autori ipotizzavano che entro il 2033 applicazioni gestite da Intelligenze Artificiali assolverà il 47% delle mansioni professionali.

Le nuove tecnologie e l’impatto sul mondo del lavoro: lo strano caso dell’intelligenza artificiale


Da sempre l’uomo ha introdotto nuove tecnologie per migliorare la propria vita. E, con l’insorgere di nuove tecnologie, una serie di figure lavorative sono sparite e sono state sostituite da nuove figure professionali.

Il lavoro cambia e si trasforma

Nessuno rimpiange le gentili signorine, protagoniste della serie Netflix “Las chicas del cable”, che rispondevano al telefono e smistavano le telefonate collegando fisicamente gli estremi di un cavo telefonico in apposite prese che di fatto svolgevano il ruolo di “ponte” fra chi chiamava e chi doveva ricevere la chiamata.
A mettere in crisi il loro ruolo lavorativo è stato il Rotary 7-A, inventato da Almon B. Strowger nel 1889, tecnologie che permettevano di effettuare la selezione automatica del numero di telefono del destinatario.
Allo stesso modo, l’introduzione dell’intelligenza artificiale nei primi anni dieci di questo secolo ha iniziato a “mettere in crisi” alcune figure professionali. Ecco quali.

La logistica, dove le merci si muovono da soli

Oggi esistono enormi magazzini per la logistica gestiti dall’intelligenza artificiale che richiedono una manciata di persone per farli funzionare. Ne scriveva già nel novembre 2017 il giornalista Riccardo Oldani nell’articolo “Le merci si muovono da sole” su Il Sole 24 Ore.
Chatbot e software di ogni tipo gestiti da intelligenza artificiale sono praticamente ovunque. Ma l’alba di questa nuova era tecnologica non si sta traducendo nel tramonto dell’intelligenza emotiva, della metacognizione, e di tutto ciò che fa di noi un essere umano.

Metacognizione: consapevolezza del sé e saper unire i puntini

Quando questo accadrà, su questo pianeta ci saranno due specie senzienti destinate a scontrarsi. Lo spiega il filo conduttore narrativo di una nota serie di film con
Arnold Schwarzenegger.
Il secondo motivo è che l’intelligenza artificiale non prova emozioni, anche se gli sviluppatori la programmeranno per simularle.

L’intelligenza emotiva ha invece la consapevolezza del proprio stato emotivo, cioè ha lo sviluppo delle proprie capacità metacognitive.
Intelligenza emotiva significa saper utilizzare le “informazioni” per gestire le proprie emozioni in modo efficace. Significa saper esprimere empatia per i sentimenti altrui. Inoltre, intelligenza emotiva significa anche mettere tutto questo assieme per creare, alimentare e gestire relazioni armoniose e produttive con gli altri esseri umani.

Allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, se analizziamo l’intelligenza artificiale dal punto della consapevolezza del sé è bocciata sonoramente. Nel momento in cui

l’intelligenza artificiale avrà la consapevolezza di sé stessa, saremo di fronte ad una forma di vita con cui entreremo in competizione.
Le emozioni per l’intelligenza artificiale sono inutili, irrilevanti. Un programma di IA è, in sostanza, un insieme di algoritmi matematici e di riconoscimento di modelli. Non ha sentimenti di alcun tipo (anche se può essere programmata per simularli).

I tre tipi di empatia

Esistono tre tipi di empatia: la cognitiva, l’emotiva e l’empatia compassionevole, che tratteremo in capitolo a parte.

La prima è l’empatia cognitiva, che significa leggere i termini in cui le persone
pensano alle emozioni.
L’intelligenza artificiale potrebbe eccellere in questo tipo di compito.

Ma per quanto riguarda la seconda, l’empatia emotiva – ovvero provare quello che prova l’altra persona – ci sono molti circuiti nel nostro cervello “sociale” di cui l’intelligenza artificiale è totalmente sprovvista. Nella migliore delle ipotesi, un software che utilizza un’intelligenza artificiale potrebbe riconoscere i modelli dei muscoli facciali che indicano una determinata emozione, ma non “sentirà” l’altra persona.
La preoccupazione empatica, cioè l’interesse per il benessere di un’altra persona, è un aspetto spesso dimenticato dell’empatia. Questo è l’aspetto più problematico dell’intelligenza artificiale. All’inizio della storia della robotica (nella fantascienza) è stato proposto che i robot fossero programmati per non nuocere agli esseri umani (pensiamo alle famose tre leggi della robotica ideate da Asimov).
Poi c’è da mettere insieme tutto questo: l’autoconsapevolezza emotiva e l’autogestione delle emozioni, oltre all’empatia, per avere interazioni fluide ed efficaci con le altre persone. A causa delle lacune nel repertorio emotivo dell’intelligenza emotiva, per il momento questo è poco probabile.
Naturalmente l’intelligenza artificiale potrebbe essere programmata per simulare l’intelligenza emotiva, almeno in parte.

La simulazione dell’intelligenza emotiva

Prendiamo, per esempio, il Facial Action Coding System sviluppato da Paul Ekman, da cui è stata tratta la nota serie televisiva “Lie To Me” con attore protagonista Tim Roth.

Secondo Ekman, permette di leggere le emozioni di una persona dallo schema di tensione muscolare dei numerosi muscoli del viso e capire se la persona mente o dice la verità. Un’intelligenza artificiale potrebbe essere programmata con questo scopo. Anche se, come ho illustrato in “Riconoscere i bugiardi”, le ricerche scientifiche hanno messo in evidenza la fallacia di questo sistema.
Allo stato attuale dello sviluppo tecnologico e nell’immediato futuro, dunque, l’intelligenza emotiva rappresenta un insieme di capacità umane che l’intelligenza artificiale non può sostituire.
Nonostante ciò, l’intelligenza artificiale porterà (e lo sta già producendo) un terremoto dal punto di vista occupazionale. Ecco con quali conseguenze nei lavori.

Il terremoto occupazionale dell’intelligenza artificiale: l’effetto nei lavori

Prendiamo il lavoro creativo. Un settore che a lungo si è pensato fosse al riparo dall’invasione dell’intelligenza artificiale. Ma sappiamo oramai che generare, foto, immagini, canzoni, poesie eccetera, con l’utilizzo di un’intelligenza artificiale è possibile. Secondo la Harvard Business Review si delineano tre scenari:

  • i creativi utilizzeranno l’intelligenza artificiale per essere ancora più produttivi;
  • un’ondata di idee creative a basso costo spingerà gli esseri umani ad abbandonare quel tipo di attività dal punto di vista lavorativo;
  • il lavoro creativo svolto dalle persone avrà un valore superiore rispetto a qualsiasi fatto da un’intelligenza artificiale.

Queste considerazioni riassumono bene le possibilità che l’intelligenza emotiva offre nel mondo del lavoro, come per esempio la leadership o la capacità di relazionarsi con i clienti, e così via.

Empatia compassionevole

Il terzo tipo di empatia è l’empatia compassionevole, nota anche come preoccupazione empatica. Va oltre la semplice comprensione degli altri e la condivisione dei loro sentimenti: in realtà ci spinge ad agire, ad aiutare come possiamo il nostro prossimo. Ma in questo ambito, l’intelligenza artificiale sia ancora alla preistoria.

Un caso di fraintendimento culturale

Un recente video che ha visto protagonista il Dalai Lama è diventato virale. Mostra il Dalai Lama mentre cerca di dare un bacio ad un bambino. Premesso che questo evento è avvenuto in pubblico, davanti a fotografi, giornalisti e molte altre persone, il Dalai Lama è stato presentato come un “predatore sessuale”, tanto che il riferimento religioso del buddismo tibetano è stato portato a chiedere pubblicamente scusa.
L’intelligenza emotiva, se coltivata e sviluppata, ci permette di distinguere fra ciò che sembra, cioè ciò che appare e ciò che è reale. Se si guarda l’intero video si capisce infatti subito l’atteggiamento del Dalai Lama, che stava dando dei consigli e scherzando con il bambino, da persona “anziana” ha voluto dare un bacio senza malizia al bambino stesso in segno di benedizione (ricordo, inoltre, che i genitori del bambino erano a poca distanza dal bambino stesso).
Confrontando il video completo e confrontandolo con il montaggio fatto nei pochi secondi diventati virali, ciò che appare non è ciò che realmente è accaduto.
Non solo, in questo video è presente anche un fraintendimento culturale. Si è parlato molto del fatto che il Dalai Lama ha tirato fuori la lingua al ragazzo, un gesto “apparentemente” sconveniente. Nella cultura tibetana mostrare la lingua è un gesto di rispetto – e un nonno potrebbe fare lo stesso scherzosamente con un nipote, dopo avergli dato dei regali, come per dire “Non è abbastanza? Allora vuoi mangiare la mia
lingua?”.
Il Dalai Lama è stato per decenni un portavoce del valore della compassione, dell’armonia delle religioni e della giustizia sociale. Ed è un esempio di integrità. È impegnato da anni nell’insegnare a mettere in pratica la gentilezza.
Il Dalai Lama è un personaggio talmente in vista, a contatto con talmente tante persone, che sarebbe emerso da tempo se fosse veramente un predatore sessuale. Nessuna persona è così brava a mentire nel lungo tempo, prima o poi il vero io emerge. Qui il problema è un video montato per far “apparire” ciò che lui non è.

Conclusioni

Lo sviluppo delle proprie capacità metacognitive è una delle sfide che l’intelligenza artificiale lancia ad ognuno di noi. In particolare, a tutte quelle persone che svolgono un lavoro che è facilmente sostituibile dall’intelligenza artificiale, come depositare, prelevare e spostare i pacchi in un deposito merci di un’azienda del settore della logistica.
L’intelligenza artificiale è fra noi, ed è molto improbabile che arresterà la sua diffusione e la sua evoluzione.
Come è stato in passato, l’introduzione di una nuova tecnologia ci “costringe” ad innovarci.
Ma del resto, la storia della nostra specie, ci insegna che chi rimane fermo e non evolve è condannato a soccombere.

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